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L'interesse legittimo e l'interesse pubblico nel processo amministrativo

Definizione di interesse legittimo e pubblico: particolari approfondimenti in materia ambientale


Avv. Veronica Bordoni - In assenza di una definizione normativa dell'interesse legittimo, è stato merito della dottrina elaborarne la nozione.

L'interesse legittimo

Al riguardo sono emerse diverse teorie contrapposte: si pensi all'interesse legittimo come interesse occasionalmente protetto, non tutelato in sé, ma nella misura in cui coincide con l'interesse pubblico; all'interesse legittimo come interesse a ricorrere avverso il provvedimento adottato dall'amministrazione; all'interesse legittimo come interesse strumentale alla legittimità dell'azione amministrativa; oppure alla teoria normativa, secondo la quale l'interesse legittimo è la posizione di vantaggio riconosciuta ad un soggetto dell'ordinamento in ordine ad una utilità oggetto di potere amministrativo è consistente nell'attribuzione al medesimo soggetto di poteri atti ad influire sul corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile la realizzazione della pretesa all'utilità.

La teoria normativa

Tale ultima teoria muove dalla fondamentale premessa secondo cui, allorquando la norma giuridica affida alla pubblica amministrazione la cura dell'interesse pubblico, la stessa non mira unicamente alla massimizzazione dell'interesse pubblico, ma effettua una valutazione comparativa degli interessi pubblici primari con altri interessi pubblici secondari, nonché con tutti gli altri interessi privati che vengono di volta in volta in rilievo. È un'impostazione confermata dalla sempre più accentuata procedimentalizzazione dell'attività amministrativa, generalizzata con l'entrata in vigore della legge sul procedimento amministrativo, che per l'appunto riconosce al privato un complesso di poteri e facoltà volti ad indirizzare correttamente l'esercizio di pubblici poteri, sicché l'amministrazione possa contemperare l'interesse pubblico primario con gli interessi privati coinvolti nell'azione amministrativa.

Tale teoria è ormai pacificamente accolta dalla giurisprudenza, la quale fin dalla storica sentenza delle Sezioni Unite n. 500 del 1999, ha definito l'interesse legittimo come quella posizione di vantaggio riservata ad un soggetto in relazione ad un bene della vita sottoposto all'esercizio del potere amministrativo e consistente nell'attribuzione a tale soggetto di poteri idonei ad influire sul corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile la realizzazione dell'interesse al bene. In altri termini, l'interesse legittimo emerge nel momento in cui l'interesse del privato ad ottenere o a conservare un bene della vita vieni a confronto con il potere amministrativo di soddisfare l'interesse o di sacrificarlo.

L'interesse legittimo in dottrina

Prevale, oggi, in dottrina la tesi per la quale l'interesse legittimo è l'interesse soggettivo sostanziale ad una determinata utilità della vita connesso all'esercizio legittimo dell'azione amministrativa, che, nel suo esplicarsi, deve tenere conto dell'interesse pubblico primario e degli interessi privati coinvolti dall'esercizio del potere. L'utilità sostanziale che costituisce l'oggetto dell'interesse legittimo, dunque, non si realizza se non attraverso l'interesse strumentale a che la PA agisca legittimamente. La tutela dell'interesse alla legittimità dell'atto amministrativo comporta contestualmente la realizzazione dell'interesse legittimo sostanziale ed individuale che la legittimità dell'azione amministrativa garantisce. La natura anche sostanziale dell'interesse legittimo è confermata dall'art. 21 octies della L. n. 241 del 1990 sul procedimento amministrativo introdotto di recente dalla L. n. 15/2005 a mente del quale l'annullamento dell'atto per vizi del procedimento e per carenza della motivazione non è ammesso qualora, per la natura vincolata dell'atto, debba escludersi che il suo contenuto potesse essere diverso. Secondo la dottrina e la giurisprudenza recenti, l'art. 21 octies deve essere letto in ottica generale come diretto ad estendere la cognizione del GA, in materia di attività provvedimentale della PA, alla spettanza sostanziale della pretesa, non limitandosi ad un giudizio sulla legittimità formale del provvedimento.

Interesse legittimo pretensivo e oppositivo

L'interesse legittimo può essere pretensivo e, cioè, diretto al conseguimento di uno specifico provvedimento amministrativo e della relativa e connessa utilità sostanziale o, al contrario, si può trattare di un interesse legittimo oppositivo, volto, cioè, ad impedire provvedimenti amministrativi lesivi delle proprie situazioni soggettive e ciò sia in via preventiva sia, in via successiva, con ricorsi amministrativi o giudiziali volti alla rimozione del provvedimento amministrativo illegittimamente adottato. La differenza tra interessi pretensivi e oppositivi non più essenziale ai fini del risarcimento del danno riconosciuto, in via astratta, successivamente alla storica sentenza n. 500 del 1999 delle SS.UU della Suprema Corte di Cassazione, per entrambe le tipologie di interesse, mantiene una particolare rilevanza in tema di quantificazione del danno in quanto, in relazione agli interessi oppositivi, esso può agevolmente calcolarsi sulla base dell'originaria posizione sostanziale incisa dal provvedimento mentre, con riferimento agli interessi pretensivi, è necessario un complicato giudizio prognostico sulla spettanza del bene.

Interesse legittimo partecipativo

L'interesse legittimo può anche configurarsi come interesse partecipativo, inteso ad esprimere il proprio contributo già all'interno del procedimento volto all'adozione del provvedimento amministrativo e come interesse procedimentale, affinchè il procedimento amministrativo si concluda nella tempistica prestabilita. Con riferimento all'interesse partecipativo, parte della dottrina afferma trattarsi di un vero e proprio diritto soggettivo e, tuttavia, nell'affermarne la strumentalità ai fini della tutela della posizione soggettiva eventualmente incisa dal provvedimento finale, si tratta di tesi che non conduce a modifiche in tema di riparto di giurisdizione.

Interesse legittimo e diritto soggettivo

L'interesse legittimo si distingue dal diritto soggettivo innanzitutto in quanto, ai fini della sua realizzazione, è necessaria l'intermediazione della PA mentre il diritto soggettivo può realizzarsi direttamente o attraverso il comportamento del soggetto creditore.

Sotto il profilo delle forme di protezione, poi, il diritto soggettivo conosce solo le azioni risarcitorie e quelle reintegratorie, mentre l'interesse legittimo può condurre ad esperire azioni di annullamento del provvedimento lesivo o ricorsi in via amministrativa. Inoltre, l'interesse legittimo consente di avviare il procedimento amministrativo e di parteciparvi.

La teoria dei diritti condizionati

Deve, peraltro, sottolinearsi come sia stata abbandonata la teoria dei diritti condizionati, secondo la quale un diritto soggettivo, dinanzi all'esercizio del potere autoritativo, subiva un affievolimento trasformando la propria consistenza sostanziale in interesse legittimo da far valere in sede giurisdizionale amministrativa. Secondo la più moderna dottrina, infatti, la posizione di diritto soggettivo, nel rapporto con l'esercizio del potere, è suscettibile subire limitazioni più o meno incisive ma non si trasforma in interesse legittimo in quanto, piuttosto, convive con tale ultima situazione soggettiva che consente la partecipazione al procedimento amministrativo e la reazione giudiziale avverso un provvedimento che sia stato illegittimamente adottato.

A seguito della già citata pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione n. 500/1999, inoltre, la lesione di un interesse legittimo consente la tutela risarcitoria di cui all'art. 2043 c.c. e, secondo la più recente giurisprudenza di Cassazione in tema di pregiudiziale amministrativa, anche laddove il provvedimento amministrativo non sia stato impugnato nel termine di decadenza (si vedano anche la sentenza n. 19200 del 24 settembre 2004 delle SS.UU. della Suprema Corte nonchè, più in generale sul tema, la sentenza n. 2348 del 11 maggio 2007 della Sezione V del Consiglio di Stato).

Interessi diffusi e collettivi

Altra particolare classificazioni degli interessi legittimi è quella degli interessi superindividuali che, a lora volta, si distinguono in interessi diffusi e collettivi. Difatti, dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che le posizioni soggettive possono assumere una dimensione superindividuale.

Interessi diffusi sono interessi adespoti, non riferibili ad una pluralità indeterminata di individui ma al contrario comuni a tutti gli individui di una formazione sociale non organizzata e non individuabile autonomamente. Si tratta, infatti, di interessi che riguardano beni insuscettibili di appropriazione individuale, quali l'ambiente, la salute e la qualità della vita e quindi anche di gestione processuale, perciò opportunamente definiti come "adespoti", ossia senza portatori, privi di titolari. Agli stessi fa riferimento l'art. 9 della legge n. 241 del 1990, disponendo che "qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, hanno facoltà di intervenire nel procedimento".

Gli interessi collettivi sono comuni a più soggetti che si associano come categoria o gruppo omogeneo per realizzare i fini del gruppo stesso. A differenza degli interessi diffusi, gli interessi collettivi sono suscettibili di tutela giurisdizionale, perché trovano una titolarità in enti esponenziali capaci di agire, che si distinguono tanto dalla comunità generale quanto dai singoli associati nell'organizzazione. Si tratta perciò di interessi legittimi: nel dettaglio, è l'interesse che fa capo ad un ente esponenziale di un gruppo non occasionale, della più varia natura giuridica, come ad esempio associazioni private riconosciute, associazioni di fatto, ordini professionali, ma autonomamente individuabile. È quindi differenziato e qualificato. Ne consegue che la lesione dell'interesse collettivo legittima al ricorso soltanto l'organizzazione e non i singoli che di essa fanno parte. Inoltre, all'organismo esponenziale dell'interesse collettivo è riconosciuta legittimazione ad agire a tutela dell'interesse collettivo, riferibile quindi alla categoria unitariamente intesa, non già a protezione dell'interesse particolaristico del singolo soggetto che vi appartiene.

L'interesse pubblico

Diverso ma collegato all'interesse legittimo è il cd. interesse pubblico. Tale espressione "interesse pubblico" è di uso frequentissimo nel linguaggio del diritto amministrativo e ad essa spesso si tende ad attribuire un significato enfatico e quasi mitico, quello di "bene comune".

In realtà, è facile comprendere come possano essere considerati sì interessi pubblici alcuni interessi che in un dato momento storico si tende a considerare "interessi generali", cioè comuni alla generalità delle persone appartenenti a un certo insieme costituente il gruppo di riferimento di un pubblico potere e che non potrebbero essere soddisfatti individualmente. Ma si capisce anche come non necessariamente tutti gli interessi di carattere generale finiscano per essere considerati interessi pubblici.

Interesse pubblico e interessi privati

Da ciò consegue che assai spesso non appare possibile distinguere, dal punto di vista sociale ed economico, l'interesse pubblico dagli interessi privati, considerando il primo come un interesse comune a tutti e i secondi come interessi esclusivamente individuali che si contrappongono al primo. In realtà gli interessi davvero comuni a tutti i membri di una comunità sono rari (a ben vedere anche una grave catastrofe può essere occasione per alcuni di vantaggi superiori ai danni). In definitiva, possono essere qualificati come interessi pubblici interessi di privati (nell'ipotesi migliore, della maggioranza dei cittadini) che contrastano con gli interessi di altri privati, così che taluni interessi pubblici finiscono per essere reciprocamente in contrasto (si ricordi l'esempio relativo all'interesse alla protezione ambientale che può contrapporsi all'interesse all'occupazione).

Normalmente, dunque un interesse pubblico altro non è che un insieme di interessi privati. Per quanto si debba auspicare che vengano considerati pubblici interessi almeno tendenzialmente generali, ciò che conta dal punto di vista giuridico è che sono da considerare interessi pubblici quelli qualificati tali dagli apparati politici (nel nostro ordinamento, organizzati secondo il principio democratico) e, talvolta, dalle stesse amministrazioni. In altre parole, all'interesse pubblico non si può attribuire un significato sostanziale, ma soltanto giuridico-formale.

Sotto altro profilo, va sottolineato che il fatto che gli apparati politici abbiano il compito preminente di definire gli interessi pubblici, non significa che debbano essere e comunque siano in grado di definire e individuare puntualmente gli interessi da curare in tutte le diverse circostanze concrete nelle quali è richiesto lo svolgimento di un'attività amministrativa, così che questa possa ridursi esclusivamente allo svolgimento di un'attività totalmente vincolata. Al contrario, gli atti di indirizzo politico dell'amministrazione hanno di norma un qualche grado di generalità.

Molto spesso, cioè, non viene individuato specificamente l'interesse pubblico da perseguire nei concreti casi della vita; piuttosto viene indicato un genere di interessi cui dovrà essere data particolare attenzione (e al quale talvolta ci si riferisce parlando di interesse pubblico "primario") quando le amministrazioni pubbliche saranno chiamate ad individuare in concreto l'interesse da curare (per esempio, l'interesse alla tutela dell'ambiente, quando si deve autorizzare la circolazione di un certo tipo di veicolo a motore).

Dunque, il fatto che le amministrazioni siano tenute a rispettare le indicazioni che provengono dagli apparati politici non esclude, in primo luogo, che anche la loro attività possa consistere in scelte fra diversi interessi. Infatti, "interesse pubblico in concreto" sarà da definire, a posteriori, l'interesse individuato dalle amministrazioni dopo aver confrontato e valutato diversi interessi, pubblici e privati, rilevanti nel caso di specie, conformandosi alle indicazioni concernenti l'interesse pubblico primario nonché agli altri principi e regole giuridiche che vedremo.

Gli atti di indirizzo solo parzialmente coincidono con le fonti del diritto. Vi sono atti di indirizzo che non sono atti-fonte (per esempio, i programmi e le direttive); d'altra parte non tutte le fonti del diritto contengono atti di indirizzo per le amministrazioni pubbliche (basti pensare alle norme del codice civile e a tutte quelle dello stesso genere). È anche ben noto che, benché la legge sia la fonte del diritto per antonomasia, non tutte le fonti del diritto sono leggi (si ricordino i regolamenti).

Interessi di fatto e interessi semplici

Ciò detto, occorre accennare ai cd. interessi di fatto e ai cd. interessi semplici. Si tratta di posizioni che non assurgono al rango di interessi legittimi e, pertanto, risultano non protette dall'ordinamento giuridico. Tipici interessi di fatto sono quelli da tutti vantati all'osservanza da parte dell'amministrazione di doveri pubblici posti a vantaggio della collettività indifferenziata. Si tratta di interessi privi, pertanto, di quel carattere della differenziazione che, tipico dell'interesse legittimo, consente l'accesso alla tutela giurisdizionale.

Sul punto si osserva che rispetto alla tendenziale non tutelabilità in giudizio degli interessi di fatto costituiscono una rilevante eccezione le azioni popolari.

Le azioni popolari

Tale istituto mira a garantire una tutela oggettiva al privato, derogando al principio della personalità dell'interesse ad agire in giudizio. Difatti, è conferita la legittimazione a promuovere un giudizio strumentale alla difesa di un interesse pubblico proprio di una collettività indifferenziata.

Sono due le azioni popolari ritenute esperibili, ovvero l'azione suppletiva e quella correttiva. Nella prima l'attore cd. popolare si sostituisce all'ente esponenziale rimasto inerte nel far valere le proprie pretese nei confronti di un terzo, così realizzando una forma di sostituzione processuale. La seconda è l'azione correttiva che è posta in essere per reagire all'illegittimo operato della p.a. e salvaguardare l'interesse collettivo al buon andamento dell'amministrazione. Si tratta per esempio di quelle esperibili dal cittadino elettore in materia di operazioni elettorali dei Consigli regionali, provinciali e comunali.

Un discorso a parte meritano le azioni popolari "atipiche", non previste cioè specificamente da una norma dell'ordinamento, ma originate da innovative interpretazioni di una parte della giurisprudenza amministrativa che, attraverso la dilatazione dei confini della legittimazione a ricorrere, pur con comprensibili cautele, ha inteso offrire una risposta adeguata alle carenze e ai limiti di uno strumento giudiziale incapace di fronteggiare le nuove istanze di tutela provenienti da un sistema economico-sociale che pare avere ormai abbandonato i suoi tradizionali canali esclusivi di mediazione.

La particolarità della materia ambientale

Nella materia ambientale, il problema della legittimazione di enti esponenziali portatori di interessi collettivi a ricorrere contro atti amministrativi è stato affrontato dal legislatore all'art. 13, comma 1, l. n. 349 del 1986 che rimette la selezione ministeriale delle associazioni ad una serie di criteri, quali la diffusione territoriale nazionale, il perseguimento di finalità di tutela ambientale, etc.. Viene riconosciuta alle associazioni individuate la legittimazione ad intervenire nei giudizi per danno ambientale e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l'annullamento di atti illegittimi.

Giova soggiungere il riferimento all'art. 146, co. 13, d.lgs. 42 del 2004, che ha riconosciuto alle associazioni ambientalistiche portatrici di interessi diffusi individuate ai sensi dell'art. 13 della legge 349 del 1986, anche la legittimazione ad impugnare l'autorizzazione paesaggistica.

In generale, il danno ambientale è ora regolato dal Codice dell'ambiente che, dopo aver definito il danno ambientale come "qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell'utilità assicurata da quest'ultima", precisa quali sono dette risorse. Resta fermo che l'ambiente, in senso giuridico, integra un bene unitario e immateriale, rappresentando un insieme che, pur comprendendo vari beni o valori, si distingue da questi e si identifica in una realtà priva di consistenza materiale, ma espressione di un autonomo valore collettivo, specifico oggetto, come tale, di tutela da parte dell'ordinamento, rispetto ad illeciti, la cui idoneità lesiva va valutata con riguardo a siffatto valore e indipendentemente dalla particolare incidenza verificatasi su una o più delle dette singole componenti.

In termini di diversità di oggetto e di criteri di quantificazione del danno, la differenza strutturale tra il danno all'ambiente e il danno da lesione di determinati beni, privati o pubblici, che può derivare dall'evento lesivo per l'ambiente. L'indicata distinzione assume oggi un'importanza centrale a seguito dell'entrata in vigore del Codice dell'ambiente e della centralizzazione delle azioni di risarcimento del danno in capo al Ministro dell'ambiente.

Avv. Veronica Bordoni

email: avv.bordoni@gmail.com

Avvocato Veronica Bordoni del Foro di Firenze, con studio in Firenze e in Montecatini Terme.

Laurea magistrale in giurisprudenza Università degli Studi di Firenze e diploma Scuola di specializzazione per la professioni legali.

Attualmente opera in ambito civilistico con particolare riferimento alle materie dei diritto societario, commerciale, amministrativo, immigrazione e cittadinanza, proprietà intellettuale e recupero del credito.

Data: 16/01/2019 18:00:00
Autore: Veronica Bordoni