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Violenza domestica: allontanamento casa familiare esteso

La Consulta estende la misura a indagati o imputati per lesioni volontarie lievissime verso figli naturali, discendenti, ascendenti, coniuge, separati, divorziati, conviventi e unioni civili


di Lucia Izzo - Al Tribunale sarà consentito disporre l'allontanamento dalla casa familiare anche nei confronti di coloro che sono indagati o imputati per lesioni volontarie lievissime nei confronti di figli naturali, di discendenti e ascendenti in generale, oltre che del coniuge (anche separato o divorziato), dell'altra parte dell'unione civile (anche cessata) e del convivente in modo stabile con cui ha un rapporto affettivo.


Si tratta di una conseguenza della sentenza n. 236/2018 (qui sotto allegata) con cui la Corte Costituzionale ha accolto la questione di legittimità sollevata dal G.I.P. del Tribunale di Teramo.

La questione di legittimità

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Ad essere contestato dal giudice rimettente è l'art. 4, comma 1, lettera a), del d.lgs. 274/2000 e successive modificazioni, nella parte in cui per il delitto previsto dall'art. 582 del codice penale (lesione personale), limitatamente alle fattispecie di cui al comma 2 (quelle "lievissime" in cui la malattia ha una durata inferiore ai 20 giorni perseguibili a querela di parte) non esclude la competenza del giudice di pace anche per i fatti aggravati ai sensi dell'art. 577, primo comma, numero 1), c.p. commessi contro il discendente e segnatamente contro il figlio naturale, così come per i fatti commessi contro il discendente adottivo.
Il rimettente lamenta l'irragionevole previsione, per il medesimo reato, di un diverso criterio di attribuzione della competenza per materia, tra giudice di pace e tribunale ordinario, a seconda che la parte offesa del reato di lesioni volontarie lievissime sia, in particolare, il figlio naturale o il figlio adottivo, con violazione dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza (art. 3 Cost.).

Il censurato art. 4, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 274 del 2000 dispone, nella parte che qui rileva, che il giudice di pace è competente: «a) per i delitti consumati o tentati previsti dagli articoli 581, 582, limitatamente alle fattispecie di cui al secondo comma perseguibili a querela di parte, ad esclusione dei fatti commessi contro uno dei soggetti elencati dall'articolo 577, secondo comma, ovvero contro il convivente [...]».
Soltanto le condotte consumate dal genitore nei confronti del figlio adottivo, già di competenza del giudice di pace, sono divenute di competenza del tribunale ordinario e non anche quelle consumate in danno del figlio naturale, pur trattandosi di fattispecie connotate da uno stesso disvalore sociale e ispirate ad una ratio punitiva del tutto sovrapponibile.
Il giudice rimettente censura il regime di competenza differenziato che si è venuto a creare: le lesioni lievissime in danno dei soggetti di cui al numero 1) dell'art. 577 sono rimaste nella competenza del giudice di pace, mentre quelle in danno dei soggetti di cui al secondo comma della stessa disposizione sono state trasferite alla competenza del tribunale ordinario per meglio contrastare questi episodi delittuosi.

Violenza domestica: la stretta del decreto 93/2013

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La Consulta ritiene che la questione di costituzionalità sia fondata e ripercorre analiticamente il quadro normativo in cui la questione si colloca, che è fatto di plurimi rinvii e richiami, formali e non già materiali, di disposizioni, sì da risultare, nel complesso, alquanto tortuoso.

Di recente, la legge di conversione n. 119 del 2013, modificando la regola di competenza (art. 4, comma 1, lettera a) ha portato nella competenza del tribunale ordinario anche i reati di lesioni volontarie lievissime che prima erano esclusi.
Si è trattato di un intervento diretto a elevare il livello di repressione della violenza domestica con la previsione di una serie di misure di contrasto e, in particolare, quanto alle lesioni lievissime (art. 582, secondo comma, c.p.), con il trasferimento della competenza al tribunale ordinario così escludendo la preclusione all'adozione di misure personali cautelari, quale l'allontanamento dalla casa familiare, nonché il complessivo regime di favore di cui al Titolo II del d.lgs. n. 274 del 2000, quanto alle sanzioni applicabili dal giudice di pace.
Chiara è la ratio della nuova normativa, come emerge dai lavori parlamentari, nel corso dei quali si è posto in rilievo che non di rado le condotte di lesioni, anche lievissime, costituiscono comportamenti cosiddetti "spia", con cui, cioè, si manifestano fatti di prevaricazione e violenza che, spesso, sfociano in condotte ben più gravi e connotate da abitualità.

Incostituzionale il regime di competenza differenziato

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Secondo la Consulta, tuttavia, è stato violato il principio di eguaglianza non essendo giustificato il diverso trattamento processuale riservato al reato di lesioni volontarie a seconda che il fatto sia commesso rispettivamente in danno del figlio naturale o del figlio adottivo, stante lo stesso stato di figlio nell'uno e nell'altro caso e quindi il carattere discriminatorio della differenziazione.


Neppure si rinviene alcuna ragione della mancata inclusione anche del reato di lesioni volontarie commesso in danno del figlio naturale tra quelli che, già di competenza del giudice di pace, sono stati trasferiti alla competenza del tribunale ordinario per innalzare il livello di contrasto a tali episodi di violenza domestica, con conseguente manifesta irragionevolezza della disciplina differenziata.

Innanzi tutto, già il reato di lesioni volontarie è, allo stesso modo e nella stessa misura, aggravato se il fatto è commesso sia in danno del figlio naturale sia in danno del figlio adottivo e analoga equiparazione ricorre con riferimento ad altri reati.

In mancanza di alcuna opposta plausibile ratio, si ha che del tutto ingiustificatamente la disposizione censurata replica, anche con riferimento alle lesioni lievissime, la distinzione tra "discendente" e "figlio adottivo" quanto a una regola processuale attributiva della competenza.

Conservando nella fattispecie la competenza del giudice di pace in luogo di prevedere quella del tribunale ordinario, la disposizione censurata non ha elevato il livello di contrasto nei confronti delle lesioni lievissime in danno del figlio naturale, così come ha invece fatto per quelle in danno del figlio adottivo.

Da ciò emerge la manifesta irragionevolezza della disposizione censurata che, invertendo l'apprezzamento di disvalore delle condotte, ancor oggi perdurante nel sistema, utilizza non di
meno il richiamo proprio dell'art. 577, cui è sottesa una ratio opposta della differenziazione tra discendente e figlio adottivo. Quindi, il trattamento differenziato riservato al figlio naturale rispetto a quello del figlio adottivo viola anche il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.).

Lesioni lievissime: inoperante la deroga alla competenza

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La consulta ritiene che la parificazione di disciplina non possa che realizzarsi "in alto", ossia estendendo la stessa regola di competenza alla fattispecie delle lesioni lievissime commesse dal genitore in danno del figlio naturale, e così rendendo inoperante la deroga alla competenza del tribunale ordinario, in linea con il più elevato livello di contrasto della violenza domestica, con la conseguente possibilità, in particolare, per il giudice di applicare, nell'uno e nell'altro caso, la misura cautelare personale dell'allontanamento dalla casa familiare (art. 282-bis c.p.p.), adottabile anche in via d'urgenza (art. 384-bis c.p.p.).

Per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale della regola sulla competenza, il regime sostanziale delle pene per i fatti di lesioni lievissime commesse dal genitore in danno del figlio naturale risulta essere quello ordinario, come tale più rigido di quello derogatorio in bonam partem, applicabile allorché operava la competenza del giudice di pace.

Rimane però che, per i fatti commessi fino al giorno della pubblicazione della presente decisione sulla Gazzetta Ufficiale opera il principio della non retroattività della disciplina sostanziale che risulti essere peggiorativa per effetto di una pronuncia di illegittimità costituzionale-

Va, quindi, dichiarata l'illegittimità costituzionale della disposizione censurata nella parte in cui non esclude dai delitti, consumati o tentati, di competenza del giudice di pace anche quello di lesioni volontarie lievissime, previsto dall'art. 582, secondo comma, c.p., per fatti commessi contro l'ascendente o il discendente di cui al numero 1) del primo comma dell'art. 577 del codice penale.

Lesioni: addio discriminazioni anche per unioni civili e conviventi

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La Corte tiene anche conto del fatto che la fattispecie illegittimamente esclusa dal richiamo contenuto nella disposizione censurata si è ampliata recentemente con la previsione, ad opera dell'art. 2, comma 1, lettera a), della legge n. 4 del 2018, di altre ipotesi incluse nel numero 1) del primo comma dell'art. 577.


In particolare, l'intento del legislatore del 2018 è stato quello di contrastare ulteriormente fatti di violenza estrema sfociati in episodi di omicidio volontario, soprattutto di donne, e ha quindi esteso l'aggravante di cui all'art. 577 c.p.. anche alle ipotesi in cui la vittima sia il coniuge, anche legalmente separato o divorziato, l'altra parte dell'unione civile (anche se cessata) o la persona legata al colpevole da relazione affettiva e con esso stabilmente convivente.
Sotto l'aspetto sanzionatorio, anche le lesioni volontarie lievissime sono aggravate nella stessa misura se commesse in danno di tali soggetti. Invece, sotto l'aspetto processuale opera, per il meccanismo del rinvio formale, la stessa differenziazione introdotta per l'omicidio volontario.

Altrimenti detto, spiega la Consulta, mentre l'omicidio del coniuge, anche separato, è considerato più grave dell'omicidio del coniuge divorziato, invece le lesioni volontarie lievissime in danno del primo vedono, all'opposto, un contrasto meno energico rispetto a quelle in danno del secondo, perché la competenza del giudice di pace esclude l'adozione di misure cautelari personali quali l'allontanamento dalla casa familiare a tutela del coniuge, anche separato, che subisca tale violenza domestica.
Analoga considerazione vale per la parte di un'unione civile che subisca una violenza domestica in costanza dell'unione o dopo la cessazione della stessa. Pertanto, la dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione censurata, nella parte in cui non richiama anche i fatti di lesioni volontarie lievissime in danno dei soggetti indicati nel numero 1) dell'art. 577, si estende, in via consequenziale, anche a quelli successivamente inclusi dalla legge n. 4 del 2018.
Data: 27/12/2018 14:00:00
Autore: Lucia Izzo