L'azione è proponibile dalla società [art. 2393 e 2407 co.3], dai soci [art. 2393 bis e 2476 c.c.] e dai creditori sociali [art. 2043 e 2394 c.c.]
Prendendo in esame la pronuncia precedente, resa dalla medesima Sezione odierna, n. 13517 del 13 giugno 2014, La Suprema Corte ha avuto già modo di affermare il principio secondo cui i sindaci sono responsabili per inosservanza del dovere di vigilanza e controllo imposto dall'art. 2407, comma 2, del
Codice Civile senza che questi debbano porre in essere particolari comportamenti espressamente in contrasto con tale dovere.
E' sufficiente, che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano reagito in alcun modo di fronte ad atti o comportamenti di dubbia regolarità, tacendoli invece che attivandosi riferendo all'assemblea le eventuali sospette irregolarità o quando del caso, denunciando al Tribunale i fatti per consentirgli di provvedere ai sensi dell'art. 2409 c.c.
Il dies a quo alla luce dell'odierna sentenza della Cassazione
Nell'odierna pronuncia, il primo principio di diritto enunciato dalla Corte è concerne al dies a quo valido per la decorrenza della prescrizione quinquennale, affermando con risolutezza che questo non può non decorrere dalla data di emersione della perdita nel bilancio, a maggior ragione qualora gli amministratori abbiano compiuto atti fraudolenti volti ad occultare la perdita nei precedenti bilanci.
Tale orientamento permette così di superare il problema della mala gestio degli amministratori e della responsabilità dei sindaci (che non si sottraggono di certo dalla loro responsabilità in virtù del loro dovere di controllo).
Doveri dei sindaci
I doveri dei sindaci sono desumibili ex art. 2403 del c.c. che prevede che questi debbano vigilare e controllare il rispetto della legge e dello statuto, nonchè la corretta amministrazione, l'adeguatezza dell'organizzazione amministrativa e contabile, tutto in direzione del buon funzionamento e andamento della società.
Perciò per le considerazioni di cui sopra non è sufficiente un mero controllo di volta in volta degli atti portati alla loro attenzione dagli amministratori, ma una partecipazione attiva a tutte le attività sociali, e un controllo capillare dei singoli atti coadiuvato da un controllo di tipo più generale (con attività quindi anche di indagine che superano la mera "supervisione" del prospettato dagli amministratori).
In tema di dovere di vigilanza la dottrina ha avuto già modo di affermare che i sindaci soggiaciono a una duplice responsabilità: quella derivante da fatto proprio e quella per concorso omissivo su condotta altrui (in particolare amministratori).
Un ulteriore contributo dottrinale aveva evidenziato che qualora il sindaco si accorga della mala gestio, non basta un'esternazione di censura prossima alla critica, ma una vera e propria denuncia interna - assemblea - o esterna -tribunale - alla società, ai sensi dell'art. 2409 c.c.
Concettualmente, è bene tener presente l'idea di Ferri per cui i sindaci non rispondono mai dell'eventuale danno in quanto provocato dagli amministratori, ma in quanto cagionato dalla inosservanza di un obbligo di controllo.
In ogni caso, la responsabilità dei sindaci non sarà mai riferibile al Collegio come organo societario, ma sempre indirizzata individualmente ai singoli, sia pure in regime di solidarietà tra i membri e eventualmente tra gli amministratori.
Sulla natura prescrizionale o decadenziale dell'azione la dottrina ha discusso, a seguito della novella contenuta nel D.lgs. n. 6/2003, non attestandosi ancora su una posizione del tutto univoca.