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Usi civici

Gli usi civici sono diritti reali di godimento di natura collettiva su beni immobili, volti ad assicurare un'utilità o comunque un beneficio ai membri di una comunità


Cosa sono gli usi civici

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Gli usi civici sono una categoria giuridica che non collima perfettamente con gli istituti giuridici moderni.
Gli usi civici sono diritti reali di godimento di natura collettiva su beni immobili, volti ad assicurare un'utilità o comunque un beneficio ai membri di una comunità.
L'esegesi dell'istituto degli usi civici non è cosa semplice, anche perché impone all'interprete una regressione storico-giuridica notevole.
In poche parole, si tratta del retaggio di una società feudale e immediatamente post feudale: di qui le difficoltà interpretative, anche soprattutto per l'effetto degli studi di una certa dottrina che ha descritto gli usi civici come diritti collettivi d'uso, condomini per facoltà separate, ecc. Senza citare le sentenze contrastanti sull'argomento.

La Cassazione sugli usi civici

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A chiarire meglio l'argomento è stata la seconda sezione civile della Corte di Cassazione, per mezzo della sentenza n. 2704/2019, pronuncia dove è stata sviscerata la materia degli usi civici in generale e poi, più in particolare, dell'istituto della c.d. affrancazione invertita a favore della popolazione.

Dice il Supremo Consesso che attraverso tale uso della terra intere collettività avevano, spesso miseramente, tratto di che vivere, nonostante il dominio del latifondista (già signore feudale) su vaste aree di territorio agricolo.
Nel diciannovesimo secolo, azzerato il controllo feudale, divisi i latifondi fra più proprietari terrieri ed avviati moderni metodi di sfruttamento agricolo, la piena permanenza in vita dei diritti d'uso civico venne ritenuta incompatibile con le esigenze moderne.
Cioè fu vista come un ostacolo al pieno sfruttamento agricolo, in quanto creava pesi di natura reale esercitabili da un'intera collettività, non sempre esattamente identificabile e, anzi, più che serie difficoltà alla libera circolazione dei possedimenti.

Le leggi eversive della feudalità

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Da qui l'origine delle leggi eversive della feudalità, con lo scopo di liquidare gli usi civici: la legge n. 1766/27 e il regolamento d'attuazione n. 332/28, vigenti.
Liquidazione praticata mediante lo scorporo di una parte del fondo da assegnare in piena proprietà alla collettività che vanta l'uso civico, oppure attraverso il compenso di un canone enfiteutico, posto a carico del proprietario del fondo, che così si libera dell'onere dell'uso civico.
L'Ente esponenziale della collettività di cui parliamo viene individuato nel Comune, che ha il dovere di amministrare i beni o i canoni pervenuti quale prezzo dell'affrancazione.

Proprio le due norme sopra citate impongono uno speciale regime, trattandosi pur sempre di beni la cui disponibilità resta sottoposta ad un controllo assai stringente.
Attualmente, la sottoposizione di questi beni a vincoli e procedure speciali si è via via arricchita del bisogno di protezione dei paesaggi e della cultura in generale, mediante apposite Leggi.

L'affrancazione invertita

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Per le sole province ex pontificie risulta ancora vigente il Regio Decreto 3 agosto 1891 n. 510 art 9, per opera del richiamo ex art. 7 co. 2 L. n. 1766/27, che prevede quella comunemente chiamata affrancazione invertita.
Si tratta, come si intuisce facilmente, di una remota disciplina normativa.
Vediamo come risulta congegnata, ricostruendone sinteticamente gli snodi centrali.
A questo proposito, si dice che una Giunta d'Arbitri (una sorta di organo conciliativo munito di poteri deliberativi vincolanti) qualora dovesse riconoscere indispensabile per la popolazione di un Comune, o una parte di esso, che si continui nell'esercizio dell'uso e l'estensione del terreno da cedersi in corrispettivo dell'affrancazione sia giudicata dalla giunta stessa insufficiente alla popolazione interessata per proseguire, come avveniva in passato, nell'esercizio della pastorizia o altre servitù, avuto riguardo alle condizioni dei luoghi la Giunta d'Arbitri ammetterà gli utenti all'affrancazione di tutto o parte del fondo gravato mediante pagamento di un annuo canone al proprietario.

Si parla dunque di affrancazione invertita: in pratica non è il proprietario del fondo che si libera dell'uso civico, affrancando il proprio diritto di proprietà mediante il pagamento di un canone o con il rilascio di una porzione del possedimento ma, al contrario, dove per ragioni specifiche individuate dalla predetta Giunta d'Arbitri questo metodo di liquidazione non sia ritenuto satisfattivo delle aspettative della Collettività di utenti, è quest'ultima che riscatta in tutto o in parte il fondo, dietro pagamento di un canone al proprietario.
Si tratta, in sostanza, di un'acquisizione del diritto in capo ad una Comunità ed è per questo, segnala la Cassazione, che il termine va correttamente inteso.
Non si tratta della liberazione dei diritti d'uso civico ma, all'opposto, del riconoscimento pieno di tali diritti, in questa nuova forma di assegnazione della piena proprietà in capo ad una determinata comunità.

L'attribuzione proprietaria di scopo

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Nè più nè meno che un'attribuzione proprietaria, destinata ex lege ad assicurare lo scopo del soddisfacimento dell'uso collettivo.
Per questa ragione, se il fondo è assegnato al Comune quando mancano Enti esponenziali più prossimi, quel Comune non ne può disporre in assoluta libertà, come se si tratti di un qualsiasi bene patrimoniale disponibile.
In sostanza, si tratta di beni a destinazione vincolata, che escludono la possibilità del Comune (nel caso della sentenza 2704 parliamo del Comune di Vallinfreda) di sdemanializzarli con atti di cessione a privati: se il Comune dovesse agire in questa direzione, non avrebbe il potere di farlo.

Secondo la lettura interpretativa della Cassazione, il Comune dunque ha l'assegnazione del bene solo quale Ente esponenziale della collettività: rappresenta tale collettività essendo tenuto ad assicurare l'uso civico di destinazione, al quale non può rinunziare liberamente, dal momento che non gli appartiene.

La procedura prevista dalla normativa speciale

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Solo attraverso la procedura prevista dalla normativa speciale, la Legge n. 1766 e il R.D. n. 332, il Comune può essere autorizzato a mutare, in tutto o in parte, la destinazione o le modalità di esercizio di essa, nel caso dovesse risultare non più compatibile con le trasformazioni socio economiche intervenute.
Altre informazioni?
Contatta l'Avv. Francesco Pandolfi
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avvfrancesco.pandolfi66@gmail.com
Data: 06/11/2019 13:00:00
Autore: Francesco Pandolfi