Rapina tentata in caso di mancato impossessamento della refurtiva
di Alessandro Simone Favosi - Rapina solo tentata in caso di mancato impossessamento della refurtiva. In questi termini, la Corte di Cassazione (sentenza n. 7606/2019 sotto allegata) si pronuncia a favore del ricorso dell'imputato ribaltando la sentenza della Corte d'appello.
La vicenda
Il caso tratta della contestazione del reato di rapina ai danni di un esercente commerciale: il soggetto viene accusato di essersi impossessato della refurtiva e a seguito del superamento delle barriere antitaccheggio (che suonavano richiamando l'attenzione degli addetti alla sicurezza), di aver usato violenze e minacce contro questi ultimi al fine di assicurarsi il bottino.
Rapina e furto: la sottrazione e l'impossessamento
Alla base della decisione della Cassazione vi è una ricostruzione dottrinalmente accurata delle componenti di tali due reati. La Suprema Corte, infatti, nel rintracciare l'interpretazione maggiormente conforme, crea un parallelo inscindibile tra i due istituti, andando a definire come ciò che li distingue realmente sia il quid pluris presente all'interno della rapina, ossia: l'uso di violenza o minaccia finalizzate all'impossessamento della cosa mobile altrui mediante sottrazione a chi la detiene.
Si noti come la Corte, nella sentenza in questione, partendo da questo presupposto, inizia una disamina del rapporto che si instaura tra il furto e il tentativo.
Necessaria risulta la definizione di due termini:
Per sottrazione si intende, in dottrina, quella condotta atta a determinare l'uscita della cosa dalla signoria di fatto del precedente possessore.
Per impossessamento, invece, si intende quella condotta successiva alla sottrazione e integrata dall'ottenimento del bene da parte del reo.
La domanda che si pone la Corte è: la condotta di sottrazione di merce all'interno di un supermercato, avvenuta sotto il costante controllo del personale di vigilanza, è qualificabile come furto consumato o tentato allorché l'autore sia fermato dopo il superamento della barriera delle casse con la merce sottratta?
Per rintracciare la corretta risposta il collegio fa riferimento alla sentenza n. 52117 del 17/07/2014 secondo la quale l'indirizzo prescelto è quello che «si fonda sulla considerazione che la concomitante osservazione da parte della persona offesa, ovvero del dipendente personale di sorveglianza, dell'avviata azione delittuosa (al pari dei controlli strumentali mediante apparati elettronici di rilevazione automatica del movimento della merce, scilicet: sensori, placche antitaccheggio) e la correlata e immanente possibilità di intervento nella immediatezza, a tutela della detenzione, impediscono la consumazione del reato, per non essersi perfezionata la fattispecie tipizzata – dell'impossessamento, mediante sottrazione, della cosa altrui – in quanto l'agente non ha conseguito l'autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo diretto del soggetto passivo, la cui "signoria sulla cosa" non è stata eliminata».
Rapina e tentativo
Nella sentenza di riferimento, infine, si ritiene di voler privilegiare il connotato effettivo che deve caratterizzare il momento consumativo del furto (e dunque della rapina).
Se infatti le intenzioni dell'agente sono lapalissiane nel momento in cui attraversa la cassa senza pagare, la reale consumazione del reato è meno scontata se l'azione delittuosa viene rilevata «nel suo divenire dalla persona offesa o dagli addetti alla vigilanza».
In conclusione, il collegio si esprime a favore della configurabilità in casi simili del tentativo di rapina.
Data: 25/02/2019 14:00:00Autore: Alessandro Simone Favosi