Crocesegno: quando è valido per la legge e la giurisprudenza
di Annamaria Villafrate - Il crocesegno, ovvero il segno della croce apposto su un documento in sostituzione della firma è ammesso dal nostro ordinamento solo in determinati casi e con particolari cautele, necessarie affinché l'atto non sia colpito da nullità.
Di recente la Cassazione, nella sentenza n. n. 13649/2019 (sotto allegata) si è pronunciata sulla validità del verbale di elezione di domicilio dell'imputato sottoscritto con crocesegno, senza che il pubblico ufficiale redigente abbia attestato l'impossibilità a sottoscrivere della dichiarante.
Cos'è il crocesegno
Come si può intuire dal termine il crocesegno è un segno fatto a croce che viene apposto su un documento, al posto della firma da parte di soggetti impossibilitati a sottoscrivere perché disabili o analfabeti.
Il crocesegno non è equiparabile, dal punto di vista giuridico, alla sottoscrizione, per questo la legge richiede ulteriori requisiti, come l'apposizione del crocesegno innanzi a un pubblico ufficiale e la presenza di testimoni.
La presenza di questi soggetti infatti è necessaria per certificare la provenienza, la paternità della sottoscrizione.
Quando è valido il crocesegno
Il crocesegno è considerato valido dall'ordinamento in casi determinati, previsti dalle disposizioni di legge sotto riportate:
Crocesegno su quietanze, mandati o titoli di spesa statali
Ex art. 421 R.D n. 827 del 23 maggio 1924 "Regolamento per l'amministrazione del patrimonio e per la contabilita' generale dello Stato" si prevede che: "I creditori devono, alla presenza di chi paga, stendere la quietanza sui titoli di spesa nell'apposita sede, apponendovi il proprio nome e cognome. Se coloro che debbono dar quietanza non possono o non sanno scrivere, la quietanza medesima può risultare da un segno di croce fatto alla presenza dell'ufficiale pagatore e di due testimoni da lui conosciuti e che sottoscrivono."
Cambiali agrarie
Secondo l'art. 1 della legge n. 918 del 5 dicembre 1949, "Elevazione dell'importo massimo delle cambiali agrarie sottoscrivibili con croce segno" il quale ha elevato "da L. 5000 L. 100.000 l'importo stabilito dall'art. 7 del regio decreto-legge 29 luglio 1927, n. 1509, convertito nella legge 5 luglio 1928, n. 1760, per la sottoscrizione mediante croce-segno delle cambiali agrarie."
Crocesegno del non vedente
Ex art. 4 della legge n. 18 del 3 febbraio 1975 "Provvedimenti a favore dei ciechi": "Quando la persona affetta da cecità non è in grado di apporre la firma, effettua la sottoscrizione con un segno di croce; se non può sottoscrivere neppure con il segno di croce, ne e' fatta menzione sul documento con la formula "impossibilitato a sottoscrivere". Nei casi previsti nel comma precedente il documento e' perfezionato con l'intervento e la sottoscrizione di due persone designate ai sensi dell'articolo 3."
L'art. 3 richiamato prevede infatti che "Per espressa richiesta della persona affetta da cecità e' ammessa ad assistere la medesima, nel compimento degli atti di cui all'articolo 2, o a partecipare alla loro redazione, nei limiti indicati dall'interessato, altra persona cui egli accordi la necessaria fiducia. La persona che, ai sensi del comma precedente, presta assistenza nel compimento di un atto, deve apporre su di esso, dopo la firma del cieco, la propria, premettendo ad essa le parole "il testimone". La persona che, ai sensi del primo comma, partecipa alla redazione di un atto, deve apporre su di esso, dopo la firma del cieco, la propria, premettendo le parole "partecipante alla redazione dell'atto".
La giurisprudenza della Cassazione sul crocesegno
Di recente la Cassazione con sentenza n. 13649/2019 ha emesso un'importante pronuncia proprio sul crocesegno. L'imputata ha presentato ricorso perché a suo giudizio il verbale di elezione di domicilio in calce al quale aveva apposto un doppio "crocesegno", senza che i pubblici ufficiali avessero attestato la sua incapacità a sottoscrivere, doveva ritenersi nullo, con conseguente nullità della notifica dell'estratto contumaciale e a cascata della non esecutività della sentenza.
Per gli Ermellini però tale ricorso è infondato.
Risulta infatti che l'atto è stato sottoscritto dalle ricorrente, che non ne ha disconosciuto la paternità e che la provenienza risulta attestata dai pubblici ufficiali che hanno redatto il verbale. Ora, la giurisprudenza non si è ancora mai espressa su una questione simile a quella oggetto della presente causa, ma solo su casi similari, relativi alla validità di altri documenti rilevanti all'interno del procedimento penale.
Nel caso di specie pertanto è necessario effettuare un ragionamento particolare, partendo dall'analisi di alcune norme:
- l'art 110 co. 1 c.p.p prevede che quando è richiesta la sottoscrizione di un atto, se la legge non dispone diversamente, è sufficiente la scrittura di propria mano in fondo all'atto, del nome e cognome di chi deve apporre la firma, essendo invalida quella effettuata con mezzi meccanici o con segni diversi;
- l'art 162 c.p.p sancisce che il domicilio dichiarato, eletto e ogni cambiamento sono comunicati dall'imputato all'autorità procedente, con dichiarazione raccolta a verbale, mediante telegramma o lettera raccomandata con sottoscrizione autenticata da un notaio o persona autorizzata o dal difensore. In questo caso l'attestazione del pubblico ufficiale risulta fondamentale per certificare la provenienza dell'atto dell'imputato;
- l'art 137 c.p.p prevede che il verbale deve essere sottoscritto alla fine di ogni foglio dal pubblico ufficiale che lo ha redatto, dal giudice e dalle persone intervenute, e se qualcuno degli intervenuti non vuole o non può sottoscrivere, ne viene fatto menzione con l'indicazione del motivo;
- l'art 142 c.p.p stabilisce che il verbale è nullo se vi è incertezza assoluta sulle persone intervenute o se manca la firma del pubblico ufficiale che lo ha redatto, ragione per cui l'assenza di altre sottoscrizioni non rende nullo l'atto;
- infine l'art 110 c.p.p comma 3 dispone che se chi deve apporre la propria firma non è in grado di farlo il pubblico ufficiale a cui viene presentato l'atto o che lo riceve oralmente, una volta accertata l'identità della persona, lo annota nell'atto stesso, senza che siano previste sanzioni se l'impossibilità a sottoscrivere non viene menzionata.
Alla luce di questa analisi normativa la Cassazione ritiene che: "se, come è accaduto nel caso di specie, la redazione del verbale è avvenuta regolarmente da parte del pubblico ufficiale, che ha attestato quanto avvenuto in sua presenza, la provenienza della dichiarazione (che la parte neppure contesta) e l'identità del dichiarante, il problema della sottoscrizione — sostituita dal doppio segno di croce — può trovare agevole soluzione ove si consideri che l'assunzione di paternità è attestata dall'ufficiale di polizia giudiziaria che garantisce la provenienza dell'atto da parte del soggetto interessato, restando relegata a mera irregolarità l'assenza della specifica attestazione dell'impossibilità di sottoscrivere da parte del dichiarante, in quanto non espressamente prevista a pena di nullità."
Data: 06/04/2019 05:00:00Autore: Annamaria Villafrate