Lite temeraria per il ricorso "confuso"
di Annamaria Villafrate - L'ordinanza n. 16898/2019 (sotto allegata) della Cassazione chiarisce che è inammissibile proporre un ricorso in sede di legittimità confuso, privo di specificità e coerenza solo per ottenere un riesame della vicenda nel merito. Chi viola il principio di ragionevole durata del processo perché abusa dello strumento processuale impedisce l'impiego corretto delle risorse per il buon andamento della giurisdizione. Per questo merita la condanna ai sensi dell'art. 96 co. 3 c.p.c. per lite temeraria.
La vicenda processuale
F.M.A ricorre per ottenere la cassazione della sentenza del giudice d'Appello che ha confermato la sentenza di primo grado che aveva respinto la sua domanda di risarcimento danni nei confronti di un quotidiano e di un suo giornalista per diffamazione a mezzo stampa.
Nella cronaca infatti venivano riportate in date successive notizie del suo arresto, in relazione a circostanze mai contestate dall'autorità giudiziaria. Non solo, il F.M.A era andato assolto dai reati contestati e i fatti a lui addebitati erano stati notevolmente ridimensionati. Il ricorrente ricorre in sede di legittimità lamentando con un unico motivo, poco chiaro e confuso, la violazione degli articoli 91 e 92 c.p.c in relazione alle statuizioni sulle spese e il risarcimento, così come di tutta una serie di articoli relativi all'esercizio dell'azione, ai poteri del giudice, alle impugnazioni e ad altre disposizioni di ordine procedurale. Si difendono gli intimati con controricorso.
Abusa del processo chi propone motivi confusi tesi a un riesame nel merito
La Cassazione, con ordinanza n. 16898/2019 dichiara il ricorso inammissibile. Il ricorrente, nel formulare il ricorso in un unico motivo, che in realtà contiene ben tre censure, non ha tenuto conto del fatto che: "Il giudizio di cassazione postula una critica vincolata, delimitata e cristallizzata dai motivi di ricorso che assumono una funzione identificativa, condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito." Non è pertanto ammissibili un ricorso con un unico motivo che "contenga motivi sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleata dal codice di rito."
La censura è inammissibile nel suo complesso per assenza di specificità "e per incomprensibile intreccio delle argomentazioni prospettate che si concludono, in punto di liquidazione delle spese, anche con l'erroneo riferimento, al "triplo grado di giudizio (...) che disvela l'intento di ottenere una rivisitazione di merito della controversia, prospettando questioni alle quali la sentenza impugnata non fa cenno se non per precisare l'assenza di rilievo e discussione nel giudizio (...), difetti questi che risultano reiterati in questa sede in cui non viene affatto allegata l'avvenuta deduzione di essi dinanzi al giudice di merito."
La Corte ritiene quindi di dover condannare il ricorrente ai sensi dell'art 96 c.p.c comma 3 c.p.c contente una disposizione tesa a contenere l'abuso dello strumento processuale, la cui applicazione non richiede un'indagine approfondita dell'elemento psicologico del soggetto (dolo, colpa) "bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di "abuso del processo", quale l'aver agito o resistito pretestuosamente (Cass. 27623/2017) e cioè nell'evidenza di non poter vantare alcuna plausibile ragione."
Questo perché il ricorso non fa che chiedere una rivalutazione del merito della vicenda "destinato soltanto ad aumentare il volume del contenzioso e, conseguentemente, a ostacolare la ragionevole durata dei processi pendenti ed il corretto impiego delle risorse necessarie per il buon andamento della giurisdizione."
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Data: 29/06/2019 23:00:00Autore: Annamaria Villafrate