Avvocato distrattario e cliente non possono essere condannati in solido
Avv. Paolo Accoti – Il nostro ordinamento rubrica le disposizioni in materia di spese e per i danni processuali nel Libro Primo, Titolo III, Capo IV, artt. 91 – 98, del Codice di Procedura Civile.
Le norme cardine rimangono, tuttavia, l'art. 91 e 92 Cpc, per il quale il Giudice, in sentenza, è tenuto a condannare la parte soccombente al rimborso delle spese, nonché al pagamento delle competenze professionali, in favore dell'altra parte, liquidandone il relativo ammontare. Tuttavia, se accoglie la domanda in misura non superiore all'eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta, al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, fatto salvo proprio il disposto dell'art. 92, comma II Cpc.
Il richiamato art. 92 Cpc dispone che Il Giudice, nel pronunciare la condanna di cui all'articolo precedente, può escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice, se le ritiene eccessive o superflue e può, indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso delle spese, anche non ripetibili che, per trasgressione al dovere di cui all'articolo 88 Cpc, essa ha causato all'altra parte.
Tuttavia, se vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, il Giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero e, in caso di soccombenza reciproca, ovvero di altre gravi ed eccezionali ragioni indicate in motivazione, il Giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti (II comma).
Per inciso, il predetto II comma dell'art. 92 Cpc, è stato recentemente dichiarato incostituzionale (con riferimento al testo modificato dall'art. 13, I co., D.L. 132/2014, convertito, con modificazioni, nella L. 162/2014), nella parte in cui non prevede che il Giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni (C. Cost. 77/2018).
Detto dei principi generali in ordine alla condanna alle spese processuali ovvero alla loro compensazione, in questa sede ci occuperemo di un particolare aspetto della condanna, quello in cui le parti in causa risultino più di una, ricordando come, in virtù dell'art. 93 Cpc, l'avvocato difensore può chiedere che il Giudice, nella medesima sentenza in cui condanna alle spese, attribuisca direttamente in suo favore e degli altri eventuali difensori, gli onorari e le spese che dichiara di avere anticipate.
L'art. 97 Cpc, rubricato sotto la voce <<Responsabilità di più soccombenti>>, prevede come, qualora le parti soccombenti siano più di una, il Giudice condanna ciascuna di esse alle spese e ai danni in proporzione del rispettivo interesse nella causa. Può anche pronunciare condanna solidale di tutte o di alcune tra esse, quando hanno interesse comune, tuttavia, se la sentenza non statuisce sulla ripartizione delle spese e dei danni, questa avviene in parti uguali.
A tal ultimo riguardo si registra il recente intervento della Corte di Cassazione la quale ha ribadito il principio per cui, i caso di pluralità di parti soccombenti, queste possono essere condannate in solido al pagamento delle spese processuali, non solo quando ci si trova al cospetto di un rapporto giuridico indivisibile ovvero solidale, ma anche quando vi sia un interesse comune delle stesse parti ricavabile, peraltro, dalla coincidenza delle questioni dedotte ovvero dalla medesima strategia processuale, evenienza che, nondimeno, consente la condanna in solido anche qualora i soccombenti abbiano proposto domande di valore sensibilmente diverso.
Questi i principi affermati dalla Corte di Cassazione, nella sentenza n. 27476, depositata in data 30 ottobre 2018.
I fatti di causa
Una cliente ed il proprio avvocato, quale procuratore distrattario (art. 93 Cpc) e, pertanto, diretto beneficiario delle spese di lite liquidate in primo grado, venivano evocati in giudizio dinnanzi alla Corte d'Appello di Bologna, nel giudizio di rinvio a seguito di pronuncia della Suprema Corte.
La Corte territoriale, quale Giudice di rinvio, accoglieva il gravame della parte soccombente in primo grado, avverso la sentenza con la quale era stata respinta la domanda dalla stessa proposta, con conseguente condanna delle spese del giudizio in favore del difensore distrattario della parte vittoriosa.
La Corte d'Appello felsinea, con la predetta sentenza di accoglimento, condannava anche l'avvocato della parte soccombente, quale difensore anticipatario, alla restituzione della somma a lui corrisposta per le spese legali in esecuzione della sentenza poi cassata dalla Corte di Cassazione, e condannava altresì il medesimo avvocato, in solido con la propria cliente, al pagamento delle spese del giudizio di rinvio e di quello di cassazione.
Ricorrevano nuovamente dinnanzi alla Suprema Corte sia la parte soccombente che il proprio avvocato, con due distinti ricorsi.
Per quel che interessa in questa sede, l'avvocato ricorrente, tra le altre cose, deduce la violazione e falsa applicazione, degli artt. 82,91,93,94, 97 e 100 Cpc, per avere la Corte territoriale condannato lo stesso al pagamento, in solido con la propria cliente, delle spese del precedente giudizio di cassazione e di quelle dell'attuale giudizio di rinvio, nonostante l'evidente differenza di questioni sollevate dallo stesso e dalla propria cliente, nonché i diversi "atteggiamenti difensivi" che, semmai, avrebbero potuto giustificare la condanna solidale alle spese di lite ai sensi dell'art. 97 Cpc.
Il giudizio di legittimità
La Corte di Cassazione, per dovere di cronaca, rigetta tutti i motivi di ricorso prospettati dalla cliente e in parte quelli del proprio avvocato, dichiara, infatti, inammissibile il ricorso proposto dalla parte rappresentata con condanna della stessa al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, accoglie, tuttavia, il secondo motivo di ricorso dell'avvocato, mentre rigetta il primo, il terzo ed il quarto, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara l'avvocato e la propria cliente senza, tuttavia, alcun vincolo di solidarietà, tenuti al pagamento delle spese del precedente giudizio di appello e di cassazione, con compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità nei riguardi dell'avvocato.
La stessa premette, conformemente ai propri precedenti, come deve essere ribadito che <<nel caso di riforma od annullamento della sentenza, costituente titolo esecutivo, di condanna al pagamento delle spese e degli onorari in favore del difensore della parte già vittoriosa, il quale abbia reso la dichiarazione di cui all'art. 93 cod. proc. civ., tenuto alla restituzione delle somme pagate a detto titolo è lo stesso difensore distrattario, il quale, come titolare di un autonomo rapporto instauratosi direttamente con la parte già soccombente, è l'unico legittimato passivo rispetto all'azione di ripetizione d'indebito oggettivo proposto da tale parte, in favore della quale la restituzione di dette somme può essere disposta, oltre che in un giudizio autonomamente instaurato a tal fine, anche dal giudice dell'impugnazione o, in caso di Cassazione, dal giudice di rinvio, ai sensi dell'art. 389 cod. proc. civ." (Cass. 2612/1989; Cass. 15571/2001; Cass. 13752/2002).>>.
Con specifico riferimento all'ipotesi condanna solidale alle spese processuali, la stessa ricorda che <<in materia di spese processuali, la condanna di più parti soccombenti al pagamento in solido può essere pronunciata non solo quando vi sia indivisibilità o solidarietà del rapporto sostanziale, ma pure nel caso in cui sussista una mera comunanza di interessi, che può desumersi anche dalla semplice identità delle questioni sollevate e dibattute, ovvero dalla convergenza di atteggiamenti difensivi diretti a contrastare la pretesa avversaria, di talché la condanna in solido è consentita anche quando i vari soccombenti abbiano proposto domanda di valore notevolmente diverso, purché accomunate dall'interesse al riconoscimento di un fatto costitutivo comune, rispetto al quale vi sia stata convergenza di questioni di fatto e di diritto" (cfr. ex multis Cass. 20916/2016; Cass. 6976/2016; Cass. 8832/2018).>>.
Nel caso concreto, tuttavia, le posizioni giuridiche dell'avvocato e della propria cliente non sono connotate dai "fatti costitutivi comuni" ovvero dall'identità delle questioni discusse, ma neppure dall'analogo atteggiamento difensivo atto a confutare la pretesa di controparte, così come richiesto dall'art. 97 Cpc per poter legittimamente statuire in merito alla condanna solidale alle spese del giudizio a carico delle parti in causa (la cliente, infatti, <<è stata condannata a corrispondere …. una somma a titolo di illegittima occupazione>>, mentre l'avvocato <<deve restituire le spese di lite indebitamente percepite, in ragione della cassazione e della riforma della sentenza impugnata>>).
Logica conseguenza di ciò, escluso il vincolo di solidarietà nel pagamento delle spese giudiziali per le motivazioni sopra riportate, è che ciascuna parte, cliente (3/4) e avvocato (1/4), dovrà corrispondere le spese di lite in ragione delle rispettive posizioni e delle pretese diverse.
Autore: Paolo Accoti