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Terre d'uso collettivo: la sentenza del Consiglio di Stato

Per il Consiglio di Stato, l'ordinamento guarda con sfavore alle ipotesi di deroga ai vincoli all'utilizzo ed alla commercializzazione di terreni gravati da uso civico


Avv. Francesco Pandolfi - Nel 2012 il Dirigente del Settore Bilancio e Credito Agrario della Regione Campania emette un parere con il quale risponde "no" alla richiesta di alienazione /sdemanializzazione delle terre di uso collettivo di un Comune richiedente.

Il caso

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Il Commissario degli usi civici di Napoli in effetti ha emesso alcune ordinanze in virtù delle quali quel Comune risulta assegnatario di una cospicua estensione di terreno demaniale, circa tredici ettari.
In pratica: il territorio in questione nel corso del tempo è stato fatto oggetto di occupazioni abusive di terzi, mediante la creazione di tanti piccoli lotti recintati, all'interno dei quali sono stati realizzati dei fabbricati ad uso abitativo per residenze estive.

La posizione del Comune

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Vista la situazione, il Comune pensa di sdemanializzare l'intera area per poterla, in un secondo momento, alienare agli occupanti, ritenendone ormai venuta meno la destinazione originaria.
Il Comune, dunque, presenta il suo ricorso al Tar: la censura principale è diretta verso la Regione, la quale sembrerebbe aver reso il parere negativo di sua competenza al di fuori della Conferenza di servizi, convocata per esaminare la richiesta dell'amministrazione municipale.
Inoltre, rimarca che la Regione non avrebbe applicato la Legge Regionale (norme in materia di usi civici) concernente le ipotesi di perdita della destinazione agro-silvo-pastolare dei fondi pubblici.

Con sentenza n. 610 del 25.03.2014 il Tar Campania respinge il ricorso; il Comune presenta allora l'appello ed avvia la causa di secondo grado, insistendo sulle proprie ragioni.

La sentenza del Consiglio di Stato

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La Sezione 5 del Consiglio di Stato respinge l'appello con sentenza n. 3251 del 21.05.2019.
In estrema sintesi, il Comune interessato batte sulla ormai compromessa fruibilità dell'uso civico dei terreni oggetto di contenzioso, vista la perdurante loro occupazione di fatto da parte di privati i quali, nel tempo, vi avrebbero impresso una definitiva vocazione edificatoria, tanto incisiva da determinarne l'irreversibile trasformazione e la perdita della funzione originaria.
Il Supremo Consesso però non concorda con questa tesi.
Dice infatti che la disciplina sull'utilizzazione e disponibilità delle terre civiche, ossia appartenenti alla collettività civica (demanio civico) è pur sempre configurata nei suoi tratti generali dalla Legge n. 1766/27, che distingue (a) tra terreni convenientemente utilizzabili come bosco o pascolo permanente e (b) terreni convenientemente utilizzabili per la coltura agraria.
Per i fondi della categoria "a", è previsto che i Comuni non potranno, senza l'autorizzazione, alienarli o mutarne la destinazione; per quelli invece della categoria "b" essi sono destinati ad essere ripartiti, secondo un piano tecnico di sistemazione fondiaria e avviamento colturale, fra le famiglie dei coltivatori diretti del Comune o della frazione, con preferenza per quelle meno abbienti, purchè diano affidamento di trarne la maggiore utilità.

In sostanza, boschi e pascoli continuano ad appartenere alla collettività e i Comuni potranno alienarli solo previa autorizzazione della Regione.
Invece i terreni suscettibili di coltura agraria avrebbero dovuto essere assegnati in enfiteusi ed avrebbero potuto essere alienati all'assegnatario a seguito di affrancazione, secondo le regole generali.
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Data: 05/11/2019 15:00:00
Autore: Francesco Pandolfi