Cyberstalking: quando i post su Facebook sono reato
di Annamaria Villafrate - Lo stalking realizzato attraverso i social network, Facebook in particolare, configura il reato di cyberstalking. Secondo la giurisprudenza della Cassazione degli ultimi anni però le condotte devono: produrre un evento di danno o di pericolo, realizzarsi in fasi o momenti sufficientemente determinati ed essere prese in considerazione come componenti della condotta persecutoria nel suo complesso.
Cyberstalking: cos'è
Il reato di cyberstalking si realizza nel momento in cui gli atti persecutori vengono effettuati tramite l'utilizzo dei moderni mezzi di comunicazione, come la messaggistica istantanea dei cellulari e i social network. Inviare reiteratamente sms, e-mail o post sui social network e diramare contenuti foto e video, spesso a luci rosse, proprio per la loro intrinseca proprietà diffusiva, si può tradurre in una condotta persecutoria particolarmente dannosa per la vittima. Il soggetto agente inoltre, grazie alle moderne tecnologie, può agire anche avvalendosi di un profilo falso o utilizzando un nome inventato su chat ed e-mail, rendendo così non solo più difficile la sua "cattura", ma particolarmente preoccupante il suo comportamento molesto e oppressivo.
Cyberstalking: caratteristiche della condotta
Affinché si configuri il reato di stalking (art. 612 bis c.p), è necessario che la condotta presenti determinate peculiarità.
Come precisato dalla Cassazione n. 17082/2015 essa deve, prima di tutto, produrre "un evento di 'danno' consistente nell'alterazione delle proprie abitudini di vita o in un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero, alternativamente, di un evento di "pericolo", consistente nel fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva".
Non solo, la Suprema Corte ha precisato che "l'indicazione nella contestazione dei luoghi e dei tempi di commissione delle condotte successive nel tempo e nello spazio non deve essere caratterizzata dalla scansione nel tempo e nello spazio in modo preciso e puntuale, essendo sufficiente che le fasi o i momenti in cui si articola la condotta siano sufficientemente determinati".
La sentenza n. 21407/2016 della Suprema Corte infine ha ritenuto che, la circostanza secondo cui i messaggi pubblicati sui social network Facebook non integrerebbero la fattispecie degli atti persecutori, quanto piuttosto l'illecito della diffamazione non è corretta, visto che, ai fini dello stalking rileva la reiterazione delle condotte, non l'episodio singolo, che anche se integrabile un reato autonomo, deve essere letto nell'ambito delle attività persecutorie nel loro complesso.
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Data: 29/10/2018 09:00:00Autore: Annamaria Villafrate