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Consulta: ok al Tfr differito per gli statali

La Corte Costituzionale salva le disposizioni del D.L. n. 78/2018 che differiscono il pagamento del TFR ai lavoratori statali in caso di cessazione anticipata dal rapporto di lavoro


di Lucia Izzo - Salve le disposizioni del D.L. n. 78/2010 che differiscono e dilazionano la rateizzazione nel pagamento del trattamento di fine rapporto, ma solo per coloro che vanno anticipatamente in pensione.

Sulla legittimità del differimento del pagamento del TFR ai lavoratori statali, erogato dopo 24 mesi in caso di pensionamento o cessazione anticipata dal servizio, si è espressa la Corte Costituzionale nella sentenza n. 159/2019 (qui sotto allegata) che ha avuto riguardo, in particolare, a quanto stabilito dall'art. 3, comma 2, del D.L. 79/1997.

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La norma

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La norma stabilisce che alla liquidazione del TFR per gli statali (ovvero il trattamento di fine servizio) l'ente erogatore provveda decorsi 24 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro e, nei casi di cessazione dal servizio per raggiungimento dei limiti di età o di servizio previsti dagli ordinamenti di appartenenza, per collocamento a riposo d'ufficio a causa del raggiungimento dell'anzianità massima di servizio prevista dalle norme di legge o di regolamento applicabili nell'amministrazione, decorsi 12 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro. Inoltre, all'effettiva corresponsione si deve dar corso entro i successivi tre mesi, decorsi i quali sono dovuti gli interessi.

La categoria unitaria delle indennità di fine rapporto

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La Consulta ha chiarito, condividendo gli assunti della federazione UNSA-Confsal, che che le indennità di fine rapporto si atteggiano come "una categoria unitaria connotata da identità di natura e funzione e dalla generale applicazione a qualunque tipo di rapporto di lavoro subordinato e a qualunque ipotesi di cessazione del medesimo".
L'evoluzione normativa, spiega la Corte, ha ricondotto le indennità di fine rapporto erogate nel settore pubblico al paradigma comune della retribuzione differita con concorrente funzione previdenziale, nell'ambito di un percorso di tendenziale assimilazione alle regole dettate nel settore privato dall'art. 2120 del codice civile.
Tale processo di armonizzazione, contraddistinto anche da un ruolo rilevante dell'autonomia collettiva, rispecchia la finalità unitaria dei trattamenti di fine rapporto, che si prefiggono di accompagnare il lavoratore nella delicata fase dell'uscita dalla vita lavorativa attiva.
Le indennità sono corrisposte al momento della cessazione dal servizio allo scopo precipuo di "agevolare il superamento delle difficoltà economiche che possono insorgere nel momento in cui viene meno la retribuzione". In questo si coglie la funzione previdenziale che coesiste con la natura retributiva e rappresenta l'autentica ragion d'essere dell'erogazione delle indennità dopo la cessazione del rapporto di lavoro.
Il carattere di retribuzione differita, comune a tali indennità, le attira nella sfera dell'art. 36 Cost., che prescrive, per ogni forma di trattamento retributivo, la proporzionalità alla quantità e alla qualità del lavoro prestato e l'idoneità a garantire, in ogni caso, un'esistenza libera e dignitosa.

TFS: sì al pagamento differito in caso di cessazione anticipata dal servizio

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Le disposizioni censurate (art. 3, comma 2, del D.L. n. 79/1997 e art. 12, comma 7, del D.L. 78/2010), per esigenze di riequilibrio dei bilanci, hanno introdotto il pagamento differito e rateale dei trattamenti di fine servizio, comunque denominati, spettanti ai dipendenti pubblici.
Con l'introduzione del termine di 24 mesi (e 90 giorni) per l'erogazione dei trattamenti di fine servizio, nelle ipotesi diverse dal raggiungimento dei limiti di età o di servizio, il legislatore ha inteso intervenire con una misura restrittiva in una congiuntura di grave emergenza economica e finanziaria, che registra un numero cospicuo di pensionamenti in un momento anteriore al raggiungimento dei limiti massimi di età o di servizio
Tuttavia, secondo la Suprema Corte, tali norme sono legittime unicamente nei casi, come quello esaminato, in cui il differimento dell'erogazione dei trattamenti di fine servizio fa riscontro a una cessazione del rapporto di lavoro che può intervenire anche quando non sia ancora maturato il diritto alla pensione, ovvero in caso di cessazione dal servizio anticipata rispetto al raggiungimento del limite di età o di servizio.
La disciplina censurata, esaminata nel suo complesso e riferita alla cessazione anticipata del rapporto di lavoro, contempera, allo stato, in modo non irragionevole i diversi interessi di rilievo costituzionale, con particolare attenzione a situazioni meritevoli di essere più intensamente protette.
Dunque, poiché il lavoratore decide volontariamente e unilateralmente di risolvere il rapporto di lavoro, cessando anticipatamente dal servizio rispetto al raggiungimento del limite di età o di servizio per la pensione "normale", si ritiene legittimo sacrificare l'interesse del lavoratore all'ottenimento del TFR in prossimità del pensionamento, a vantaggio delle esigenze di equilibrio del bilancio.

Necessaria una ridefinizione della disciplina

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Di conseguenza, restano impregiudicate le questioni relative alla normativa che dispone il pagamento differito e rateale delle indennità di fine rapporto anche nelle ipotesi di raggiungimento dei limiti di età e di servizio o di collocamento a riposo d'ufficio a causa del raggiungimento dell'anzianità massima di servizio.
Tuttavia, questa disciplina appare non priva di aspetti problematici che la Consulta, nonostante l'estraneità del tema rispetto alla vicenda esaminata, ritiene di segnalare al Parlamento, sottolineando l'urgenza di una ridefinizione, nell'ambito di una organica revisione dell'intera materia, peraltro indicata come indifferibile nel recente dibattito parlamentare.
Data: 29/06/2019 09:00:00
Autore: Lucia Izzo