Pubblico impiego e sanzione disciplinare
La valutazione dei fatti per applicare una sanzione è frutto di discrezionalità amministrativa, criticabile se è sproporzionata o irragionevole
Avv. Francesco Pandolfi - In tema di sanzioni disciplinari nel settore del pubblico impiego, vige un principio di fondo in forza del quale la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati in relazione all'applicazione di una sanzione e, dunque, riguardanti il rapporto tra infrazione e fatto, costituisce espressione di vasta discrezionalità amministrativa, di norma non sindacabile dal giudice della legittimità.
Eccesso di potere
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I casi dove questa lata discrezionalità si presenta invece criticabile sono quelli nei quali emerge l'eccesso di potere, nelle sue forme patologiche quali:
1) il travisamento dei fatti,
2) l'evidente sproporzionalità,
3) la manifesta illogicità,
4) la manifesta irragionevolezza.
La sentenza penale
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Si tratta di un tema che spesso viene riproposto nelle aule di giustizia; ultimamente è tornato ad occuparsene indirettamente la Terza Sezione del Tar Milano, con la sentenza n. 1313 del 10.06.2019, in occasione di un processo abbastanza complesso e delicato.
Di regola, in presenza di una sentenza penale di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, l'Amministrazione può procedere all'instaurazione di un procedimento disciplinare, irrogando la sanzione, dopo aver valutato i fatti che hanno determinato il procedimento penale sottostante.
Nel caso in cui il giudizio penale si concluda senza un giudicato di condanna, l'amministrazione può utilizzare a fini istruttori gli accertamenti effettuati in sede penale, senza ripeterli.
La posizione del dipendente
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Ovviamente, fa da contrappeso a questo criterio la regola in virtù della quale l'amministrazione è obbligata a valutare autonomamente i fatti addebitati all'incolpato.
Inoltre, in generale, a tutela del dipendente va anche ribadito che questa discrezionalità nella valutazione dei fatti non può condurre a travisarli, o peggio diventare espressione di una chiara irragionevolezza.
Così come l'amministrazione non può, in generale, esprimere la sua potestà eccedendo nel potere che la Legge ripone nelle sue mani: sono proprio questi i casi dove il ricorso al giudice si impone.
Il Consiglio di Stato ha fissato questi principi (cfr. sentenza n. 4237/2014).
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Autore: Francesco Pandolfi