Cassazione: troppo lento al lavoro? Licenziato!
di Annamaria Villafrate - Con la sentenza n. 2289/2019 della sezione lavoro, la Cassazione respinge il ricorso del lavoratore, ritenendo legittimo il licenziamento allo stesso intimato dalla società datrice, per non aver rispettato i tempi di lavorazione di un lotto di trenta pezzi. La Suprema Corte ha ritenuto indicativi e importanti, ai fini del decidere, due precedenti negativi del lavoratore, provati e non contestati e la prognosi negativa dell'azienda stessa sulla possibilità di un aumento di diligenza da parte del dipendente nell'esecuzione la sua prestazione lavorativa.
La vicenda processuale
La Corte di appello ha confermato il rigetto dell'impugnazione del licenziamento con preavviso intimato a un dipendente dalla S.r.l datrice, in base a una contestazione con cui è stata addebitata al lavoratore "scarsità di rendimento in relazione alla tornitura di un lotto di 30 pezzi e la recidiva in precedenti condotte sanzionate con la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione."
Il giudice del reclamo ritenendo dimostrati il fatto oggetto di contestazione del 16.4.2014 e i due precedenti disciplinari contestati con lettere del 27.3.2013 e del 1.4.2014 e sanzionati con la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, ha ritenuto integrata la fattispecie prevista dalla norma collettiva, che consente il recesso con preavviso. Ricorre Cassazione il lavoratore, resiste con controricorso la società datrice intimata.
Legittimo il licenziamento del lavoratore lento senza margini di miglioramento
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 2289/2019, contrariamente a quanto affermato dal dipendente, ritiene non violato il principio dell'onere della prova in relazione ai fatti integranti la recidiva dell'operaio. Nel respingere questo motivo di ricorso gli Ermellini fanno presente che "il giudice di prime cure aveva correttamente applicato la regola secondo la quale la dimostrazione dei fatti alla base del licenziamento ricadeva sulla parte datoriale, ritenendo provato sia l'addebito del 27.3.2014, - di cui peraltro era stata contestata soltanto la genericità della contestazione - che gli addebiti contestati con lettere del 1.4. 2014 e del 16. 4. 2014, ulteriormente puntualizzando, quanto all'addebito di cui alla lettera in data 1.4.2014, che, a fronte della eccepita irrilevanza dei fatti contestati - eccezione non modificabile in sede di reclamo - era da condividere l'assunto del giudice di prime cure che aveva ritenuto dimostrata la condotta ascritta - in quanto sostanzialmente non contestata oltre che provata dai documenti prodotti dalla società -."
La Corte inoltre, nel respingere il quarto motivo del ricorso del lavoratore, ritiene la sentenza impugnata coerente con il principio secondo cui, deve escludersi la configurabilità in astratto di un automatismo nell'applicare una sanzione disciplinare, soprattutto quando essa consiste nel licenziamento. La decisione di rigetto dell'impugnazione del licenziamento infatti "non è frutto della meccanica applicazione della previsione collettiva che consentiva il recesso per giustificato motivo soggettivo in presenza di due precedenti sospensioni comminate ai sensi dell'art. 9 c.c.n.l. disciplinari ma nasce dall'autonoma valutazione fondata sulla prognosi negativa in ordine al miglioramento dei rapporti ed all'aumento di diligenza nell'esecuzione della prestazione da parte del lavoratore."
Per cui, una volta provati e non contestati i due precedenti addebiti e ritenuta valida la prognosi negativa della società datrice relativamente al miglioramento dei rapporti con il lavoratore e all'aumento della sua diligenza nell'eseguire le lavorazioni a cui è addetto, il licenziamento è da ritenersi legittimo.
Data: 07/02/2019 06:00:00Autore: Annamaria Villafrate