La Cassazione sulla responsabilità dei magistrati
di Annamaria Villafrate - Con la sentenza n. 11747/2019 (sotto allegata) le Sezioni Unite della Cassazione forniscono importantissimi principi in tema di responsabilità del magistrato.
L'esame degli Ermellini avente ad oggetto l'art 2 lett. a) della l. n. 117/1988 nella formulazione anteriore alla riforma del 2015, precisa che il giudice non viola la legge per errore inescusabile e attività interpretativa insindacabile nel momento in cui si discosta da un precedente, sia esso della Consulta che della Cassazione. Per il nostro ordinamento infatti queste pronunce non sono fonti di diritto e come tali non vincolano il giudice. Nel momento in cui si discosta però egli deve fornire una motivazione adeguata e logica. Egli è sindacabile solo se la sua decisione, frutto di negligenza inescusabile, sconfina in un provvedimento abnorme. In ogni caso la mancanza di motivazione non comporta automaticamente la responsabilità del giudice se è possibile comunque comprendere la sua scelta interpretativa.
- La vicenda processuale
- Il ricorso per revocazione
- La rimessione alle Sezioni Unite
- I precedenti non sono fonti vincolanti, occorre ricostruire il percorso logico della motivazione
La vicenda processuale
Il giudice di primo grado accerta l'illecito commesso da un Comune per occupazione illegittima, a cui ha fatto seguito l'espropriazione acquisitiva di un terreno di proprietà di due privati, danti causa dell'erede attore in giudizio e liquida i danni sulla base del valore venale del bene, in euro 273.076,58 più rivalutazione monetaria e interessi in misura legale sulla somma liquidata prima devalutata poi rivalutata dalla definitiva trasformazione del fondo fino al soddisfo.
Il giudice di secondo grado conferma l'esistenza di un'occupazione illegittima e l'irreversibile trasformazione del suolo occupato, ma accoglie l'appello del Comune, poiché ritiene che il tribunale abbia "indebitamente sostituito alla domanda effettivamente proposta, di risarcimento danni per occupazione espropriativa, o acquisitiva, la diversa domanda di risarcimento per occupazione usurpativa, pronunciando in tal modo oltre i limiti del petitum."
Conseguentemente liquida il danno all'erede in base ai "criteri di liquidazione previsti per tali occupazioni (o occupazioni appropriative) dall'art. 3, comma 65, della legge n. 662/1996 che aveva aggiunto il comma 7 bis all'art. 5 bis del DL 11.7.1992 n. 333 conv. in legge 8.8.1992 n. 359, ferme le statuizioni su rivalutazione e interessi perché non impugnate."
L'erede ricorre in Cassazione che cassa la sentenza e liquida il danno nella misura del valore venale del fondo pari a euro 273.076,58, come stabilito dal giudice di primo grado, attribuendo gli interessi legali dalla data della domanda. Questo perché nelle more del giudizio la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la norma in base alla quale la Corte d'Appello ha quantificato il danno che pertanto deve essere stabilito nella misura equivalente al valore venale del bene.
Il ricorso per revocazione
L'erede però agisce in revocazione lamentando il mancato riconoscimento degli interessi dalla data dell'illecito e la rivalutazione poiché la fattispecie deve considerarsi come occupazione usurpativa.
La Cassazione però dichiara il ricorso inammissibile perché trattasi di errore di diritto, non di fatto.
A questo punto l'erede, avendo esaurito tutti i mezzi d'impugnazione, propone ricorso per far valere "la responsabilità dello Stato per colpa grave imputabile ai magistrati giudicanti, deducendo che essi fossero incorsi in grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile." Ricorso dichiarato inammissibile sia in primo grado che in appello perché diretto a contestare un'attività d'interpretazione normativa.
La rimessione alle Sezioni Unite
L'erede soccombente a questo punto ricorre nuovamente in Cassazione, la Presidenza del Consiglio convenuta deposita memoria difensiva e la causa dopo essere stata assegnata alla terza sezione, viene rimessa alle Sezioni Unite per risolvere "una questione di massima di particolare importanza, concernente la individuazione del discrimine tra grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile ed attività interpretativa insindacabile, sulla base dell'art. 2, comma 3, lett. a) della legge n. 117/1988 (nel testo previgente alla modifica della legge n. 18/2015), con specifico riferimento alla ipotesi della violazione di norma di diritto in relazione al significato ad essa attribuito da orientamenti giurisprudenziali da ritenere consolidati."
I precedenti non sono fonti vincolanti, occorre ricostruire il percorso logico della motivazione
La Cassazione, nella complessa e articolata sentenza SU n. 11747/2019 con cui rigetta il ricorso, fornisce importanti principi, dopo avere ricostruito il quadro normativo di riferimento e l'orientamento giurisprudenziale in materia, precisando che:
- se il giudice si discosta dalla giurisprudenza precedente nel pronunciare una sentenza non commette grave violazione di legge causata da negligenza inescusabile, come previsto dall'art 2, lett. a) della legge n. 117/1988 del testo anteriore alla modifica intervenuta nel 2015 in virtù della legge n. 18. Questo perché, anche se la sentenza promana dalla Corte Costituzionale o dalla Cassazione non è comunque una fonte di diritto, per cui egli non ne è vincolato. In questi casi è necessario piuttosto che il giudice fornisca una motivazione esaustiva, logica e ragionata della sua sentenza;
- il giudicante infatti è responsabile per violazione dell'art 2, lett. a) legge n. 117/1988 solo se la sua decisione sconfina in un provvedimento abnorme frutto di una negligenza inesplicabile, inescusabile che si verifica quando l'errore ricade sulla individuazione, applicazione e significato della norma da applicare, di cui il giudicante non comprende il senso dal punto di vista semantico;
- in ogni caso che la presenza di una motivazione non esclude l'ammissibilità di un'azione di responsabilità nei confronti di un magistrato, anche se sicuramente aiuta a comprendere la decisione in quanto scaturente da un determinato percorso interpretativo. Vero però che non sempre l'assenza di motivazione conduce a un giudizio di responsabilità anche se contraria all'orientamento interpretativo prevalente, se è comunque possibile comprendere e riconoscere la scelta interpretativa operata dal giudice.
Autore: Annamaria Villafrate