Infortunio in bici: quando il lavoratore va indennizzato
Per la Cassazione è in itinere l'infortunio occorso al dipendente mentre si recava in bici al lavoro se l'uso del mezzo era "necessitato" per mancanza di mezzi pubblici e problemi di deambulazione
di Lucia Izzo - Costituisce infortunio in itinere anche quello occorso al lavoratore a seguito di un sinistro in bicicletta mentre si recava dalla sua abitazione al luogo di lavoro.
Anche se è stato il collegato ambientale a definire l'uso della bici "sempre necessitato", trattandosi di mezzo che non inquina, questo deve ritenersi consentito anche secondo un canone di necessità relativa, ragionevolmente valutato in relazione al costume sociale, anche per assicurare un più intenso rapporto con la comunità familiare, e per tutelare l'esigenza di raggiungere in modo riposato e disteso i luoghi di lavoro in funzione di una maggiore gratificazione dell'attività ivi svolta
Una chiave interpretativa che va confermata tutt'al più laddove manchino mezzi pubblici che coprano il tragitto "casa-lavoro" e il danneggiato abbia problemi a deambulare, essendogli difficile coprire distanze a piedi.
Tanto si desume dall'ordinanza n. 21516/2018 (qui sotto allegata) con cui la sezione lavoro della Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di un lavoratore che aveva chiesto la condanna dell'INAIL e il riconoscimento dell'indennizzo per la menomazione dell'8% provocata dall'infortunio occorsogli mentre si stava recando in bicicletta al lavoro.
Tuttavia, nel respingere la domanda, i giudici d'appello ritenevano l'uso del mezzo privato non necessitato, pur a fronte delle condizioni fisiche del dipendente che gli rendevano la deambulazione faticosa, disagevole e scarsamente tollerata.
In pratica, per la Corte territoriale, l'uso del mezzo privato "risultava solo ed esclusivamente corrispondente ad aspettative che (...) non assumono uno spessore sociale tale da giustificare un intervento di carattere solidaristico a carico della collettività".
L'uso "necessitato" del mezzo di trasporto privato per recarsi al lavoro
Una conclusione che non convince gli Ermellini i quali rammentano, in primis come secondo l'art. 210, u.c., t.u. 1124/1965, nel testo integrato dall'art. 12 d.lgs. 38/2000, rispetto al c.d. infortunio in itinere "l'assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché necessitato". Nel caso in esame, in primo luogo, risultava pacifica l'insussistenza di mezzi pubblici per la percorrenza del tratto di strada tra l'abitazione del dipendente e il luogo di lavoro.
Ancora, la sentenza impugnata, pur menzionando le valutazione del c.t.u. secondo cui la deambulazione del ricorrente sarebbe stata faticosa, disagevole e scarsamente tollerata, aveva escluso la necessità dell'uso del mezzo privato (ovvero della bicicletta) sulla base di una qualificazione che il collegio ritiene "neppure del tutto chiara".
In particolare è inadeguata l'interpretazione della nozione di "utilizzo necessitato" effettuata dai giudici a quo: per la Cassazione, senza dubbio, è necessitato l'uso che sia determinato da ragioni di impedimento per la percorrenza a piedi del tragitto da casa al lavoro, per tali non intendendosi soltanto le situazioni in cui l'impossibilità sia assoluta, ma, evidentemente, alla luce dei principi di tutela della dignità della persona (art. 2 Cost.) e della salute (art. 32), anche quelle in cui la deambulazione sia motivo di pena ed eccesso di fatica, oltre che di rischio per l'integrità psicofisica.
Infortunio in itinere al lavoratore che va al lavoro in bici
Gli Ermellini condividono, pertanto, il principio di diritto (cfr. Cass. n. 7313/2016) secondo cui "l'uso della bicicletta privata per il tragitto 'luogo di lavoro abitazione' può essere consentito secondo un canone di necessità relativa, ragionevolmente valutato in relazione al costume sociale, anche per assicurare un più intenso rapporto con la comunità familiare, e per tutelare l'esigenza di raggiungere in modo riposato e disteso i luoghi di lavoro in funzione di una maggiore gratificazione dell'attività ivi svolta".
Resta, invece, escluso il cd. rischio elettivo, inteso come quello che, estraneo e non attinente all'attività lavorativa, sia dovuto ad una scelta arbitraria del dipendente, che crei ed affronti volutamente, in base a ragioni o ad impulsi personali, una situazione diversa da quella ad essa inerente.
Tale interpretazione coincide con quanto stabilito dalla normativa integrativa dell'art. 210, u.c., cit., entrata in vigore successivamente alle vicende oggetto di causa, secondo cui "l'uso del velocipede, come definito ai sensi dell'articolo 50 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, deve, per i positivi riflessi ambientali, intendersi sempre necessitato" (art. 5, co. 5, L. 221/2015).
Essendosi la sentenza impugnata palesemente discostata da tali canoni interpretativi, la pronuncia va cassata con rinvio.
Autore: Lucia Izzo