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Corte Ue contro post diffamatori su Facebook

Per l'avvocato generale, Facebook non solo dovrebbe rimuovere un post diffamatorio, ma dovrebbe renderlo inaccessibile da ogni parte del mondo


di Gabriella Lax Facebook, il social per eccellenza, può essere costretto a ricercare e a trovare tutti i commenti identici a un commento diffamatorio di cui sia stata accertata l'illiceità, nonché i commenti equivalenti se provenienti dallo stesso utente. Ad affermarlo è l'Avvocato generale della Corte Ue.

Post diffamatori su Facebook

In poche parole, Facebook, come chiarisce l'avvocato Maciej Szpunar nelle conclusioni (sotto allegate), dovrebbe rimuovere i contenuti offensivi postati dagli utenti dell'Unione Europea rendendoli irraggiungibili da ogni parte del mondo.

La fattispecie in esame prende origine dal caso riguardante la deputata alla Camera dei rappresentanti del Parlamento austriaco e portavoce nazionale dei Verdi, Glawischnig-Piesczek, che ha chiesto ai giudici austriaci di emettere un'ordinanza cautelare nei confronti del social per porre fine alla pubblicazione di un commento diffamatorio. Secondo l'avvocato generale, considerato che la legge dell'Unione europea sui servizi digitali e il commercio elettronico «non disciplina la portata territoriale dell'obbligo di rimuovere le informazioni diffuse tramite una piattaforma di social network, non esenta un host provider dall'essere costretto a rimuovere tali informazioni in tutto il mondo».

Dato che Facebook non aveva manifestato alcuna reazione alla sua richiesta di cancellare il commento diffamatorio, Glawischnig-Piesczek aveva chiesto che venisse ordinato alla società «di cessare la pubblicazione e/o diffusione di foto che la ritraessero qualora il messaggio di accompagnamento avesse diffuso affermazioni identiche al commento in questione e/o dal contenuto equivalente». Dopo che il giudice di primo grado aveva emesso l'ordinanza cautelare in questione, Facebook aveva disabilitato in Austria l'accesso al contenuto inizialmente pubblicato.

In un secondo momento, la Corte Suprema, chiamata in causa, aveva ritenuto le dichiarazioni pubblicate su Facebook lesive dell'onore della deputata, che quindi fossero diffamatorie. Chiamata a statuire sulla questione se il provvedimento inibitorio possa anche essere esteso, a livello mondiale, alle dichiarazioni testualmente identiche e/o dal contenuto equivalente di cui Facebook non è a conoscenza, la Corte austriaca ha chiesto alla Corte di giustizia di interpretare in tale contesto la direttiva sul commercio elettronico.

Le conclusioni dell'avvocato Ue

Secondo le norme dell'Unione un host provider in linea di principio non è responsabile delle informazioni memorizzate da terzi sui suoi server qualora non sia a conoscenza della loro illiceità. Però, se viene avvertito della loro illiceità, deve cancellarle o bloccarne l'accesso. Infine la direttiva statuisce che a un host provider non possa essere imposto un obbligo generale di sorvegliare le informazioni da esso memorizzate o un obbligo generale di ricercare attivamente i fatti o le circostanze che rivelano attività illecite.

Da qui la conclusione dell'avvocato generale, l'host provider potrebbe essere costretto a ricercare e individuare i contenuti equivalenti a quello qualificato come illecito, ma unicamente tra il materiale diffuso dall'utente che ha divulgato il post in questione.

Ricordiamo infine che il parere dell'avvocato generale non è vincolante. Si farà piena luce con la sentenza del tribunale dell'Unione europea per valutare in che misura le società di social media come Facebook debbano occuparsi dei post degli utenti di tutto il mondo.

Data: 06/06/2019 10:00:00
Autore: Gabriella Lax