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Assegno di divorzio a tempo: le conseguenze

Il disegno di legge dell'on. Morani approvato alla Camera fissa un assegno di divorzio a tempo, a tutto svantaggio del coniuge più debole


di Annamaria Villafrate - Il disegno di legge n. 1293 (sotto allegato) introduce l'assegno di divorzio a tempo per dare attuazione ai principi delle SU del 2018 in materia. Un'iniziativa che sembrerebbe andare a tutto svantaggio del coniuge più debole.

L'assegno di divorzio a tempo

Dopo la SU n. 18287/2018 della Cassazione, che ha riaperto il dibattito sulle misure economiche post divorzio, il disegno di legge n. 1293 dell'onorevole Morani ridisegna la disciplina dell'assegno divorzile, introducendo l'assegno a tempo.

L'art. 2 del disegno di legge, attraverso la modifica dell'art .5 della legge sul divorzio n. 898/1970 prevede infatti la possibilità per il tribunale di "predeterminare la durata dell'assegno nei casi in cui la ridotta capacità reddituale del richiedente sia dovuta a ragioni contingenti o comunque superabili." Il tutto dopo aver valutato:

Una norma che stona con i provvedimenti di volontaria giurisdizione, che per natura, sono sempre rivedibili proprio per la caratteristica intrinseca di adattarsi alle modifiche delle condizioni di vita delle persone. Come conferma anche lo scarso ricorso all'assegno di divorzio in un'unica soluzione che, a causa della sua rigidità e definitività, impedisce ulteriori e successive richieste di tipo economico. Uno strumento che poco si adatta alla mutevolezza delle condizioni di vita delle persone.

L'assegno a tempo "danneggia" il coniuge più debole

Chiaro quindi come questa proposta di legge così come la SU del n. 18287/2018 siano il segnale di un cambiamento destinato a ripercuotersi negativamente sul coniuge più debole, in genere le donne, da sempre più svantaggiate nella costruzione di una carriera lavorativa. Non tanto per mancanza di volontà, ma per un sistema che non permette alle donne di conciliare lavoro e famiglia. Da qui la rinuncia alle proprie ambizioni personali e lavorative, per ritrovarsi poi, una volta divorziate, prive di quella formazione ed esperienza che sarebbe necessaria per un ricollocamento lavorativo. Ora, vero che il disegno di legge prevede che il giudice debba valutare anche questo dato, ma il rischio che nelle sentenze i giudizi siano in qualche modo condizionati da certi pregiudizi culturali non sembra così difficile.

Segnali di cambiamento in peius quindi per il coniuge più debole che sono stati rafforzati ulteriormente dalla Cassazione n. 11178/2019, per la quale le risultanze probatorie dei processi di divorzio in corso devono essere riesaminate alla luce dei nuovi principi sanciti dalla Cassazione nella Su del 2018.

Principio sul quale, alcuni giudici di merito, hanno dissentito e continuano a dissentire. Il Tribunale di Treviso, ad esempio, nella sentenza del 27 maggio 2019 ha affermato che la corsa all'interpretazione in senso evoluzionistico dell'art. 5 legge n. 898 non può non avere ripercussioni sui processi in corso. Così come il Tribunale di Pordenone, che con la sentenza del 14 novembre 2018 ha riconosciuto alla moglie l'assegno di divorzio perché ha ritenuto che la situazione di svantaggio economico in cui si è trovata dopo il divorzio sia da ricondurre a scelte endo-matrimoniali, ovvero compiute durante il matrimonio.

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Data: 25/06/2019 09:00:00
Autore: Annamaria Villafrate