Quando l'avvocato ha diritto al compenso
di Valeria Zeppilli – Sebbene sia ovvio che l'avvocato che presta la propria opera professionale in favore di un cliente abbia diritto a essere remunerato per tale attività, in alcuni casi questo nesso non è così scontato.
Presupposto affinché sorga il diritto al compenso, infatti, è la sussistenza di un incarico conferito espressamente dal cliente all'avvocato.
La procura alle liti
In presenza di procura alle liti, il problema non si pone: tale documento è idoneo a dimostrare che il cliente abbia inteso avvalersi dell'opera del legale e che, quindi, debba remunerarlo.
Il domiciliatario
Qualche problema in più si pone con riferimento alle domiciliazioni, che spesso sono oggetto di una procura specifica, da tenere distinta dal rilascio del mandato professionale, e che possono quindi determinare qualche perplessità in ordine al pagamento del compenso.
Per comprendere meglio a cosa ci si sta riferendo, si può ad esempio fare riferimento all'ordinanza della Corte di cassazione numero 27466/2019 (qui sotto allegata), che ha escluso il diritto al compenso di un domiciliatario per un atto di precetto, alla luce del fatto che in giudizio era stata accertata solo la domiciliazione del cliente presso di lui e non uno specifico conferimento di incarico.
La prova dell'avvenuto conferimento dell'incarico
Più in generale può dirsi che, se il cliente contesta il diritto al compenso dell'avvocato, la prova dell'avvenuto conferimento dell'incarico può essere data con qualunque mezzo istruttorio.
In sostanza, occorre dimostrare (avvalendosi di uno qualunque dei diversi strumenti probatori messi a disposizione del nostro ordinamento) che l'incarico è stato conferito con qualunque forma idonea a manifestare in maniera inequivocabile che il cliente convenuto in giudizio per il pagamento del compenso abbia espresso la propria volontà di avvalersi dell'attività e dell'opera dell'avvocato poi non pagato.
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Data: 03/11/2019 21:00:00Autore: Valeria Zeppilli