La libertà morale della persona nell'assunzione della prova penale
Avv. Giovanni Chiarini - L'art. 188 c.p.p. stabilisce una fondamentale regola generale, prevedendo che "Non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interessata, metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti"; la sanzione dell'inutilizzabilità, peraltro, viene ribadita anche all' art. 191 c.p.p., in quanto tali atti sono comunque qualificabili come prove illegittimamente acquisite.
Le fonti normative
Tale norma è anche il corollario processuale delle più generali regole giuridiche sovranazionali, già sedimentate da tempo (nate e e create per contrastare e rigettare ogni tipo di tortura), norme che sono ancora molto attuali (es: art. 5 Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948; art. 3 CEDU, art. 7 Patto di New York del 1966; art. 4 Carta di Nizza del 2000). Recentemente, tra l'altro, il legislatore italiano ha accentuato la forza normativa di tale disposizioni prevedendo, con l'inserimento del comma 2° bis all'art. 191 c.p.p., che "Le dichiarazioni o le informazioni ottenute mediante il delitto di tortura [613-bis, 613-ter c.p.] non sono comunque utilizzabili, salvo che contro le persone accusate di tale delitto e al solo fine di provarne la responsabilità penale"[1]
E' importante in ogni caso evidenziare che tale divieto probatorio (art. 188) opera oggettivamente, ed un eventuale consenso dell'interessato non renderebbe comunque lecito l'uso di metodi e tecniche vietati, determinando in ogni caso l'invalidità dell'atto acquisitivo di ogni dichiarazione. La dottrina ha individuato la ratio di tale norma osservando che non solo occorre distinguere tra "giusto processo" e "giusto procedimento", ma occorre focalizzarsi anche (e soprattutto) su un "giusto metodo probatorio"[2], ricordandosi che "quando lo Stato processa un imputato, lo espone al rischio di una condanna, anche a quello di una condanna errata; proprio perché siano esercitati correttamente i loro poteri, gli organi statuali devono agire nel rispetto della legge, cioè in modo tale da evitare che una persona sia condannata ingiustamente"[3].
Tornando al contenuto dell'art. 188 c.p.p., autorevoli autori hanno scritto che "tra i metodi che influiscono sulla facoltà di reagire liberamente rispetto agli stimoli o che sono idonei ad alterare la capacità di ricordare i fatti o la capacità di valutare i fatti possiamo enumerare la tortura fisica o psichica, la narcoanalisi, l'ipnosi, il poligrafo, denominato anche lie detector o macchina della verità"[4] e, quindi, non solo la tortura comunemente intesa rientra in tale disposizione, che appunto è molto più ampia.
L'interrogatorio e l'art. 64 comma 2° c.p.p.
Con riguardo all'interrogatorio è stato però osservato dalla dottrina che "al tempo stesso, appare difficile precludere all'interrogante una sia pur inespressa valutazione degli aspetti di comunicazione non verbale dell'indagato (ad esempio tremori, imbarazzi, etc.); in particolare, specie nell'interrogatorio non collaborativo, in cui appare che la persona stia mentendo o sia reticente, è consentito valutare i tratti psicologici del soggetto per poi coglierne eventuali punti deboli con domande mirate (vanità, idee di persecuzione, torti subiti, scatti nervosi, etc.)".[5]
Infatti, la disposizione di cui all'art. 188 c.p.p. è di fatto collegata con le regole previste all'art. 64 comma 2° c.p.p., il quale riprende, testualmente, la regola della libertà morale durante lo svolgimento dell'interrogatorio dell'indagato, ove "Non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interrogata, metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti". D'altronde, giustamente, il codice di procedura penale prevede all'art. 61 c.p.p. che "I diritti e le garanzie dell'imputato si estendono alla persona sottoposta alle indagini preliminari". Sul punto, interessante è anche quanto riportato nell'Ordinanza della Corte Costituzionale n. 191/2003, la quale ha ricordato che interrogatorio ed esame si iscrivono entrambi agevolmente nella categoria degli atti processuali a contenuto dichiarativo (dunque garanzie applicabili anche in sede di esame dell'imputato)[6].
Ragionando di principio, autorevole dottrina ha poi sapientemente osservato che "l'osservanza di una regola non deve essere una scelta che si compie solo per scongiurare effetti invalidanti, ma deve testimoniare il rispetto dei valori deontologici di ogni agire leale"[7] e che, inoltre, "la lealtà di comportamento è premessa indefettibile della legalità dell'accertamento", il che dovrebbe essere il fondamento dello Stato di diritto, della libertà e dei diritti di difesa e di giusto processo costituzionalmente garantiti agli artt. 13, 24 e 111 Cost.
Alcune pronunce giurisprudenziali
Per quanto riguarda la giurisprudenza, appaiono particolarmente significative le seguenti pronunce:
Tribunale di Piacenza, Sent. 13-12-1991[8], nella quale si è sostenuto che "l'art. 188 vuole evitare l'ingresso nel processo di prove ottenute con il ricorso a metodiche (lie detector, sieri della verità, ipnosi) tali da vanificare l'attitudine della persona all'autodeterminazione ed all'esercizio delle facoltà mnemoniche e valutative. In altri termini, l'art. 188 vieta il ricorso a tutti quei metodi o tecniche capaci di influire su un comportamento attivo della persona, ma non certo il ricorso a tutti quegli espedienti necessari (...) per l'espletamento di un mezzo istruttorio cui l'imputato è obbligato a sottoporsi (nel caso di specie, al fine di consentire lo svolgimento di una ricognizione di persona, il presidente del tribunale, avvalendosi dei suoi poteri in ordine alle modalità di espletamento delle prove, aveva fatto togliere dalla forza pubblica all'imputato le mani dal viso).
Corte di cassazione penale, sez. I, 25 maggio 2017, n. 26326 [9] ove è stata esclusa la violazione dell'art. 188 c.p.p. laddove, in sede di interrogatorio, gli inquirenti abbiano richiesto all'imputata "di mimare - attuando così una forma di esperimento giudiziale - la dinamica dell'omicidio, e l'imputata, nel totale silenzio della difesa che pur avrebbe potuto opporvisi, ha accettato"
Cassazione civile, Sezioni Unite, 1 febbraio 2008, n. 2444 , Bilotta c. Min. Giustizia Proc. Gen. Cassazione, la quale ha sancito che "In tema di responsabilità disciplinare del magistrato, integra l'elemento oggettivo costitutivo di un illecito disciplinare, rilevante a norma dell'art. 18 del regio D.L.vo 31 maggio 1946, n. 511, sotto il profilo della violazione dei doveri di correttezza e di rispetto della dignità della persona e della conseguente compromissione del prestigio dell'ordine giudiziario, il comportamento del P.M. il quale disponga, nel corso delle indagini preliminari, una consulenza tecnica attraverso la quale una persona informata dei fatti venga sottoposta, in violazione del divieto di cui all'art. 188 c.p.p., ad una seduta ipnotica al fine di recuperare ricordi rimossi"
Cass. pen., sez. , I, 30 gennaio 2014, n. 4429 , ud. 18 dicembre 2013, nella quale è riportato che "È inutilizzabile l'intercettazione delle dichiarazioni indotte in una persona dall'adozione di metodi o tecniche idonei a influire sulla sua capacità di autodeterminazione, posto che il divieto dell'art. 188, primo comma, c.p.p. investe l'oggetto della prova e non è circoscritto al contesto formale delle sole prove dichiarative. (Fattispecie nella quale le conversazioni indizianti erano state registrate in un ufficio di Polizia, dove il locutore era stato sottoposto a minacce e violenze dal personale di p.g.)"
Giovanni Chiarini (Avvocato del Foro di Piacenza, già tirocinante ex art. 73 D.L. 69/2013 presso la Procura della Repubblica di Lodi)
[1] Sul punto, si rimanda ad A. CONTINIELLO - G. CHIARINI, "Anatomia del reato di Tortura. Riflessi attuali e conseguenze processuali", Diritto Penale Contemporaneo, 14 Gennaio 2019.
[2] Come osservato da C. FANUELE, "La ricostruzione del fatto nelle investigazioni penali", CEDAM, 2012, pag. 5.
[3] C. FANUELE, op. cit., pag. 211.
[4] P. TONINI, "Manuale di procedura penale", Sedicesima Edizione, Giuffré Editore, 2015, pag. 281.
[5] C. BONZANO, "L'interrogatorio investigativo", CEDAM, 2012, pag. 79.
[6] Parimenti, per quanto riguarda invece l'esame testimoniale (e dunque in contesto ovviamente ben differente) il codice prevede comunque all'art. 499 comma 4° che "Il presidente cura che l'esame del testimone sia condotto senza ledere il rispetto della persona", delegando dunque al giudice la lealtà delle parti anche a livello dibattimentale durante l'esame dei testi.
[7] A.A. Dalia - M. Ferraioli, "Manuale di diritto processuale penale", decima edizione, 2018, CEDAM, pag. 253
[8] Tribunale di Piacenza, Sent. 13-12-1991, in CEDAM, Commentario breve al codice di procedura penale, 2017, pag. 645, in citazione di C. Pen. 93, 448.
[9] Corte di cassazione penale, sez. I, 25 maggio 2017, n. 26326
Data: 23/01/2019 17:00:00Autore: Giovanni Chiarini