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Revoca dell'amministratore di condominio: la condanna penale

La sentenza di condanna penale dell'amministratore, prevista quale motivo di revoca dall'art. 71 Bis disp. att. Cc, è tale solo al momento del suo passaggio in giudicato


Avv. Paolo Accoti – Con la riforma del codominio (L. 220/2012) il legislatore ha previsto una serie di requisiti, elencati nell'art. 71 Bis disp. att. Cc, quali prerogative imprescindibili per assumere l'incarico di amministratore di condominio.

In particolare, alcuni attengono al grado di istruzione e formazione del candidato a ricoprire tale ruolo, altri invece riguardano "l'onorabilità" dello stesso.

Ecco che allora possono svolgere l'incarico di amministratore di condominio coloro i quali hanno il godimento dei diritti civili, che non sono stati condannati per delitti contro la pubblica amministrazione, l'amministrazione della giustizia, la fede pubblica, il patrimonio o per ogni altro delitto non colposo per il quale la legge commina la pena della reclusione non inferiore, nel minimo, a due anni e, nel massimo, a cinque anni, che non sono stati sottoposti a misure di prevenzione divenute definitive, salvo che non sia intervenuta la riabilitazione, che non sono interdetti o inabilitati, il cui nome non risulta annotato nell'elenco dei protesti cambiari, che hanno conseguito il diploma di scuola secondaria di secondo grado, che hanno frequentato un corso di formazione iniziale e svolgono attività di formazione periodica in materia di amministrazione condominiale.

Occorre precisare, tuttavia, che in caso di amministratore non professionista, vale a dire del condomino che assumere l'incarico di amministrare (solo) il condominio del quale fa parte, lo stesso non necessita né del diploma di scuola secondaria di secondo grado né della formazione iniziale o successiva.

Con specifico riferimento all'assenza di condanne per delitti contro la pubblica amministrazione, l'amministrazione della giustizia, la fede pubblica, il patrimonio o per ogni altro delitto non colposo per il quale la legge commina la pena della reclusione non inferiore, nel minimo, a due anni e, nel massimo, a cinque anni, occorre domandarsi se, ai fini della revoca, sia sufficiente la condanna non ancora divenuta definitiva ovvero se sia richiesta una sentenza divenuta autorità di cosa giudicata.

La risposta viene fornita dal Tribunale di Milano, nel decreto n. 1963, pubblicato in data 20 giugno 2018.

La vicenda giudiziaria

Alcuni condòmini proponevano ricorso per la revoca dell'amministratore, deducendo, tra l'altro, la sopravvenuta mancanza dei requisiti necessari a ricoprire l'incarico di amministratore e, in particolare, la circostanza in virtù della quale l'amministratore del loro stabile era stato condannato dal Tribunale di Milano, con sentenza confermata in sede di gravame dalla Corte d'Appello del capoluogo lombardo, per finanziamento illecito ad esponenti politici.

Ciò posto, ravvisando in tale illecito una fattispecie riconducibile a quella dei reati contro il patrimonio, chiedevano la revoca dello stesso.

Resisteva in giudizio l'amministratore e il Tribunale di Milano, in composizione collegiale, all'esito della camera di consiglio rigettava la domanda, condannando i ricorrenti a rifondere le spese di giudizio sostenute dall'amministratore.

Le motivazioni del Tribunale

Il Collegio investito della questione evidenzia in primo luogo come la norma invocata dai ricorrenti ai fini della revoca dell'amministratore, l'art. 71 Bis disp. att. Cc e, in particolare, la lettera b), prevede testualmente che, per poter ricoprire l'incarico gestorio dello stabile l'amministratore o i candidati ad assumere tale ruolo, <<b) … non [siano] stati condannati per delitti contro la pubblica amministrazione, l'amministrazione della giustizia, la fede pubblica, il patrimonio o per ogni altro delitto non colposo per il quale la legge commina la pena della reclusione non inferiore, nel minimo, a due anni e, nel massimo, a cinque anni;>>.

Orbene, il delitto di illecito finanziamento non risulta configurabile come delitto contro il patrimonio, contemplato dal menzionato art. 71 Bis disp. att. Cc, a tal uopo la Corte di merito ricorda la sentenza della Suprema Corte n. 10041/1998, per la quale <<Il valore tutelato dal delitto in esame è da identificare nell'inscindibile binomio "trasparenza e democrazia". La democrazia quale "governo del potere visibile". La trasparenza del potere è la condizione prima del corretto funzionamento della democrazia, in quanto serve a garantire da una parte l'attivazione di meccanismi di responsabilità e dall'altra una corretta formazione dell'opinione pubblica. Non a caso il relatore della legge del 1974 individuava nell'art. 49 della Costituzione il principio tutelato dalla fattispecie penale: il finanziamento illecito altera "il libero concorso dei cittadini a determinare la politica nazionale, nella misura in cui i gruppi di pressione pubblica o privata divengono determinanti o comunque concorrono a determinare le scelte dei partiti sulla politica nazionale".>>.

Ciò posto, in considerazione del fatto che tale delitto è punito – dall'art. 7 della L. 195/1974, per come modificato dall'art. 4 della L. 659/1981 – con la con la reclusione da 6 mesi a 4 anni, il Tribunale ritiene che tale reato non rientra neppure nella fattispecie prevista dall'ultimo periodo dell'art. 71 Bis, lett. b) disp. att. Cc, laddove viene ritenuto sufficiente, ai fini della revoca, un generico delitto non colposo per il quale, tuttavia, sia prevista la pena della reclusione non inferiore, nel minimo, a 2 anni e, nel massimo, a 5 anni.

Ad ogni modo, conclude il Tribunale milanese, qualora si versasse in una delle ipotesi previste dalla predetta lett. b dell'art. 71 Bis, occorre dare atto che la sentenza penale di condanna della Corte d'Appello non è passata in giudicata, atteso che pende ricorso per cassazione depositato in data 8 marzo 2018.

Orbene, ai fini di una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 71 Bis disp. att. Cc, occorre rimarcare come <<laddove il legislatore ha utilizzato il termine "condanna", abbia voluto intendere una condanna inflitta con sentenza passata in giudicato: solo in questo modo, infatti, si ritiene possa essere salvaguardato il principio di presunzione di non colpevolezza consacrato dall'art. 27 co. 2 Cost.>>.

Data: 08/09/2018 10:30:00
Autore: Paolo Accoti