Alla ricerca della democrazia perduta
di Angelo Casella - "L'Italia è una Repubblica democratica..." (art. 1 Cost.). Democrazia, come è ben noto, significa "potere del popolo" e, infatti, la disposizione prosegue precisando che "la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme … stabilite dalla Costituzione".
- I principi
- Significato e portata del voto
- Il dettato costituzionale
- Le deviazioni
- L'impossibilità del contributo personale
- I rappresentanti non rappresentano
- Anomalie legislative
- Il ruolo del partito
- Le devianze
- I semi del declino
- La "fabbrica del consenso"
- Il ruolo degli intellettuali
I principi
Parimenti noto che la democrazia può essere diretta o rappresentativa.
Poichè i costituenti non avevano a che fare con una bocciofila, hanno previsto quella rappresentativa.
La rappresentanza politica, requisito primario della democraticità di un sistema istituzionale, è concretamente realizzata con la elezione di un Parlamento formato da soggetti scelti dal popolo perchè amministrino la cosa comune in sua rappresentanza.
Detto meccanismo dovrebbe condurre alla approvazione di leggi e regole conformi alla volontà del c.d. "popolo". Nella realtà, accade esattamente il contrario. Vediamo perchè.
Significato e portata del voto
Il cittadino, con il suo voto, conferisce, più che un mandato o un incarico in senso proprio, una legittimazione a decidere per suo conto in ordine alla gestione della collettività. Non è previsto che questa autorizzazione abbia un contenuto. L'elettore, nella scheda apposita, può solo indicare un candidato sulla base degli elenchi predisposti da un partito di cui, orientativamente, condivide valori e principi guida; anche questi, peraltro, assai genericamente esplicitati.
L'elettore, dunque, nella pratica, si limita con il voto ad esprimere un orientamento sostanzialmente ideologico, (o, spesso, di semplice passionalità occasionale), nel quale la persona del candidato assume una dimensione del tutto secondaria.
Il termine "mandato" è perciò semplicemente utilizzato come figura retorica ad indicare la vera fonte del potere esercitato dal candidato.
Il dettato costituzionale
Questa valenza del voto è indicata dalla Carta costituzionale, (e confermata dai relativi lavori preparatori). All'art. 67, infatti, è specificato che il parlamentare esercita le sue funzioni "senza vincolo di mandato".
Il senso di questa disposizione è di agevole lettura: si vuole formare un organo decisionale composto da soggetti autonomi, svincolati da centri di interesse particolare di qualunque tipo e quindi in grado di affrontare ogni problematica senza posizioni precostituite, allo scopo di realizzare una risposta obbiettiva all'interesse della nazione nel suo insieme.
La Costituzione, in concreto, impone al parlamentare una precisa responsabilità etica, imponendogli il dovere morale di assumere decisioni che siano il solo frutto di un percorso razionale personale, libero ed autonomo, assolutamente svincolato da direttive o influenze esterne, (che – tra l'altro – se fossero operanti, svuoterebbero anche di significato la stessa sua presenza nel consesso).
Le deviazioni
Nella pratica, però, questa essenziale esigenza di autodeterminazione è minacciata da diversi fattori condizionanti. E i meccanismi della rappresentanza politica evidenziano diverse importanti alterazioni.
Innanzitutto, il cittadino non è libero di dedicarsi autonomamente alla attività politica: è costretto a bussare alla porta di un partito che lo accetti e lo inserisca nelle sue liste elettorali. Allo stato, il sistema non consente la possibilità di candidature ad iniziativa individuale, se non nel Movimento 5S. Ciò costituisce una gravissima limitazione, poiché colui che non condivide la linea di alcun partito, è escluso per ciò stesso dall'accesso alle cariche rappresentative.
Di regola, avviene che il partito sottoponga l'aspirante ad accurata valutazione. In primo luogo in base alla sua notorietà sociale, (cioè alla quantità di voti che può procurare), e ne verifichi poi la disponibilità ad adeguarsi allo schema di consenso interno (cioè a rinunciare a pensare con la propria testa).
L'impossibilità del contributo personale
Questo percorso determina nell'aspirante una sorta di debito di riconoscenza nei confronti dell'apparato, della quale quest'ultimo non manca di avvalersi. In pratica, il partito, che è caratterizzato da una forte struttura gerachico-verticistica, impone al candidato (che considera "cosa propria") un inedito dovere di "fedeltà" in base al quale egli deve presentare i progetti di legge e gli emendamenti che gli vengono consegnati, avanzare le interrogazioni che gli sono state preparate, leggere gli interventi che gli sono stati affidati, essere presente in aula se occorre, votare come e quando gli viene richiesto, ripetere gli slogan predisposti, dichiarare ciò che gli è stato precisato, esternare come gli è stato indicato. Deve cioè diventare uno strumento del partito.
Questo obbligo di adeguarsi in toto e senza tentennamenti agli ordini di scuderia è presentato come "normale" espressione della devozione dovuta. In realtà, il parlamentare dovrebbe comportarsi in modo del tutto diverso, cioè pensare e agire autonomamente, esprimendo liberamente le proprie opinioni o critiche.
Come abbiamo visto infatti, al parlamentare la Costituzione impone di votare in modo autonomo, secondo scienza e coscienza. La "fedeltà" pretesa dal partito, non solo trasforma invece un essere umano pensante (si spera) in un eterodiretto robot, schiacciabottoni a comando, ma addirittura altera il senso stesso del criterio per il quale le scelte legislative sono state rimesse ad un Collegio, cioè ad una entità formata da più persone.
Il dissenso, come la semplice diversità di opinione, non è soltanto un valore assoluto ed irrinunciabile per l'uomo come individuo, (e, per esso, un diritto costituzionalmente tutelato), ma costituisce la ragione stessa del suo inserimento in una realtà collegiale. Il senso medesimo della pluralità di un organo collettivo (nel nostro caso, il Parlamento), risiede proprio nella necessità di voler rispondere alla esigenza di disporre di molte opinioni individuali, affinchè la decisione collettiva rifletta l'interesse di tutti.
Sul piano concettuale, la differenza di giudizio, di modo di vedere, di pensiero, è uno stimolo essenziale per l'approfondimento della tematica in discussione, e per ampliare e allargare i dati considerati e le argomentazioni presentate. Ogni parere fornisce un contributo, e per ciò stesso, deve essere accolto ed esaminato dal gruppo.
Sul piano giuridico, la difformità dei pareri in un consesso decisionale non solo è ammissibile ma addirittura dovuta, sia per attribuire legittimità democratica alle decisioni stesse, sia per consentire una rimeditazione che tenga conto di tutti i vari interessi e posizioni coinvolte. Imporre un pensiero unico, significa cancellare lo scopo dell'organo collegiale, scelto e costituito perché, per l'appunto, raccolga una pluralità di opinioni ed il loro confronto, per la messa a punto di un orientamento comune, che tenga conto di tutti i punti di vista. L'ovvietà è di fronte agli occhi: perchè ci sono centinaia di parlamentari?
Per come funziona oggi il Parlamento, basterebbero i capi dei partiti.
I rappresentanti non rappresentano
Si deve prendere atto, poi, che la funzione che il parlamentare è teoricamente chiamato a svolgere è, di fatto, inesistente.
Nell'ultima legislatura, solo un quarto circa delle leggi approvate (80 su 290) risulta di iniziativa parlamentare. Dominante l'iniziativa governativa, pur in presenza di migliaia di progetti di legge predisposti dai parlamentari, ma giacenti in attesa.
Anche qui, è determinante l'influenza negativa esercitata dal partito.
La coalizione al governo elabora e impone le disposizioni di legge in funzione delle richieste provenienti dai centri di interesse dai quali ha ricevuto supporto (e con i quali intreccia relazioni d'affari).
Per qualcuno (Gatti, Il sottobosco, Chiarelettere), i partiti sono "rifugio di camarille, intrallazzi, sporchi affari". Se ciò è esatto, dobbiamo riconoscere che ai partiti, allo stato, viene lasciata una preoccupante, piena, libertà d'azione, senza che sia predisposta alcuna cautela, neppure prudenziale ad evitare che ciò avvenga, anche per escludere che scelte, che spettano al Parlamento, vengano invece prese dal governo, e cioè dai capi partito.
Si verifica, infatti, che qualche soggetto assuma in proprio decisioni che sono state affidate ai Collegi legislativi proprio perchè siano il frutto di un esame e di un confronto ampio ed approfondito, che rifletta e condensi le varie posizioni e interessi presenti nel Paese.
In ogni caso, è comunque sconcertante quanto emerge da una recente clamorosa inchiesta giornalistica (de Il Fatto quotidiano) che ha evidenziato come sia del tutto normale che qualunque lobbista (nel nostro caso, un provocatore), possa – dietro pagamento – ottenere precisi provvedimenti di legge a favore di determinati privati.
La rappresentanza, e la difesa, dell'interesse collettivo, appare in questo contesto, del tutto negletta . Ed è significativo, in proposito, che gli stessi membri del Parlamento (on. Walter Tocci, citato nella indagine giornalistica ora richiamata) sottolineino come la legge, oggi, abbia in Italia assunto aspetti di specificità e di occasionalità, del tutto contrari alla sua intrinseca natura di astrattezza e genericità, conformemente all'esigenza di disporre regole attinenti problematiche generali.
Purtroppo, i casi di provvedimenti riguardanti interessi specifici sono molto frequenti come, da ultimo, l'alleggerimento fiscale disposto per gli acquisti di … francobolli da collezione. Una norma che interessa solo chi li vende.
Anomalie legislative
Diversi altri fenomeni evidenziano delle significative alterazioni nella attività legislativa. Così, risulta sovente che la funzione normativa venga delegata al governo senza la preventiva "determinazione di principi e criteri direttivi" imposta, non a caso, dalla Costituzione (art. 76) proprio per escludere una impropria libertà d'azione del governo (cioè del o dei partiti di maggioranza).
Il decreto legge governativo è poi, di regola, emanato (con troppa frequenza...) senza che minimamente ricorrano –oggettivamente - i previsti "casi straordinari di necessità e urgenza" che debbono legittimarli (art. 77 Cost.). Una carenza che ne inficia la validità fin dall'origine e che dovrebbe essere rilevata d'ufficio dal Magistrato chiamato ad applicarne le disposizioni.
Capita poi sovente che il governo faccia ricorso a diversi espedienti per imporre i testi di legge ricorrendo al voto di fiducia, "blindando" il testo con pressioni varie sui parlamentari, o richiedendo tempi troppo brevi per un effettivo esame. Fenomeno, anche questo, reso possibile dalla influenza dominante esercitata dai partiti sul Parlamento.
I regolamenti interni per il funzionamento di Camera e Senato, rafforzano tali devianze imponendo tempi ridotti e percorsi ristretti, che riducono obiettivamente le possibilità per il parlamentare che, in ipotesi, volesse intervenire su qualsiasi provvedimento.
Una corretta procedura per l'approvazione di un testo di legge dovrebbe ovviamente prevedere che il proponente ne esponesse in modo dettagliato il contenuto in aula, specificandone motivazione e ricadute attese. Una adeguata discussione dovrebbe essere consentita, con tempi idonei e massima apertura, per interventi di ogni membro del Parlamento.
Tutto ciò evidenzia uno squilibrio istituzionale che confina il Parlamento in un ruolo marginale: una inaccettabile inversione dei ruoli, insanabilmente contraria al dettato costituzionale (ed ai principi democratici più elementari). Di fatto, l'Esecutivo è diventato l'organo decisionale, cioè è diventato il Parlamento, mentre quest'ultimo esegue.
E' evidente che si vuole anestetizzare la funzione del Parlamento per poter approvare provvedimenti estranei all'interesse generale, per favorire soggetti e situazioni particolari, che stanno a cuore, anzi, a portafoglio, dei partiti.
Il ruolo del partito
Nei meccanismi istituzionali, si è infatti inserito il partito, il veicolo del mondo degli affari che, al di fuori di tutte le regole e di ogni controllo, ha acquisito una tanto vasta quanto anomala influenza,
Il partito è diventato un centro di potere autoreferenziale, non il canale di trasmissione della volontà dei cittadini, bensì un congegno strutturato in modo da impossessarsi illegittimamente di un potere vastissimo, che può essere utilizzato senza controlli, anche a scopi personali. Sotto certi aspetti, è normale ed umano che ciò accada, mentre inusuale ed irregolare che non siano state predisposte misure per evitarlo.
Il partito seleziona ed alleva fedeli addetti, che – grazie ai meccanismi elettorali – posiziona nel Parlamento, così da poter gestire direttamente il massimo potere: quello legislativo. In queste condizioni, tutti i centri di potere presenti nella società, (quelli economici, la criminalità organizzata, ecc.), bussano alla sua porta per ottenere l'emanazione di norme che ne favoriscano gli interessi. Naturalmente... dona ferentes. E la politica si trasforma in un suk.
Questo stato di cose costituisce una surrettizia sovversione della Costituzione. Il Parlamento è esautorato: decisioni normative ed orientamenti su tematiche emergenti vengono assunti dai capi dei partiti sulla base di convenienze di bottega. I meccanismi costituzionali previsti per garantire il rispetto della volontà popolare, sono stati cancellati.
La struttura del partito
I partiti, giuridicamente, sono associazioni non riconosciute che gestiscono e monopolizzano tutto il processo politico. Un potere enorme, che si estende anche alle strutture della società, con conseguenze paradossali. Si verifica normalmente, infatti che, per ottenere incarichi universitari o posizioni di vertice, anche negli ospedali, sia preliminarmente necessaria l'approvazione del partito di maggioranza. Per tacere, poi, di scelte riguardanti appalti, grandi lavori, e nomine negli enti pubblici.
Le devianze
Emergono poi altre rilevanti criticità già nei meccanismi di formazione della rappresentanza politica.
a.- Innanzitutto, la diffusa pratica del voto di scambio ovvero della compravendita del voto. In alcune regioni è stabilito addirittura un tariffario. Sembra che a Palermo un voto "costi" 25 euro. Se tale prassi è dominante, il sistema, da repubblicano, si muta in plutocratico. Dove non basta il denaro, subentrano spesso le minacce. Secondo l'Istat, mediamente al 3,7% degli elettori è stato esplicitamente chiesto di scegliere un certo candidato. Percentuale che, in alcune province, sale quasi al 10.
Ma le disponibilità finanziarie, come è noto, sono una caratteristica anche della criminalità organizzata. Nella palude dove regnano corruzione e compromesso, quest'ultima ha così assunto posizioni del tutto eminenti. Oggi avviene addirittura che non è più la mafia a rivolgersi ai candidati, come accadeva un tempo, ma sono questi ultimi a sollecitarne l'aiuto e il supporto.
Si è determinata una approfondita commistione tra politica e criminalità per la gestione in comune delle opportunità economiche che il potere offre, (e che è ampiamente documentata dalle cronache pressochè giornalmente). Le organizzazioni mafiose hanno assunto, non solo a livello locale, un ruolo determinante per far prevalere determinate forze politiche e, in particolare, per la scelta degli amministratori locali.
Da tempo, sono emersi stretti rapporti della malavita con logge massoniche e alcune frange imprenditoriali. Lo scenario disegna dunque la formazione di un magma complesso, una gang predatoria, profondamente inserita nella società, e in grado di elaborare e gestire progetti illegali a livello non solo locale.
b.- Egualmente riduttivo del ruolo del parlamentare l'insieme delle regole che demandano molti disegni di legge al solo esame in Commissione senza passaggio in aula, escludendo fin dall'origine la possibilità di un esame ampio e approfondito.
c.- Ormai, come accennato, pressoché "normale" la prassi della compravendita, non solo di leggi specifiche ma addirittura di parlamentari. Singoli o di intere formazioni.
Non esattamente nello spirito del rispetto della volontà popolare.
d.- Deplorevole altresì la diffusa pratica dei lobbisti, già sopra segnalata, che sollecitano determinati provvedimenti di legge a favore di precisi interessi particolari. Una consuetudine non tanto da regolamentare quanto da abolire decisamente del tutto. Essa significa infatti non solo subordinare l'interesse pubblico a quello privato, ma sopratutto escludere, dalla possibilità di chiedere norme ad hoc, tutti coloro che non possono permettersi di elargire prebende a tali personaggi. Vale a dire la maggioranza degli elettori.
e.- Indubbiamente necessario e urgente, poi, vietare in modo assoluto qualunque forma di finanziamento, diretto o indiretto, ai partiti. Qualsiasi somma versata alla politica sottende un preciso contraccambio. In alcuni casi, è possibile prevedere quali provvedimenti saranno adottati, semplicemente scorrendo l'elenco dei finanziatori dei partiti. Inconsistente, e mistificatoria, l'obiezione che eliminare i contributi favorirebbe l'accesso alla politica dei soli benestanti.
Coperti finora da assoluto mistero i fondi che affluiscono alle decine di fondazioni create da tanti politici per sfruttare la relativa regolamentazione, improntata alla riservatezza. La recente legge 3/2019 ha cercato di imporre una certa trasparenza ai bilanci dei partiti e delle varie entità che ruotano intorno ad essi, finora beneficiari di totale segretezza. Ma il lavoro da fare è ancora lungo.
Come libere associazioni, i partiti debbono autofinanziarsi solo con i contributi degli associati. In compenso, lo Stato, nell'ambito del processo di rilascio delle concessioni delle frequenze a radio e televisioni, dovrebbe disporre che, in determinati spazi temporali (non solo e necessariamente nelle fasi antecedenti le consultazioni elettorali), ad ogni formazione legalmente costituita (ma anche a singoli candidati, del caso) vengano forniti gratuitamente eguali spazi di presentazione e propaganda. Ciò consentirebbe anche di abolire la macchinosa e sempre poco trasparente procedura dei rimborsi elettorali, (la furbesca trovata per aggirare il divieto di finanziamento ai partiti, decretato dai cittadini.
Le cause
Responsabile di questo complessivo sovvertimento istituzionale, che riduce i parlamentari a semplici figuranti eterodiretti ed acefali, è il partito. E lo è sia direttamente, che indirettamente (quale centro di attrazione del malcostume che ruota intorno ad un potere concentrato in poche mani).
Questa realtà anomala si è formata in un vuoto legislativo iniziale, che tale è poi rimasto per la libertà di manovra che consentiva (e che faceva comodo a tutti gli attori politici del momento). In questa assenza di regole, l'entità partito ha assunto rigide connotazioni gerarchiche e verticistiche, del tutto contrarie alla sua naturale funzione di palestra di idee e di fucina e confronto. Il partito – di fatto - è solo il suo segretario, il Capo, titolare di tutti i poteri.
E gli incroci di convenienze, affari, intrighi e maneggi, che la posizione di dominanza acquisita dal partito permetteva, ha costituito un ghiotto invito per determinate consorterie ed un vasto sottobosco di famelici faccendieri di ogni risma e provenienza, che si sono inseriti nelle strutture e nella organizzazione dei partiti per scegliere e portare ai vertici l'esponente più promettente del momento, fornendolo dei mezzi, anche economici, più idonei.
E' sufficiente creare all'interno del partito un piccolo gruppo, e munirlo di adeguati mezzi di "convincimento", per realizzare un nucleo in grado di portare avanti il personaggio prescelto, dotato delle caratteristiche ritenute più idonee alle circostanze.
E così, avviene che al vertice dei partiti vengano posti i personaggi scelti da questi poteri esterni, con il compito di curarne gli interessi.
Dopo l' "effervescenza" e la superficialità di un Berlusconi, ci voleva l'immagine positiva, rassicurante e sobria, di un Monti. Una volta logorato Monti, superata una breve parentesi con l'anonimo Letta, occorreva stuzzicare l'elettorato dal palcoscenico mediatico con la vivacità istrionica del rottamatore Renzi. L'uomo "contro" (a prescindere), piace sempre alle masse, che si sentono oppresse dal sistema perchè nutrono rabbia e risentimento per l'ineguaglianza sociale. Un facile successo, dunque, reiterato con il burbanzoso Salvini, il comunicatore de noantri, etichetta buona per ogni slogan, perfetto per stuzzicare i pruriti e le psico-fregole più superficiali delle masse.
Personaggi diversi, per illudere di un sempre propagandato cambiamento. Ma tutti esecutori di un unico eterno programma:favorire il mondo degli affari. Puliti o sporchi.
I veri problemi della gente sono altrove, ma di questi, è meglio non parlare, altrimenti potrebbe rendersene conto. E nessuno ne fa cenno. Il faro-guida del bene comune appartiene ad un altro mondo.
Ed ecco che il partito, da centro e fermento di idee, proposte e programmi per il progresso della collettività, cioè da risorsa politica, è diventato il veicolo per la realizzazione di speculazioni particolari spesso inconfessabili, con incommensurabile danno per gli interessi del Paese, anche sul piano internazionale. I nostri partners esteri hanno infatti presto appreso che, per ottenere dall'Italia posizioni o provvedimenti vantaggiosi, a qualunque livello, e non solo per le aziende di casa, era sufficiente contattare le persone giuste, nel modo giusto.
I semi del declino
Purtroppo, allorquando in una società vengono a formarsi ed a stabilizzarsi delle forze dominanti in grado di controllare i meccanismi premianti, la società stessa è inesorabilmente destinata al declino.
Si verifica infatti che tutti gli incarichi apicali (nella sanità, istruzione, ricerca, nelle amministrazioni pubbliche, centrali e locali, nelle aziende pubbliche, ecc.), vengano assegnati in base ai criteri della fedeltà e dell'ossequio a queste forze, (qualità che garantiscono la conservazione dello status quo). Capacità e qualità personali seguono in secondo piano. Di primaria e decisiva rilevanza sono conformità e obbedienza.
Gli elementi migliori, in grado di fornire un apporto cruciale e determinante al miglioramento ed al progresso della collettività, vengono in tal modo accantonati e così quest'ultima affonda nella immobilità e nel regresso.
La "fabbrica del consenso"
Per l'intreccio politico-affaristico che si è costituito nel Paese, il problema di base è come assicurarsi il consenso della maggioranza degli elettori, pur realizzando politiche contrarie ai loro interessi, (riducendo drasticamente la spesa per sanità, assistenza, istruzione, pensioni, servizi, privatizzazioni, ecc.).
La soluzione è stata di realizzare una imponente costruzione del consenso mediante i mezzi di comunicazione. Si può agevolmente constatare che giornali e televisioni sono tutti posseduti e gestiti dai grandi centri di interesse economico del Paese. Indipendente e libero è solo chi non riceve finanziamenti.
L'esistenza di una televisione pubblica non è in alcun modo influente nella misura invasiva con cui il partito maggioritario ne controlla attualmente giornalisti e programmi: non si tratta di un mezzo di informazione obbiettivo ed autonomo.
In un Paese democratico, indipendenza e libertà di espressione, dovrebbero essere gli attributi di tutti i media. Scoprire e riferire la verità dovrebbe essere il loro compito.
In realtà, un possente apparato informativo guida l'opinione pubblica, mobilitando l'appoggio delle masse agli interessi della consorteria politico affaristica al potere, presentando gli avvenimenti, e le loro origini ed effetti, come è ritenuto utile per sostenerla e proteggerla.
Si tratta di inculcare nelle masse valori, credenze, paure, emozioni e codici di comportamento, di marginalizzare il dissenso, di distogliere l'attenzione dalle cose che contano e che realmente toccano gli interessi dei cittadini, distraendola e indirizzandola verso fenomeni marginali, emotivamente gonfiati ad arte per solleticarne l'emotività, le fobie, le psicopaturnie del momento, le paure (adeguatamente ingigantite).
Ad esempio, senza il fenomeno dell'immigrazione (deliberatamente mal gestito), al quale sono state abilmente associate ed enfatizzate tutte le possibili brutture sociali, reali e immaginarie, certi consensi elettorali non si sarebbero mai verificati.
Particolarmente rilevante per questa opera di manipolazione è la televisione. Questa, infatti, si serve di immagini che arrivano direttamente al cervello dello spettatore senza passare attraverso il filtro razionale, come invece accade per le parole. E' probabile che questa reazione fisiologica primordiale accada per consentire, all'occorrenza, reazioni immediate, in caso di pericolo. Questa caratteristica è sfruttata oggi dalla propaganda per far affluire al cervello alluvioni di immagini prefabbricate, in grado di distrarlo, occuparlo e condizionarlo totalmente. Il fenomeno si estende anche ai personaggi (e alle loro esternazioni) che compaiono sul piccolo schermo, ormai assurto alla dignità di sacro oracolo.
Il ruolo degli intellettuali
I c.d. "intellettuali" costituiscono un0 strumento molto utilizzato dalla propaganda. La categoria si presenta però alla Storia con il marchio di una contrapposizione: il manifesto degli intellettuali del 1898 in difesa di Dreyfus, sollevò infatti subito dura avversione da parte di altri "intellettuali" tradizionali, tra cui molti membri della Acadèmie. In sostanza, troviamo subito, da un lato, quelli che si pongono al servizio del potere, e che vengono venerati e premiati, e, dall'altro, quelli che si rendono interpreti di una libertà intellettuale guidata dai valori e dalla responsabilità sociale. Che vengono dileggiati e emarginati.
La Storia si ripete. Già nell'antica Roma troviamo due distinte e contrapposte categorie di intellettuali: gli optimates, al servizio della classe dominante, di cui salvaguardavano tradizioni e privilegi e, di contro, i populares, esponenti della classe dirigente che sostenevano le istanze del popolo. Tra questi ultimi troviamo, ad esempio, Giulio Cesare, assassinato poi dagli optimates Bruto e Cassio, con i pretesti fasulli che conosciamo.
L'arruolamento degli "intellettuali" da parte del c.d. "establishment", è sempre stato una rilevante componente del meccanismo della propaganda, in dipendenza dell'ampia cassa di risonanza consentita dalla loro notorietà. Il loro messaggio ha un'ampia udienza ed è circondato da un'aura di autorevolezza. Ciò dovrebbe conferire loro una responsabilità morale specifica.
Questo purtroppo non avviene: manca la correlazione fra intelligenza e moralità, e molti si rendono volentieri portavoce della linea ufficiale (e delle relative menzogne), ricevendone in cambio prestigio e privilegi, mentre chi non si conforma viene emarginato e penalizzato.
Considerazioni finali
Il quadro che si è venuto via via delineando nel nostro percorso suggerisce alcune riflessioni.
Innanzitutto, appare chiaramente del tutto compromesso lo strumento di base sul quale sono fondate le istituzioni democratiche, cioè la rappresentanza politica, ossia l'emergere, a livello istituzionale, della volontà dei cittadini.
Le molteplici criticità emerse e sopra elencate, dal momento del voto alla formazione delle leggi, trovano peraltro una unica fonte: i partiti.
Queste entità, lasciate senza una minima regolamentazione giuridica, sviluppano profonde alterazioni deformanti nel tessuto sociale e istituzionale. Il partito, infatti, opera come crocevia di rapporti d'affari e di potere con criminalità organizzata, massoneria, imprenditorialità, (con il condimento di servizi deviati), ed è responsabile di mutazioni ampie e invasive nelle strutture statuali, deformando non solo i pilastri della legalità, ma inquinando anche gli organi deputati a custodirla. Dovrebbero essere sufficienti gli episodi di Tangentopoli, della Trattativa, di Mafia capitale, della P/2, P/3, Rimborsopoli, ecc., ecc., ecc., per stimolare una riflessione complessiva in tal senso, che invece è mancata del tutto.
Il partito si è completamente svuotato della funzione per la quale è nato: aggregare i seguaci di un dato indirizzo politico coltivando programmi che migliorino la convivenza, per trasformarsi nella porta d'accesso alle istituzioni statali da parte di un nebuloso e sotterraneo sistema di potere mirato all'accumulo di ricchezze sottratte alla collettività.
La Relazione della Commissione Antimafia ha alzato il velo su di una realtà maleodorante, articolata su di un legante massonico e che si serve dei partiti politici per accedere ai vertici delle istituzioni.
Se parliamo dell'interesse dei cittadini, qui ne siamo molto lontani. Accade che i partiti del tutto normalmente, anzi, si può dire di norma, candidino alle cariche pubbliche (specie quelle locali) soggetti condannati, imputati o inquisiti.
Con quale criterio si intende affidare a siffatti personaggi quel bene comune che costoro hanno già dimostrato di voler violare?
Il senso del concetto di reato è riferito al compimento di atti contrari agli interessi fondamentali della società. Evidentemente, si considera favorevolmente la possibilità (o piuttosto la certezza...) che costoro continuino ad agire contro quella comunità che il partito, come tale, dovrebbe essere deputato a proteggere e migliorare.
Quanto precede evidenzia l'imponente ed assoluta urgenza di uno specifico strumento legislativo diretto a sottoporre a rigida regolamentazione il partito politico, dettando rigorose regole organizzative e modalità operative, in modo da assicurare una reale democraticità interna ed un totale distacco da qualsiasi possibilità di influenzare in modo diretto la vita della società civile. Così restituendo a quest'ultima una vera dignità democratica.
Il piano inclinato sul quale si trova il Paese conduce inevitabilmente verso strutture statali nelle quali dominano la violenza, la sopraffazione e l'illegalità. Non molto tempo addietro, in Messico, un autobus di studenti è sparito nel nulla e non se ne è più avuta traccia.
Data: 12/04/2019 15:00:00Autore: Angelo Casella