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Maltrattamenti per il padre violento verso la figlia troppo "occidentale"

Per la Cassazione rischia il reato di maltrattamenti il genitore che educa la figlia troppo "moderna" sottoponendola a continue violenze fisiche e morali


di Lucia Izzo - Rischia una condanna per maltrattamenti in famiglia il padre "padrone" che per educare la figlia, troppo vicina a una mal tollerata cultura "moderna", la sottopone a continue violenze morali e fisiche. Il fatto che la ragazza avesse deciso di non lasciare casa è irrilevante poiché risulta un comportamento tipico delle vittime tentare di riallacciare un rapporto con il familiare colpevole degli illeciti


Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, sesta sezione penale, nella sentenza 36832/2019 (sotto allegata) annullando la sentenza che aveva assolto un uomo imputato per lesioni e maltrattamenti nei confronti della figlia minorenne.

Il caso

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Nel dettaglio, il padre aveva rivolto versa la figlia, all'epoca 15enne, non solo aggressioni verbali, ma anche fisiche, colpendola con pugni e, in due occasioni, con la cinghia. Addirittura era giunto a provocarle, in un'occasione, lesioni personali con una prognosi di guarigione di sette giorni.

In particolare, il genitore senegalese era contrariato dalla cultura "troppo moderna" e occidentale abbracciata dalla figlia, mentre la ragazza, invece, era attratta da figure di riferimento ostili a quella paterna propense a offrirle maggiori spazi di libertà.
La Corte d'Appello, modificando la decisione di prime cure, ritiene che l'uomo non avesse agito per "umiliare" o "annientare" la figlia, ma per un "eccesso educativo", pronunciando quelle frasi in momenti di particolare tensione e concitazione.
Una conclusione contestata dal Procuratore presso la Corte d'Appello secondo cui i magistrati hanno parcellizzato le condotte ascritte all'imputato, astraendole dal contesto di violenza, sopraffazione e isolamento in cui viveva la ragazza.

L'animus corrigendi non scrimina la violenza fisica e morale verso i figli

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La Cassazione conferma la "motivazione inadeguata e parziale" della Corte d'Appello, anche rispetto alla complessiva trama argomentativa del primo giudice che aveva, invece, condannato l'uomo. I giudici del gravame, infatti, avrebbero omesso di prendere in considerazione tutti gli episodi narrati dalla vittima e, di contro, si contesta loro di aver immotivatamente "ridimensionato" e alleggerito la vicenda.

In primis, gli Ermellini ribadiscono il principio secondo cui non può ritenersi lecito l'uso sistematico da parte del genitore di violenza fisica e morale, come ordinario trattamento del figlio minore, anche se sorretto da "animus corrigendi", integrando in tal caso il più grave reato di maltrattamenti in famiglia e non quello di abuso del mezzi di correzione (cfr. Cass., n. 1781/2018).

Neppure tali comportamenti maltrattanti possono ritenersi compatibili e giustificabili con un intento correttivo ed educativo proprio della concezione culturale di cui l'agente è portatore (cfr. Cass., n. 48272/2009).

Maltrattamenti per il padre-padrone violento contro la figlia "moderna"

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Inoltre, si legge nel provvedimento, la Corte di appello ha posto in discussione la credibilità della persona offesa in relazione ai fatti narrati, facendo leva su argomenti non idonei a incrinare la diversa valutazione compiuta in primo grado o che risultano poco significativi in dinamiche di tipo familiare.

Ad esempio, il timore della ragazza di essere riportata in Africa, che poteva giustificare il suo allontanamento da casa e portarla ad "ingigantire" i fatti patiti, mal si conciliava con le confidenze effettuate dalla ragazza nell'immediatezza dei fatti sulle violenze subite ad opera dell'imputato e che erano state valorizzate dal primo giudice come riscontro della sua credibilità.


Così il rientro a casa della ragazza, lungi dall'essere sintomatico della "normalità" dei pregressi rapporti intrattenuti con l'imputato, costituiva un elemento, secondo massime di esperienza, non inconciliabile con il configurato reato di maltrattamenti.

Secondo la Cassazione, infatti, risponde all'id plerumque accidit il tentativo della vittima di questa tipologia di reati di riallacciare i rapporti familiari con l'autore dei fatti illeciti. Pertanto, tali comportamenti non hanno di per sé valore probante dell'inattendibilità delle dichiarazioni della vittima, soprattutto se queste ultime risultavano corroborate da plurimi elementi esterni di conferma.

Pertanto, la sentenza impugnata va annullata con rinvio per una nuova lettura da parte di altra sezione della Corte d'Appello.
Data: 04/09/2019 06:00:00
Autore: Lucia Izzo