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Sindrome da burnout avvocati: quali tutele?

La sindrome da burnout non risparmia neppure gli avvocati, anche se sul fronte della formazione e della previdenza non mancano gli aiuti per affrontarla


Sindrome da burnout: cos'è

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L'OMS ha reso noto che il burnout deve considerarsi una sindrome, ovvero un insieme di sintomi che considerati complessivamente conducono a un quadro clinico specifico. L'Organizzazione ha individuato i tre sintomi principali che caratterizzano questa sindrome, che colpisce anche gli avvocati. Il burnout non è infatti lo stress che tipicamente caratterizza la vita lavorativa di tutti e che, se non supera certi limiti, è anche positivo. Il burnout è la conseguenza di uno stress eccessivo e prolungato che deriva non solo da un carico di lavoro importante, ma anche dalla fatica nel gestire le relazioni interpersonali con colleghi e clienti.

Risultato? La sensazione di esaurimento fisico e mentale è così alta che nei casi più gravi possono insorgere perfino pensieri suicidari. Nei casi più lievi invece non è raro provare sentimenti negativi per il lavoro e diventare scarsamente produttivi. Da qui, l'insorgenza di un circolo vizioso che può condurre anche ad abusare di droghe, psicofarmaci, alcool e fumo.

Anche gli avvocati soffrono di burnout

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Di tutto questo possono essere vittime anche gli avvocati. Non tutti gli avvocati infatti sono cinici e interessati solo al denaro come vogliono far credere i luoghi comuni. La realtà è che sono moltissimi quelli che vivono la professione come una missione. Vero che a differenza dei medici non c'è di mezzo la vita di un paziente. E' sufficiente tuttavia fermarsi a pensare a un avvocato penalista, responsabile della "libertà" dei propri clienti, per comprendere il livello di stress che lo potrebbe colpire in caso d'insuccesso. Per non parlare di quei legali che si occupano di diritto di famiglia e che quotidianamente vengono a contatto con problematiche emotive, che spesso i clienti gli scaricano addosso. Non c'è da stupirsi quindi se anche gli avvocati, a un certo punto, crollano.

Attenzione all'ambiente di lavoro e sportelli d'ascolto

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Verso il problema del burnout legato allo svolgimento della professione forense però non c'è indifferenza tra gli addetti ai lavori. Le Scuole di alta formazione e aggiornamento professionale non mancano di prevedere, nei loro corsi, lezioni dedicate alla gestione dei rapporti con i clienti, all'organizzazione del personale dello studio legale e alle tecniche di refriming, che aiutano a percepire in modo nuovo e diverso anche le situazioni più complesse.

In effetti, se ci si riflette attentamente, in Italia c'è una scarsissima attenzione alla qualità del lavoro, all'ambiente in cui lo si svolge, ma soprattutto alla necessità di acquisire, laddove non siano presenti per natura, le capacità necessarie a intrattenere relazioni interpersonali sane, all'interno delle quali preservare i propri spazi. Costruire relazioni con le persone infatti è possibile senza per questo farsi prosciugare le energie e il tempo che invece si vorrebbe dedicare alla vita privata. Occorre solo cambiare certe dinamiche comportamentali dannose.

Proprio al fine di offrire un supporto personalizzato per affrontare le maggiori criticità lavorative che possono sfociare in eccessi di stress e burnout, sono nati negli ultimi anni anche gli Sportelli di ascolto. Nello specifico, si tratta di un progetto pilota avviato dall'AIGA Padova insieme alla Società Italiana Psicologi Area Professionale e COA di Padova, giunto alla seconda edizione, con l'obiettivo di prevenire il burnout e favorire lo sviluppo del benessere personale e professionale degli avvocati.

Assistenza indennitaria di Cassa forense

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E se l'avvocato, nonostante tutta la sua buona volontà si ammala? Cosa succede? Il regolamento per l'assistenza, all'art. 14, lettera 1a prevede che gli avvocati non pensionati e in regola con gli obblighi contributivi possono usufruire di un indennizzo nel caso in cui per infortunio o malattia "verificatasi o insorta in costanza di iscrizione alla Cassa, non abbiano potuto esercitare il maniera assoluta l'attività professionale per almeno due mesi".

L'indennizzo consiste in una "diaria giornaliera pari ad 1/365° della media dei redditi professionali risultanti dai mod. 5 degli ultimi tre anni antecedenti l'evento, con il limite massimo annuo del tetto reddituale pensionabile previsto dal Regolamento dei contributi".

L'indennizzo, non può essere cumulato con altri tipi di prestazioni di natura previdenziali e assistenziali e non può essere erogato per più di 365 giorni.

Ora, sempre a condizione che la sindrome sfoci in una patologia certificabile, chi volesse provare ad ottenere l'indennizzo è tenuto a presentare domanda entro due anni dall'evento, corredata della documentazione medica attestante la natura della malattia o dell'infortunio, il periodo d'inabilità e come questa abbia inciso sull'attività professionale.

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Data: 03/03/2023 16:00:00
Autore: Annamaria Villafrate