Terremoto: ecco cosa blocca la ricostruzione
di Marina Crisafi - Quattro regioni del Centro Italia e ben 140 comuni. È questo il bilancio dei territori colpiti dal sisma del 2016. Ma ad oggi, dopo circa due anni dal tragico evento che ha seminato morte e distruzione, poco o nulla sembra essersi mosso. Città, borghi e centri storici rimangono seppelliti dalle macerie e la ricostruzione stenta a partire. Visitando le località colpite, ciò che maggiormente stupisce è quell'anomala condizione di silenzio e di desolazione. Da cosa dipende tutto questo? Forse l'"intoppo" è proprio di natura normativa.
- Architetto Traini, siamo ormai a 2 anni dal sisma che ha colpito ben 4 regioni del Centro Italia ma la ricostruzione stenta a partire. Da cosa dipende tutto questo?
Bisogna in primo luogo ripercorrere la portata eccezionale di quanto accaduto. In genere, dopo un terremoto si apre una prima fase emergenziale, cui segue la ricostruzione. Nel nostro caso, dopo ogni scossa significativa si ricominciava ogni volta con le procedure dell'emergenza, ripetendo continuamente i sopralluoghi con annesse classificazioni e relative ordinanze comunali. In questo contesto è stata nel frattempo approntata una "macchina" normativa assai articolata, dove tra l'altro si garantiva il contributo del 100% anche alle "seconde" case, rimandando però ad ulteriori disposizioni di carattere attuativo. Oggi, si deve ammettere che il modello proposto è ancora lontano dal funzionare.
- Parliamo di mancanza di fondi o di ritardi burocratici?
Per quanto riguarda i fondi, alcune criticità si sono certamente verificate, come nel caso delle donazioni tramite sms, ma in generale, nonostante le somme effettivamente stanziate siano ancora estremamente modeste, siamo fiduciosi che le soluzioni tecnico-finanziarie stabilite dai decreti possano funzionare, anche perché in caso contrario crollerebbe l'intero impalcato messo a punto per far fronte alla sequenza sismica. La criticità dei ritardi dovuti ad eccesso di burocrazia è invece emersa in tutta la sua evidenza e costituisce attualmente la questione più ostica da affrontare.
- Quali sono gli ostacoli per la ricostruzione pubblica e per quella privata?
Entrambe hanno incontrato svariate difficoltà sin dall'inizio. Le prime norme, ad esempio, ignoravano la messa in sicurezza dei beni culturali ed in particolare delle chiese, un'anomalia che è stata corretta solo con la conversione in legge del decreto. Ma nel frattempo, le scosse proseguivano e anche per un problema di competenze tra organi dello stato, alcuni esempi ragguardevoli di architettura romanica umbro-marchigiana di primo impianto come la Chiesa di Santa Maria in Pantano sono crollati e andati perduti per sempre. Anche la ricostruzione privata è stata in sostanza equiparata a quella pubblica, ad oggi infatti per la propria abitazione non è possibile affidare i lavori ad un'impresa di fiducia ancorchè in possesso di tutti i requisiti richiesti dai decreti; deve necessariamente essere fatta una gara con almeno tre offerte e ciò contribuisce a generare ulteriori pesanti ritardi. Un'altra difficoltà che sta incontrando la ricostruzione privata è quella delle difformità, che deve essere però valutata con estremo equilibrio e conoscenza specifica della materia, evitando ogni genere di strumentalizzazioni.
- A livello legislativo è stato fatto molto ma paradossalmente forse troppo? Secondo lei si è centrato il vero nodo della questione?
La sua è un'analisi estremamente calzante: dai decreti che apparivano complessivamente efficaci si è passati ad un numero spropositato di ordinanze non sempre armonizzate tra loro e di cui peraltro non esiste ancora un testo coordinato, sicchè le disposizioni sono risultate spesso poco comprensibili e di difficile applicazione, rischiando di smarrire il senso stesso della norma. La quantità di "materiale burocratico" da produrre nella presentazione delle pratiche è poi abnorme, basti pensare che non tutti gli elaborati tecnici e grafici richiesti trovano posto nella piattaforma che è stata predisposta per contenerli e il sistema può incepparsi, come ritorcendosi su se stesso.
- La situazione peggiore è vissuta dagli antichi borghi distrutti dal sisma che rischiano di non accedere ai fondi per colpa delle lungaggini burocratiche. Non crede che così si stia dando precedenza alle città?
Le città sono entrate in scena con il sisma del 30 ottobre, non hanno subito crolli ma solo danni (anche se a volte rilevanti) e presentano situazioni di base più agevoli anche in relazione agli aspetti urbanistici e procedurali. Sono in buona sostanza ormai operative con le proprie pratiche e destinate inevitabilmente a sopravanzare i borghi distrutti già dal sisma precedente del 24 agosto. In questi, invece, permangono tuttora le macerie, i piani attuativi -tra l'altro privi di risorse reali- non sono nemmeno iniziati e la ricostruzione vera e propria è poco più di un'utopia. Un aspetto positivo, tuttavia, è rappresentato dalle associazioni costituite dai cittadini, che potranno rivelarsi efficaci strumenti di dialogo e collaborazione con le amministrazioni.
- Sempre restando su borghi e centri storici cosa succederebbe se si dovesse ricostruire secondo la normativa vigente?
Ricostruire secondo tutti i criteri e parametri delle norme vigenti non è nemmeno pensabile. La bellezza dei borghi longobardi offesi dal sisma sta nella particolarità e spontaneità delle loro aggregazioni, a volte accavallate tra loro, incastonate come presepi tra crinali e versanti e protetti da un orizzonte fortificato o addirittura da una rocca. Se si ricostruisse rispettando i parametri -ad esempio in materia di distanze- secondo le comuni norme sopravvenute negli ultimi decenni, ci troveremmo di fronte a una sorta di diradamento, uno scenario stravolto e raggelante dal punto di vista storico-architettonico, ambientale e paesaggistico. In altri termini, ricostruire questi borghi "normalizzandoli" riguardo alle distanze equivarrebbe a un altro genere di distruzione, dopo quella del sisma: la distruzione dell'identità e della bellezza.
- Una possibile soluzione potrebbe essere una norma emergenziale in deroga?
Certamente, il ricorso "mirato" a deroghe e a particolari misure emergenziali dovrà essere valutato nelle sedi appropriate e applicato ove necessario. Si pensi, ad esempio, che nei centri storici i piani urbanistici di norma vietano la demolizione e la ricostruzione, ciò che ad oggi impedirebbe comunque e a chiunque di ricostruire anche in situazioni geologicamente favorevoli: rispetto a tali norme non può non delinearsi la necessità di una deroga, così come va considerato favorevolmente l'impiego di strutture portanti contraddistinte dalla massima efficienza, con i materiali tradizionali che comunque continuerebbero ad essere usati come rivestimento. Nella situazione in cui ci troviamo, non dobbiamo avere paura di avere coraggio.
- Cosa suggerirebbe a un futuro commissario straordinario?
Dopo una breve fase dedicata alla corretta lettura dei dati, il nuovo Commissario dovrà, nel minor tempo possibile, snellire, semplificare e riallineare le norme già emanate completando al tempo stesso alcuni aspetti ancora carenti, tra cui la valutazione dei casi in cui non sarà possibile ricostruire sulla base delle indagini specialistiche di natura geologica. Il Commissario dovrà interpretare le sue mansioni con grande dinamismo, alternando con continuità la propria presenza nelle sedi istituzionali "centrali" a quella nei luoghi del sisma, supportando gli enti locali e gli uffici preposti all'esame delle pratiche. Solo con questo doppio binario sarà possibile seguire l'evoluzione e le esigenze sia della ricostruzione pubblica che di quella privata. Siamo in un momento difficile, ma possiamo ancora farcela.
Ecco il reportage fotografico sui territori colpiti dal sisma
Data: 20/08/2018 21:00:00
Autore: Marina Crisafi