Il licenziamento dell'apprendista durante il periodo formativo
di Iacopo Brotini - Come noto, il contratto di apprendistato rappresenta per i più giovani uno dei canali privilegiati di accesso al mondo del lavoro, concedendo loro la possibilità - per usare un'espressione cara alla dottrina - di "apprendere il mestiere lavorando".
- Contratto di apprendistato: causa mista del negozio
- Le tre fasi della vicenda contrattuale e il recesso
- Questioni interpretative attorno al licenziamento
- La soluzione offerta dalla Suprema Corte
- Una peculiare ipotesi di licenziamento dell'apprendista
Contratto di apprendistato: causa mista del negozio
Suddetto contratto, ad oggi disciplinato interamente dagli artt. 41 e ss del D.lgs 15/06/2015, n. 81 (il quale ha provveduto all'abrogazione del D.lgs n. 167/2011 contenente il Testo Unico dell'apprendistato), costituisce certamente un'ipotesi emblematica di negozio a causa mista: infatti, oltre a quella tipica ravvisabile all'interno dell'ordinario contratto di lavoro (ovvero lo scambio tra prestazione e retribuzione), vede altresì, quale contenuto indefettibile del sinallagma, quella rappresentata dall'obbligo formativo in favore del giovane apprendista (obbligo a sua volta contemperato e bilanciato dai rilevanti sgravi contributivi di cui gode il datore di lavoro che provvede all'assunzione).
Le tre fasi della vicenda contrattuale e il recesso
In particolare, ciò che ci si chiede è: quid iuris nel caso in cui il datore di lavoro intenda recedere dal contratto prima che sia terminato il periodo formativo?
Per fornire una risposta occorre procedere con le seguenti brevi osservazioni.
In primo luogo, come si evince dalla lettura dell'art. 42 del D.lgs 81/2015, la durata del contratto non può essere (tranne che nell'ipotesi di attività lavorative di carattere stagionale) inferiore a sei mesi mentre quella massima varia a seconda delle diverse tipologie di apprendistato (tre anni o quattro, nel caso in cui la formazione sia funzionale all'ottenimento di un diploma quadriennale regionale).
In secondo luogo, pacifica è la circostanza che, una volta terminato il periodo formativo (e dunque spirato il termine ultimo di durata del contratto), ciascuna parte sarà libera di recedere ad nutum ai sensi e per gli effetti dell'art. 2118 c.c.; in altri termini, ferma la necessità del preavviso, sia il giovane apprendista che il datore di lavoro saranno liberi di sciogliersi dal vincolo contrattuale senza necessità di addurre motivazione alcuna.
In terzo luogo, ed infine, come recita il comma IV del già citato art. 42, "Se nessuna delle parti recede il rapporto prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato". Da tale ultima previsione si ricavano due essenziali aspetti del rapporto in esame. Il primo è che l'apprendistato, fin dalla sua stipula, si pone all'origine di un vero e proprio contratto di lavoro a tempo indeterminato (sebbene sui generis poiché finalizzato precipuamente alla formazione e all'occupazione dei giovani), così come espressamente previsto dall'art. 41 del D.lgs 81/2015.
Il secondo è che, una volta terminato il periodo formativo, se nessuna delle due parti contrattuali recede ex art. 2118 c.c., il contratto si evolve (prosegue) in un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Da quanto finora esposto pare allora possibile distinguere tre distinte "fasi" o "momenti" all'interno della vicenda negoziale che si innesta da un contratto di apprendistato:
Come già accennato, alla fine del periodo formativo ciascuna parte sarà libera, ai sensi dell'art. 2118 c.c., di recedere ad nutum dal rapporto, previa concessione del preavviso; se invece né il datore di lavoro né l'apprendista manifestano siffatta volontà, il rapporto si tramuta automaticamente in un ordinario contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Ne deriva, in quest'ultima ipotesi, che la disciplina applicabile al licenziamento non potrà che essere giocoforza quella ordinaria, la quale richiede la sussistenza di un giustificato motivo oggettivo e/o soggettivo oppure di una giusta causa così come previsto dalla L. 15/07/1966, n. 604. Allo stesso modo, quanto alle conseguenze di un'eventuale illegittimità del licenziamento del lavoratore accertata in giudizio, non potrà che trovare applicazione, a seconda dei casi, la tutela obbligatoria, indennitaria e/o reale (così come novellata a seguito degli ultimi interventi legislativi nell'ambito del c.d. jobs act) a seconda dei livelli occupazionali dell'azienda in cui è stato inserito l'apprendista.
Questioni interpretative attorno al licenziamento
Si tratta, quello in discorso, di un profilo che negli anni è stato molto dibattuto, almeno fin dall'entrata in vigore della vecchia L. 19/01/1955, n. 25 (recante la disciplina dell'apprendistato) la quale, nel fissare la durata massima del contratto de quo, aveva dato adito anche ad interpretazioni che lo qualificavano alla stregua di un vero e proprio contratto a termine (il quale, dal canto suo, conosce il solo licenziamento per giusta causa, essendo l'istituto del preavviso ontologicamente incompatibile col termine finale tipico del rapporto di lavoro a termine).
Tuttavia, con due importantissime sentenze additive (la sent. 04/02/1970, n. 14 e sent. 28/11/1973, n. 169), la Corte Costituzionale si affrettò a dichiarare l'illegittimità dell'art. 10 della L. 604/1966 nella parte in cui non estendeva la disciplina ivi prevista in favore degli apprendisti nell'ipotesi in cui il licenziamento fosse stato intimato durante il periodo formativo, all'uopo ricordando come l'art. 1 L. n. 230/1962 (all'epoca disciplinante il contratto di lavoro a tempo determinato) non prevedesse in alcun modo l'apprendistato tra le forme contrattuali dalla medesima legge regolamentate.
La soluzione offerta dalla Suprema Corte
Proprio sulla base di tale rinnovato contesto normativo, la Suprema Corte, con Sentenza n. 17373 del 13/07/2017, ha avuto modo di affrontare di nuovo la questione e ribadire (a ben vedere riprendendo un orientamento ormai consolidatosi) che "Al licenziamento intimato all'apprendista in pendenza del periodo di formazione non trova applicazione la disciplina relativa al licenziamento ante tempus nel rapporto di lavoro a termine, bensì l'ordinaria disciplina in materia di licenziamenti (…). Ciò in quanto l'apprendistato deve ritenersi un rapporto di lavoro a tempo indeterminato bifasico, nel quale la prima fase è contraddistinta da una causa mista, mentre la seconda fase - soltanto eventuale, perché condizionata al mancato recesso ex art. 2118 c.c. - rientra nell'ordinario assetto del rapporto di lavoro subordinato".
Dunque, si deve oggi concludere che il licenziamento intimato dal datore di lavoro nei confronti del giovane apprendista durante il periodo formativo non potrà che essere integralmente regolato dall'ordinaria disciplina in tema di licenziamenti, con tutto ciò che ne deriva con riferimento ai presupposti del recesso, alle forme e, soprattutto, alle conseguenze (indennitarie e/o reintegratorie) nell'ipotesi in cui ne venga accertata in giudizio l'illegittimità.
Una peculiare ipotesi di licenziamento dell'apprendista
Autore: Iacopo Brotini