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Omicidio colposo per il medico che prescrive farmaci pericolosi

Commette reato il medico che prescrive fendimetrazina alla propria paziente nonostante i divieti imposti dalla legge causandone così il decesso


di Valeria Zeppilli – Il medico che prescrive un farmaco pericoloso a una propria paziente per farla dimagrire senza adottare le opportune cautele può essere chiamato a rispondere del reato di omicidio colposo, come è di recente successo a un endocrinologo/diabetologo, che ha visto confermata in via definitiva la sua condanna con la sentenza della Corte di cassazione numero 8086/2019 qui sotto allegata.

La colpa del medico

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Il medico, in particolare, aveva prescritto alla paziente la fendimetrazina nonostante il divieto di cui al d.m. del 24 gennaio 2000 e aveva violato le disposizioni dettate dal d.m. 18 settembre 1997 sulla durata massima trimestrale del trattamento farmacologico. Il medico, inoltre, aveva prescritto il predetto farmaco nonostante ne conoscesse i rischi e aveva somministrato unitamente a esso anche altre sostanze attive senza considerare lo stato psico-fisico della paziente e omettendo di acquisire le informazioni amnestiche e di disporre gli accertamenti clinici strumentali utili.

Per i giudici la morte della paziente era quindi da considerarsi a lui imputabile, essendo l'evento non solo evitabile ma anche prevedibile.

Prevedibilità

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Proprio con riferimento alla prevedibilità, i giudici hanno precisato che non è richiesto che essa "riguardi la configurazione dello specifico fatto in tutte le sue più dettagliate articolazioni ma la classe di eventi in cui quello oggetto del processo si colloca".

Più in generale, la Corte ha aggiunto anche che "dal punto di vista soggettivo per la configurabilità del rimprovero è sufficiente che tale connessione tra la violazione delle prescrizioni recate dalle norme cautelari e l'evento sia percepibile, riconoscibile dal soggetto chiamato a governare la situazione rischiosa".

Il giudizio di imputazione causale

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Nel ricostruire il nesso di causalità tra la condotta del sanitario e il decesso della paziente, la Corte di cassazione ha ampiamente ripercorso i principi che reggono il relativo accertamento, citando in più occasioni la sentenza Franzese e ricordando che l'elevata probabilità logica richiesta per porre giuridicamente due fatti in rapporto di causa/effetto "non esprime altro che la forte corroborazione dell'ipotesi sulla base delle concrete acquisizioni probatorie disponibili".

I giudici, in proposito hanno poi aggiunto che "la corroborazione dell'ipotesi è fondata sulla affidabilità delle informazioni scientifiche utilizzate; sull'evidenza probatoria, disponibile e coerente con l'ipotesi stessa; nonché, infine, sulla capacità di resistenza di questa rispetto alle contro-ipotesi". Infatti, solo in tal modo "può esservi razionalità dell'ipotesi e la coerenza logico-argomentativa dell'enunciato diviene oggettiva dimostrazione di "verità" processuale".

Data: 02/03/2019 09:00:00
Autore: Valeria Zeppilli