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Avvocati in pensione anche se mancano contributi

Per la Cassazione nell'anzianità contributiva rientrano anche gli anni di versamento non integrale dei contributi, ormai prescritti. Nessuna norma della legge professionale ne esclude l'accredito


di Lucia Izzo - Ai fini del calcolo della pensione di vecchiaia dell'avvocato, sono salve (e dunque conteggiabili) anche le annualità in cui il pagamento dei contributi non è stato integrale e il recupero delle somme risulta impedito dall'intervenuta prescrizione. Nessuna norma della legge professionale, infatti, prevede (a differenza di quanto avviene per i lavoratori dipendenti) il mancato riconoscimento dell'annualità qualora i versamenti siano inferiori al dovuto.


Si tratta di una "patologia del sistema" che può essere superata solo attraverso maggiori controlli, da parte di Cassa Forense, sulle comunicazioni e dichiarazioni inviate dagli iscritti, così da riuscire a recuperare tempestivamente quanto dovuto e non versato.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, sezione lavoro, nella sentenza 30421/2019 (qui sotto allegata) pronunciandosi sul ricorso di Cassa Forense che aveva impugnato la decisione che confermava l'efficacia, ai fini del calcolo della pensione di vecchiaia liquidata a un avvocato, di due annualità nelle quali il pagamento dei contributi non era stato integrale.

Il caso

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Cassa Forense aveva evidenziato che, in particolare, nelle due annualità era difettato il contributo minimo e una parte del contributo integrativo. Somme che, a detta del Tribunale non potevano essere recuperate in quanto prescritte.

Una conclusione contestata dalla Cassa previdenziale, la quale rileva come la pensione debba essere corrisposta a coloro che abbiano almeno trent'anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa, con riferimento alla contribuzione integrale, comprendente sia il contributo soggettivo, commisurato al reddito Irpef, sia il contributo integrativo, commisurato al volume d'affari ai fini IVA.

Avvocati: pensione salva nonostante l'omesso versamento di contributi

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Il ricorso viene, tuttavia, respinto dagli Ermellini che, richiamando un precedente (sent. n. 5672/2012) ribadiscono che nessuna norma della previdenza forense prevede che la parziale omissione del versamento dei contributi determini la perdita o la riduzione dell'anzianità contributiva e dell'effettività di iscrizione alla Cassa.

L'art. 2 della L. n. 576/1980 prevede che la pensione di vecchiaia "è pari, per ogni anno di effettiva iscrizione e contribuzione, all'1,75% cento della media dei più elevati dieci redditi professionali..."; per i giudici, il termine "effettivo" non può interpretarsi come precettivo del fatto che la contribuzione debba essere "integrale", in quanto la comune accezione del termine non fa alcun riferimento ad una "misura".


L'aggettivazione usata sta invece ad indicare che la pensione si commisura sulla base della contribuzione "effettivamente" versata, escludendo così ogni automatismo delle prestazioni in assenza di contribuzione, principio che vige invece per il lavoro dipendente e che è ovviamente inapplicabile alla previdenza dei liberi professionisti, in cui l'iscritto e beneficiario delle prestazioni è anche l'unico soggetto tenuto al pagamento della contribuzione.

Patologia del sistema: servono ulteriori controlli

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Dunque, nessuna disposizione della legge professionale prescrive che l'annualità non possa essere accreditata, ove i versamenti siano inferiori ad una determinata soglia, pertanto non vige la regola del c.d. minimale per la pensionabilità, come invece previsto per i lavoratori dipendenti.
La Cassazione riconosce che trattasi di un meccanismo che finisce a computare sia ai fini della anzianità contributiva prescritta, sia ai fini della misura della pensione, anche gli anni in cui si è versato meno del dovuto e che detto minore versamento potrebbe anche non influire sull'ammontare della prestazione, andando così a scapito della Cassa.
Tuttavia si tratta di un "effetto ineliminabile della mancanza, nell'ambito della legge professionale, di una disposizione che ricolleghi alla parziale omissione contributiva, l'annullamento sia di quanto versato, sia dell' intera annualità.
Tale "patologia del sistema", secondo la Corte, è superabile attraverso l'adozione di più rigorosi controlli sulle comunicazioni e sulle dichiarazioni inviate dagli iscritti, al fine di procedere tempestivamente a recupero di quanto dovuto e non versato.

Ciò in un'ottica di prevalenza dell'esigenza di certezza dei rapporti giuridici rispetto a quella dell'esatta corrispondenza, senza limiti di tempo, delle annualità oggetto di contribuzione rispetto a quelle computabili ai fini pensionistici, che pertanto non appare collidere con il principio di uguaglianza, né ledere il principio di solidarietà che impronta il sistema previdenziale.

Regolamento non applicabile ratione temporis

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Poiché il caso di specie si riferisce a una pensione erogata al ricorrente dal 2004, la Corte non ritiene di dover valutare, come invece richiesto da Cassa Forense, gli effetti del Regolamento per la costituzione della rendita vitalizia reversibile in caso di parziale omissione di contributi per i quali sia intervenuta la prescrizione (approvato con delibera interministeriale del 24/7/2006). Lo stesso, infatti, è applicabile alle pensioni solo successive alla sua entrata in vigore.
Data: 23/11/2019 06:00:00
Autore: Lucia Izzo