Distruzione, deterioramento o alienazione di cose mobili militari
di Mattia Ivano Losciale - L'ultimo gruppo dei reati contro il servizio militare statuisce un sistema sanzionatorio volto a tutelare la capacità di espletamento del servizio istituzionale, mediante la salvaguardia e la conservazione del patrimonio materiale delle FF.AA.; ciò, a prescindere dal valore economico dei c.d. "beni di uso militare"[1].
- Ratio della norma. Bene tutelato
- Profilo soggettivo
- Oggetto materiale
- Competenze. Aspetti procedurali
- La richiesta di procedimento (art. 260 c.p.m.p)
- Armi e materiali in assegnazione temporanea. Il problema della portata dell'"affidamento"
- Il punto controverso. La giurisprudenza assente
- Lo stato della dottrina
- Una posizione personale
- Possibili risvolti pratici
Ratio della norma. Bene tutelato
Il primo insieme di norme, quelle del capo V c.p.m.p., traguarda come oggetto di tutela quei beni militari che costituiscono dotazione individuale del personale in armi. Sanziona, cioè, quelle condotte idonee a rendere, anche parzialmente, indisponibili per il servizio materiali appartenenti all'Amministrazione Militare che vengono affidati specificatamente al militare. Gli articoli qui in esame, sebbene rubricati come <<...Distruzione o alienazione...>> di <<...materiali d'armamento...>> (art. 164) e di <<...effetti di vestiario o equipaggiamento militare...>> (art. 165), rivolgono, in vero, la loro operatività verso un numero più ampio di singole condotte, cioè: la distrazione, la distruzione, la soppressione, il deterioramento, la dispersione, l'alienazione o qualunque altra forma di comportamento che incida sull'integrità e sull'efficienza del bene militare affidato al soggetto in armi. Tutte hanno, comunque, in comune: il presupposto della disponibilità attuale, diretta e univoca del bene da parte del militare; l'attitudine ad inficiare, anche parzialmente o temporaneamente, la capacità di quel bene ad essere idoneo allo svolgimento del servizio militare.
Il capo VI, invece, detta le norme di chiusura delle condotte contro le cose mobili militari disponendo, in via sussidiaria – (<<…fuori dei casi preveduti dagli articoli 164 e 165…>>) –, con gli artt. 169 (Distruzione o deterioramento di cose mobili militari) e 170 (Fatti colposi).
Le principali differenze tra le previsioni degli artt. 164, 165 e quelle degli artt. 169, 170 si rinvengono nel fatto che: manca (nel secondo insieme) l'elemento dell'affidamento diretto del bene militare al soggetto in servizio alle armi; le condotte previste dall'art. 169 (e dal 168) integrano il reato anche a titolo di colpa (ex art. 170).
Profilo soggettivo
In merito agli artt. 164, 165 e 169, l'elemento soggettivo richiesto per la configurazione del reato è il "dolo generico": risulta irrilevante il fine che spinge il militare a porre in essere il delitto[2]. Solo che, mentre per gli artt. 164, 165 l'eventuale azione per colpa rimanderà l'esame della condotta alla giurisdizione disciplinare[3], per il 169 – come anticipato – opererà il successivo art. 170, per cui sarà integrato il reato a titolo colposo.
Oggetto materiale
Preliminarmente, la qualificazione dell'oggetto destinatario della condotta criminosa, collocabile o meno all'interno della specifica categoria "materiali di armamento", risulta di fondamentale – anche se non sufficiente – rilevanza per l'imputazione del titolo del reato. Al riguardo, per l'elenco degli oggetti costituenti materiali di armamento si rimanda all'art. 2, co2 della L. n. 185/90[4]; per l'individuazione ovvero l'aggiornamento di nuove categorie di materiali d'armamento, si provvede con decreto del Ministro della Difesa di concerto con i Ministri degli Affari Esteri, dell'Interno, dell'Economia e delle Finanze e dello Sviluppo Economico. In ogni caso, è utile tener bene presente che il legislatore, quando parla di "materiali di armamento", fa riferimento non solo alle armi e alle munizioni da guerra, ma a tutto il complesso strumentale (giberne, fondine, bandoliere…) che renda possibile o agevoli il porto delle armi[5].
Per quanto concerne la nozione di "vestiario" o "equipaggiamento militare", in questa devono essere considerati tutti gli altri beni che il militare ha in consegna personale per le esigenze di servizio (quali telo tenda, coperta da campo, tromba per la fanfara…), escludendo quelli di "casermaggio" (quali brande, coperte…), che rimangono nella disponibilità dell'A.D. e di cui il militare ne ha semplice uso[6].
Per l'ultima ipotesi qui in esame (art. 169/170), chiarita la portata delle altre categorie, risulta evidente come "qualunque altra cosa mobile appartenente all'Amministrazione Militare" (enumerata dopo quelle) possa e debba essere letto quale insieme residuale. Il titolo del reato, in vero, riporta unicamente la dicitura "cose mobili militari"; in questo caso appare, però, ovvio ritenere che il riferimento realizzi un'accezione più estensiva, includente, quindi, anche oggetti, armi e munizioni, che sono poi presi in esame nel testo dell'articolo.
Competenze. Aspetti procedurali
Come già detto, i delitti previsti dagli artt. 164 e 165 sono configurabili come tali solo a titolo di dolo. In ambedue i casi l'A.G.M. deve essere comunque informata, con la differenza che, mentre per il 165 la perseguibilità resta soggetta alla condizione di procedibilità dettata dall'art. 260, ccoo 2 e 5[7] c.p.m.p, nel caso del 164 il procedimento penale prosegue ex officio. Sono salve le competenze disciplinari del Comandante di Corpo per il conseguente procedimento, secondo quanto statuito dagli art. 1362, co7, lett. a) ovvero artt. 1393 c.d. 1362, co7, lett. b) del D.Lgs. n.66/2010.
Se, invece, l'elemento psicologico è la colpa, il reato non sussiste, ma la condotta è comunque rilevante sotto il profilo disciplinare, secondo la fattispecie prevista dall'art. 723, co1 del D.P.R. n.90/2010, con competenza anche del Comandante di Reparto.
In merito alle previsioni dell'art. 169 c.p.m.p, si rileva come anche questa fattispecie si realizzi a titolo di dolo. La differenza (con la quasi totalità degli altri reati militari) è che, nel caso l'elemento psicologico sia la colpa, permane la rilevanza penale della condotta, operando, nel merito, la disposizione del successivo art. 170.
Lo schema procedurale, in virtù della statuizione sanzionatoria edittale, determina che, nel caso del 169, il procedimento penale prosegua ex officio (salve le attribuzioni del Comandante di Corpo per il conseguente procedimento disciplinare secondo gli artt. 1393 c.d. 1362, co7, lett. b) del D.Lgs. n.66/2010). Nel caso del 170, la perseguibilità sarà soggetta alla condizione di procedibilità dettata dall'art. 260, ccoo 2 e 5 c.p.m.p.; anche qui, con le conseguenze disciplinari, ulteriori o sole, a seconda dell'attivazione o meno del procedimento penale militare.
La richiesta di procedimento (art. 260 c.p.m.p)
Giace in capo al Comandante di Corpo il potere discrezionale di perseguire la rilevata illecita condotta per via disciplinare ovvero chiamando a decidere il Giudice Militare. La facoltà in parola è conferita unicamente per quei reati militari punibili col massimo della reclusione militare di 6 mesi. Riguarda, cioè, quei delitti (c.d. "minori") che ledono in misura poco rilevante l'interesse tutelato.
La richiesta di procedimento: è espressione di insindacabile giudizio del Comandante di Corpo; ha natura squisitamente processuale; non necessita di motivazione, in quanto (ritenuto atto processuale) sottratta alla disciplina dell'art. 3 di cui alla L. n.241/90; è irrevocabile (art. 129 c.p.).
È fondamentale tener presente come la richiesta non debba essere confusa con la c.n.r. all'A.G.M. che, in ogni caso, va inoltrata. Anche nel caso in cui il Comandante di Corpo decida di procedere solo per via disciplinare, egli deve dare ugualmente comunicazione dei fatti-reato alla competente Procura Militare. Il termine perentorio per avanzare la richiesta è di un mese dal giorno in cui l'Autorità ha avuto notizia del fatto; la mancata richiesta di procedimento entro il termine statuito determina l'archiviazione del/i procedimento/i penali.
Un ultimo aspetto su cui vale la pena soffermarsi riguarda la concorrenza tra procedimenti/sanzioni penali/disciplinari scaturenti da questo tipo di reati militari. Pacifica l'operatività dagli artt.1393 c.d. 1362, co7, lett. b) del D.Lgs. n.66/2010, non è, infatti, preclusa la possibilità di avanzare la richiesta di procedimento penale quand'anche, per lo stesso fatto, sia già stata irrogata la sanzione disciplinare della "Consegna di rigore"[8]. La procedibilità, entro il limite temporale perentorio, può essere azionata, dunque, in qualsiasi fase e stato del procedimento disciplinare del Comandante di Corpo.
Armi e materiali in assegnazione temporanea. Il problema della portata dell'"affidamento"
L'istituto dell'"affidamento" al militare[9] dei beni dell'A.D., che – come già detto – si pone come discrimine tra lo schema di condotte previste dagli artt. 164, 165 e quelle individuate dagli artt. 169, 170, assume particolare rilevanza per le FF.PP. a ordinamento militare, nella misura in cui i loro appartenenti vengono chiamati a svolgere, quotidianamente, servizi di polizia con dotazioni che vengono loro assegnate per il tempo necessario all'espletamento degli stessi. La disquisizione verte – meglio, verterebbe –, dunque, sul punto che vede l'assegnazione temporanea di armi ed altri materiali realizzante o meno la conditio dell'affidamento. L'azione sussuntiva si rivela particolarmente significativa nell'ipotesi di condotta colposa, in cui la sussistenza o meno della condizione determina una qualificazione giuridica del fatto di diversa natura, rispettivamente disciplinare o penale (con le ulteriori conseguenze disciplinari). Il caso concreto tipico è rappresentato dallo smarrimento colposo della PM12 (ovvero della paletta catarifrangente) in assegnazione temporanea al militare in servizio di controllo del territorio.
Il punto controverso. La giurisprudenza assente
Preliminarmente, risulta fondamentale rilevare alcuni dati. Per lo schema di fattispecie in esame, la linea applicativa attuale è quella di ascrivere lo smarrimento colposo di armi/materiali di Reparto in assegnazione individuale (temporanea) all'ipotesi prevista dall'art. 170 c.p.m.p. Dall'entrata in vigore del c.p.m.p., poi, la giurisprudenza in merito risulta inesistente: il Giudice Militare, a quanto pare, non sarebbe mai stato chiamato – verosimilmente perché mai avanzata la richiesta di procedimento ex art. 260 c.p.m.p. – ad esaminare la vicenda-tipo de quo (neanche, quindi, le questioni pregiudiziali quali l'ammissibilità). Non è, dunque, possibile fare affidamento sull'orientamento giudiziale. Dall'esame della dottrina sul punto, inoltre, non appaiono rilevarsi elementi che possano nettamente far propendere verso la linea applicativa attuale. Parte di essa ha sollevato, di contro, dubbi sulla coerenza e sulla ragionevolezza dello schema condotte/sanzioni, censurando la mancata previsione di ipotesi colpose anche per gli artt. 164, 165.
Lo stato della dottrina
Il RIVELLO, in un ragionamento ad escudendum, in cui espunge dal novero delle cose militari considerabili "in dotazione" le armi e le munizioni consegnate per le esercitazioni, osserva come nel caso di specie non si possa ravvisare la sussistenza dell'"affidamento" <<…giacché, in tal caso, essendo l'intera esercitazione svolta sotto il diretto controllo dei superiori, non si ha quell'"affidamento" dell'arma al singolo, per un periodo temporale significativo, che caratterizza invece l'ipotesi configurata dalla fattispecie in esame. (ndr.: art. 164)>>[10]. Ci troviamo cioè in una situazione in cui arma e munizioni di Reparto vengono "consegnate" al militare, ma gli ostacoli all'ascrivibilità della dazione delle cose militari quale "affidamento" sono costituiti da: "il diretto controllo dei superiori" e "un periodo temporale non significativo". Ciò porta a considerare che, rimossi gli impedimenti in parola, l'"affidamento" possa sussistere. Non solo. L'aspetto, forse, maggiormente rilevante (ai fini della presente disquisizione) è che il giurista avrebbe potuto dirimere il dubbio interpretativo semplicemente invocando il dato formale che armi e munizioni consegnate per le esercitazioni non costituiscono la c.d. "dotazione personale". Non lo fa. E appare poco plausibile ritenere che possa trattarsi di un errore.
Oltre, il RIVELLO, non chiarisce. Ma, più avanti (nel manuale), nell'esame comparativo degli schemi sanzionatori ex artt. 164, 165 vs artt. 169, 170 non esita a rilevare una <<…sistematica priva di sostanziale coerenza e ragionevolezza…>>[11], con riferimento censorio alla mancata previsione di una fattispecie colposa anche per gli artt. 164 e 165. Ad ogni modo, anche per il giurista appare pacifico come l'elemento caratterizzante le condotte ex artt. 169, 170 sia rinvenibile nella <<…mancanza di un affidamento, cioè il fatto che la cosa mobile oggetto del reato non è in dotazione del soggetto attivo.>>[12].
Il dr. Daniele PROFILI[13] si pone su posizioni decisamente antitetiche rispetto alla linea applicativa attuale. In un suo articolo sostiene: <<…In conclusione è doveroso ribadire che il militare è imputabile secondo gli articoli in questione – ndr: 164, 165 – esclusivamente se l'oggetto destinatario di una delle predette condotte criminose sia in dotazione, anche solo se temporaneamente per lo svolgimento di un servizio, mentre nei casi in cui il materiale non sia stato assegnato al soggetto allora la norma di riferimento è rappresentata dall'art. 169. …Ciò premesso sarebbe dunque errato inquadrare lo smarrimento del materiale temporaneamente assegnato al militare per l'espletamento di un servizio (es.: paletta segnaletica per l'attività di pattuglia per l'Arma dei Carabinieri) quale fattispecie punibile attraverso l'art. 169. … Quindi, risulterebbe erronea l'imputazione al militare che smarrisce un oggetto assegnato temporaneamente per motivi di servizio secondo gli artt. 169 e 170 in quanto, come detto, la condotta è astrattamente riconducibile all'art. 165…>>[14].
Personalmente interpellato, il PROFILI chiarisce che la posizione assunta nasce da una interpretazione degli articoli ritenuta apparentemente più aderente sia alla ratio della norma che al dato letterale della stessa. Ciò, anche in considerazione del fatto che sono gli artt. 164 e 165 deputati a sanzionare in via principale le condotte possibili afferenti le armi e i materiali forniti dall'Amministrazione Militare; l'art. 169 (e la relativa ipotesi colposa di cui al successivo art. 170), invece, si atteggia a "norma di chiusura", ovvero a disposizione intesa ad assicurare, comunque, protezione ai quei beni militari che non rientrino nelle categorie di cui agli artt. 164 e 165, ossia che non siano affidati in concreto al militare.
Per concretizzare il ragionamento, l'Ufficiale Superiore propone un esempio quanto mai chiarificatore: il militare che danneggia l'arma (già) ritirata per l'espletamento di un servizio non può che rispondere, penalmente, esclusivamente a titolo di dolo ex art. 164; se invece, prima di ritirare l'arma (o anche dopo averla ritirata) nel muoversi goffamente nel locale armeria lo stesso militare dovesse cagionare la caduta a terra di altre armi/oggetti di armamento a lui non assegnati, danneggiandoli, ecco aprirsi le porte per una incriminazione a titolo colposo (ex art. 170). Per quanto concerne la "paletta" in uso alle forze dell'ordine, atteso il suo stretto rapporto con l'attività di servizio ed il fatto che comunque viene di fatto affidata al militare per lo svolgimento di uno specifico servizio, è ragionevolmente ritenibile che la stessa non possa che essere considerata come parte integrante dell'equipaggiamento del militare e, dunque, ontologicamente non corretto imputare il suo smarrimento, a titolo di colpa, in capo al manchevole sotto il profilo penale[15].
Un riscontro a quanto testé riportato può essere colto nelle considerazioni del FERRANTE[16]. Preliminarmente, espressamente confermando la natura sussidiaria della norma ex art. 169 (e 170), prosegue chiarendo come le disposizioni richiamate abbiano lo scopo di tutelare il corretto svolgimento del servizio militare da quelle condotte <<…che determinano il depauperamento dei beni mobili che di solito sono usati dai militari, senza che l'amministrazione ne perda il possesso (ndr: come, per esempio, la PM12, ancora in rastrelliera, col numero di matricola successivo a quella già ritirata da un militare per il suo servizio)…In effetti…si è voluto dare un particolare rilievo, anche in mancanza di un affidamento individuale del bene, sul presupposto di un affidamento generico dei beni mobili dell'amministrazione militare agli appartenenti alle Forze Armate dello Stato.>>. Non solo. Il FERRANTE, continuando, osserva come, di contro, la mancata contemplazione dell'"alienazione" implichi, per forza di cose, che il 169 faccia riferimento a condotte in cui il possesso della res militare non si realizza. Cioè, quindi, un appartenente alle Forze Armate dello Stato può alienare un effetto militare solo se questo è nella sua disponibilità. Diventa, allora, ardito – a parere di scrive – poter sostenere che l'assegnazione temporanea della paletta o della PM12, per esempio, al carabiniere (per il tempo necessario allo svolgimento del servizio istituzionale), possa essere ascrivibile alle fattispecie previste di 169 e 170, giacché con l'assegnazione individuale (ancorché temporanea) si realizza il possesso della cosa militare; quindi la sua disponibilità e la sua attitudine ad essere alienato; quindi la sua impossibile ascrivibilità alle ipotesi di cui agli artt. 169 e 170 e quindi la sua riconducibilità ai 164 e 165.
Su analoga posizione si pongono BRUNELLI – MAZZI nella misura in cui escludono che oggetto materiale della tutela (dei 169/170 c.p.m.p.) possano essere quegli effetti "affidati al militare". Tutela, diretta invece su qualunque (altra) cosa mobile, <<…sicché scompare la nota tipica della destinazione al servizio…>>[17]. Osservano (anche loro), fenomenicamente, quale conseguenza diretta, la riduzione delle condotte sanzionate, che non annoverano distrazione e alienazione. Ma un fondamentale accorgimento di cui gli autori si curano è quello di sottolineare <<…la tutela più direttamente marcata sugli aspetti patrimoniali ed economici dei beni…>>, chiarendo come <<…il fatto rappresenta semplicemente una ipotesi di "danneggiamento" (cfr. art. 635 c.p.) commesso nei confronti di beni appartenenti all'Amministrazione Militare.>>[18]. Non solo. In soccorso di questa tesi accorre la Commissione Reale (del 1925) con la sua Relazione redatta in sede di approvazione dei codici penali militari. A pag. 136 del lavoro preparatorio si legge: <<…i reati di danneggiamento, che costituiscono l'ultima categoria di reati contro il servizio, si differenziano da quelli contemplati nel Capo precedente (artt. 164-166 ndr.), perché riguardano cose che, seppur dell'A.D., non sono affidate al militare personalmente e non costituiscono il suo vestiario, equipaggiamento o armamento militare. … Anche per tali fatti, pur non essendovi quell'affidamento individuale specifico che caratterizza i reati precedenti (artt. 164-166 ndr.), esiste tuttavia un affidamento generico che dà ad essi un'impronta speciale e prevalentemente militare.>>.
Orbene, anche qui, con queste premesse, diventa difficile non accettare la tesi interpretativa che vede ricondurre la PM12 e la paletta catarifrangente, ancorché affidati temporaneamente, nel novero di quei beni tipicamente destinati al servizio e che possono integrare le sole condotte previste dai 164 e 165 c.p.m.p.. Appare quantomeno evidente come l'arma lunga e la paletta di segnalazione vengano "affidati specificatamente" ad un determinato militare e come tali strumenti siano direttamente propedeutici all'espletamento del servizio istituzionale. È il servizio militare il bene leso in via principale, diretta e attuale, nel caso concreto di smarrimento della paletta di segnalazione.
Una posizione personale
Incoerenza e irragionevolezza dello schema sanzionatorio risulterebbero – a parere di chi scrive – solo apparenti, nella misura in cui si scegliesse di considerare scorretta l'ascrivibilità dell'assegnazione temporanea alle fattispecie previste dagli artt. 169 e 170. Siffatta impostazione – qui ritenuta errata – si presta, a ben vedere, ad una percezione interpretativa abnorme[19]. Ciò per più ragioni. Innanzi tutto, dall'esame del dato letterale delle disposizioni (164 e 165), in nessun caso emerge alcun elemento che possa far pensare ad un discrimine di carattere "temporale" della "fornitura"; ciò che il legislatore si premura di statuire è il rapporto tra la cosa militare e il suo affidatario, nonché la genesi dell'affidamento (<<…a norma dei regolamenti…>>). Inoltre, vi è da considerare il fatto che il bene militare, anche nel caso della 92FS assegnata al carabiniere, non cessa mai di appartenere all'Amministrazione; l'unica differenza con l'assegnazione "provvisoria" della PM12 risiede nel quantum temporale: il tempo del servizio alle armi nel primo caso; il tempo del servizio esterno nel secondo. Ontologicamente, quindi, non appare esservi alcuna differenza.
In secundis, vi è da considerarsi che la norma 169/170 è posta quale disposizione c.d. di "chiusura": appare, pertanto, più ragionevole dirigerla verso ipotesi residuali piuttosto che principali quali l'ordinarietà del servizio istituzionale.
Vi è, poi, l'osservazione dei FERRANTE e BRUNELLI – MAZZI, circa l'elemento sintomatico della mancata previsione (nel 169) delle condotte di alienazione e distrazione, in merito a cui si ritiene di sposare appieno le argomentazioni. Nonché l'altra evidenziata posizione dei BRUNELLI – MAZZI dell'assimilazione dell'art. 169(/170) alla specie di "danneggiamento militare", comprovata dai lavori preparatori della Commissione Reale.
In chiusura, un'ultima considerazione strettamente personale. La maggior rimproverabilità dello schema sanzionatorio potrebbe trovare, in verità, ragionevole fondamento e risultare direttamente correlato all'esigenza di dover sopperire al minor senso di responsabilità verso la res militare – che a differenza dell'assegnazione personale è "indotto" ad personam – dell'universalità dei soggetti che, non sentendo direttamente ricadente su di loro l'obbligo di tutela del bene dell'Amministrazione, lo espongono di fatto a maggior rischio. Con la previsione penale anche per i profili colposi viene ingenerato d'imperio una sorta di senso di responsabilità erga omnes[20], in virtù del quale alla carenza di forza del vincolo personale (dell'assegnazione) accorre in soccorso il più intenso timore del più severo traguardo sanzionatorio. Per meglio comprendere il fondamento di questo concetto è, forse, utile considerare il contesto storico in cui il testo del codice viene prodotto. Siamo nel 1926 quando il testo (che sarà quello definitivo del 1941) vede la luce, dopo un lungo e travagliato percorso di riorganizzazione della materia (cominciato nel 1891 e costellato di fallimenti)[21]; l'Italia, in pieno regime fascista, è da poco fuori dal 1° conflitto mondiale, in epoca coloniale e alle soglie della 2^ Guerra; la maggior parte degli arruolati è di estrazione proletaria, chiamata forzatamente alle armi, in prospettiva di una battaglia molto vicina e di una morte altrettanto probabile. Appare oltremodo ragionevole, in quest'ottica, vista la tipologia di risorse umane a disposizione, e per i ritenuti meccanismi psicologici esposti, come un intervento legislativo quale l'art. 170 c.p.m.p. risultasse pienamente coerente con l'esigenza di tutela dell'integrità del patrimonio militare.
Possibili risvolti pratici
Rivolgendo, infine, l'attenzione su altro versante, vi è da considerare che una siffatta linea applicativa produrrebbe implicazioni di carattere pratico che non sarebbero comunque da sottovalutare. Prima di tutto, la percezione di una più realizzata giustizia sostanziale. Si prenda in esame, infatti, il caso ipotetico in cui due pattuglie, una della Polizia di Stato e l'altra dei Carabinieri, intervengano su uno stesso evento e, nell'occasione, i due capi-equipaggio smarriscano colposamente la paletta di segnalazione. In specie, nel caso dell'agente di PS sarà solo ed esclusivamente competente il G.A., e solo per l'eventuale ricorso giurisdizionale all'eventuale sanzione disciplinare/titolo ristoratore; per il militare Arma, invece, secondo l'attuale linea applicativa, l'A.G.M. potrebbe già essere adita nella fase di prima valutazione della vicenda. Con ragguardevoli, possibili, differenti (inique) conseguenze, quindi. Assumerebbe, poi, rilevanza non da poco l'aspetto di "economia" disciplinare. L'applicazione della norma nel senso proposto consentirebbe, di certo, una non irrilevante deflazione dei procedimenti in seno al Comando di Corpo, devolvendo così, in maniera più diffusa e celere, l'esame delle vicende de quibus – quelle meno gravi almeno – alla competenza del Comandante di Reparto, secondo parametri, peraltro, pienamente compatibili con le esigenze di "giustizia disciplinare", nonché più omogenei rispetto ai casi di smarrimento colposo del tesserino o della 92FS in dotazione personale.
Bibliografia
BIBLIOTECA CENTRALE GIURIDICA, I lavori preparatori dei codici italiani, 2013, Ministero della Giustizia – Dipartimento per gli affari di giustizia – Biblioteca centrale giuridica
RIVELLO, Manuale di diritto penale militare e dell'ordinamento giudiziario militare, 2019, G. Giappichelli Editore
BRUNELLI – MAZZI, Diritto penale militare, 2007, Giuffrè Editore
VENDITTI, I reati contro il servizio militare, 1995, Giuffrè Editore
FERRANTE, voce Distruzione o deterioramento di cose mobili militari, in Digesto delle Discipline Penalistiche, vol. IV, 1990, Utet
Sitografia
- I reati contro beni militari in dotazione individuale di Daniele Profili, Studiocataldi.it, 11.12.2014
Giurisprudenza
Corte Costituzionale, sent. n. 406/2000
Data: 14/11/2019 15:30:00
Autore: Mattia Ivano Losciale