Cassazione: è reato usare i gatti per infastidire la vicina
di Annamaria Villafrate - Configura reato di stalking lasciare liberi i propri gatti di fare i bisogni negli spazi comuni dell'edificio solo per dare fastidio alla vicina. Come precisato nella sentenza n. 25097/2019 (sotto allegata) per gli Ermellini l'imputata ha agito con dolo. La stessa ha infatti tenuto condotte moleste e reiterate al solo fine di recare infastidire la dirimpettaia, ignorandone le ripetute lamentele relative alle cattive condizioni igieniche degli spazi comuni.
La vicenda processuale
La Corte d'appello confermala condanna dell'imputata per il reato di atti persecutori commesso ai danni della vicina di casa. Parte soccombente ricorre in Cassazione lamentando:
- violazione di legge e vizi della motivazione per quanto riguarda la configurabilità del reato. Dalle risultanze processuali è emerso infatti che gli episodi relativi alle deiezioni dei gatti dell'imputata sono stati occasionali e dovuti a incuria nella loro custodia, difettando quindi l'abitualità e il dolo;
- in relazione alla presenza di scritte e cartelli contenenti minacce indirizzate nei confronti della persona offesa, la mancanza di prove sulla riconducibilità delle stesse all'imputata;
- il difetto di una tempestiva querela, stante l'insussistenza delle condizioni per procedere d'ufficio;
- e difetto di motivazione sulla quantificazione del danno e della pena comminata all'imputata.
Usare i gatti per perseguitare la vicina è reato
La Cassazione, con sentenza n. 25097/2019 dichiara il ricorso infondato e per certi versi inammissibile. Per gli Ermellini la condotta dell'imputata è stata correttamente inquadrata nella fattispecie penale degli atti persecutori contemplati dall'art. 612 bis c.p ai sensi del quale: "Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumita' propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita."
Per la Suprema Corte, contrariamente a quanto sostenuto e lamentato dalla ricorrente:
- i giudici di merito hanno rilevato come la condotta dell'imputata sia da ricondurre a una chiara volontà della stessa, poiché nonostante le lamentale della dirimpettaia, ha continuato a liberare i suoi gatti nelle parti comuni dell'edificio, con la precisa consapevolezza delle conseguenze igieniche delle deiezioni dei suoi animali e delle molestie arrecate alla vicina;
- comportamento che, per come si sono svolti i fatti, si caratterizza per la presenza del dolo e della abitualità, esattamente come previsto per la configurazione del reato di cui all'art 612 bis c.p. L'occasionalità degli episodi imputati è stata infatti smentita da numerose testimonianze di persone che, a vario titolo frequentano l'edificio, compresa la figlia della persona offesa che regolarmene si reca in visita dalla madre, che hanno unanimemente "riferito circa la presenza di escrementi animali ovvero del persistente olezzo delle loro deiezioni."
Per quanto poi riguarda le scritte e i cartelli contenenti insulti e minacce, i giudici di merito ne hanno desunto l'attribuibilità all'imputata poiché l'edificio in cui si sono verificati detti episodi è una villetta bifamigliare le cui parti comuni servono solo l'abitazione della vittima e dell'imputata.
Incontestato infine lo stato ansioso della vittima, provato anche da specifica certificazione rilasciata da una psicologa e dalle testimonianze rese in giudizio.Così come è da ritenersi infondato il motivo relativo alla querela, posto che la persona offesa l'ha proposta il 26 novembre 2013 e l'ha integrata il 14 maggio 2014.
Generiche da ultimo le doglianze relative alla quantificazione del risarcimento e della pena dell'imputata, adeguatamente motivate e giustificate.
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Data: 15/06/2019 19:00:00Autore: Annamaria Villafrate