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Stalker condannato grazie a Whatsapp

Cassazione, stalker e violentatore beccato e condannato grazie ai messaggi minatori e persecutori inviati alla vittima con Whatsapp


di Annamaria Villafrate - La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 47283/2019 (sotto allegata) dichiara inammissibile il ricorso dell'imputato, condannato in sede di merito per i reati di violenza sessuale e atti persecutori. Contrariamente a quanto sostenuto dal difensore del ricorrente, i messaggi Whatsapp e gli sms prodotti in copia dalla persona offesa costituiscono prove liberamente valutabili dal giudice di merito che in questo caso, dal contenuto dei testi telefonici, ha potuto appurare l'attendibilità delle dichiarazioni della parte civile in relazione ai reati di violenza sessuale e degli atti persecutori.

Condanna per violenza sessuale e atti persecutori

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La corte d'Appello conferma la sentenza di primo grado con cui è stata dichiarata la penale responsabilità dell'imputato per i reati di violenza sessuale e atti persecutori, condannandolo alla pena, condizionalmente sospesa di un anno e sei mesi di reclusione e al risarcimento del danno liquidato in 30.000 euro.

I giudici ritengono che l'imputato, in particolare, abbia commesso il reato di atti persecutori poiché avrebbe inviato alla vittima centinaia di messaggi minatori e offensivi, pedinandola e denigrandola di fronte ai clienti dell'esercizio commerciale gestito dalla donna. Tale condotta ha provocato alla donna attacchi di panico e uno stato di malessere tale per cui non riusciva più a dormire in casa sua, aveva bisogno che i genitori la accompagnassero al lavoro e l'andassero a riprendere all'uscita, tanto che era costretta a rivolgersi a uno psichiatra.

Messaggi telefonici inutilizzabili

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Ricorre in Cassazione il difensore dell'imputato lamentando la mancata riqualificazione del reato di atti persecutori in minaccia, il mancato riconoscimento dell'attenuante dell'aver agito in stato d'ira e alla mancata applicazione del minimo della pena. Il legale contesta inoltre la mancata spiegazione della Corte relativamente alle incongruenze che inficerebbero le dichiarazioni della persona offesa.

I testi dei messaggi telefonici indicati dalla persona offesa non sono infatti inutilizzabili o comunque non riferibili all'imputato in quanto copie di fotografie. I messaggi inoltre dimostrano una certa "libertà di linguaggio" nei rapporti esistenti tra imputato e vittima. Non vi sono elementi che facciano ritenere che il messaggio riportato in sentenza faccia riferimento alla sera in cui si sarebbe verificata la presunta violenza. Dal 6 aprile 2013 l'imputato non avrebbe potuto pedinare la vittima perché operato a un piede e degente presso una struttura situata a centinaia di chilometri di distanza. La vittima aveva motivi di risentimento verso l'imputato, infine lo stato d'ansia della vittima risulta da due certificasti medici redatti comunque a grande distanza di tempo rispetto ai fatti oggetto di giudizio.

I messaggi Whatsapp sono prove liberamente valutabili dal giudice

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La Cassazione, con sentenza n. 47283/2019 dichiara il ricorso dell'imputato inammissibile, condannandolo alle spese processuali e a 2000 euro da versare alla cassa delle ammende.

Soffermandoci sul reato di atti persecutori la Suprema Corte precisa prima di tutto come "manifestamente infondate sono le censure concernenti la legittimità dell'acquisizione e dell'utilizzazione dei testi dei messaggi scambiati mediante telefoni cellulari perché acquisiti in copia prodotta da parte civile". Questo perché, per la giurisprudenza "i messaggi "Whatsapp" e gli "SMS" conservati nella memoria di un telefono cellulare sottoposto a sequestro hanno natura di documenti ai sensi dell'art. 234 c.p.p, sicché l'acquisizione degli stessi non è sottoposta alla disciplina delle intercettazioni telefoniche e nemmeno a sequestro di corrispondenza. (…) Anzi, si è affermato che ha natura di documento pure il testo di un messaggio sms fotografato dalla polizia giudiziaria sul display dell'apparecchio cellulare su cui esso è pervenuto."

Inoltre, sempre secondo giurisprudenza, il documento acquisito in copia in modo legittimo è liberamente valutabile dal giudice, avendo valore probatorio anche se mancante della certificazione di conformità e anche se l'imputato ne disconosce il contenuto.Deve quindi ritenersi che anche le copie dei messaggi Whatsapp e Sms "formate dalla persona offesa, e dalla stessa prodotte in giudizio, sono liberamente valutabili come prove ai fini della decisione, se il giudice dia conto della riferibilità del loro contenuto all'imputato."Gli Ermellini evidenziano come la sentenza impugnata ha ritenuto le copie dei messaggi utilizzabili, in quanto l'imputato non abbia ha smentito la provenienza degli stessi dalla sua utenza telefonica, negando solo di averne scritto alcuni, senza però fornire prova alcuna di tali affermazioni.

La ricostruzione operata dalla sentenza del giudice dell'impugnazione risulta pertanto corretta anche perché i messaggi inviati dall'imputato e prodotti dalla vittima risultano indicativi degli atteggiamenti persecutori dello stesso e della violenza sessuale, descritta come raccontata dalla donna. Dai messaggi emerge infatti il rimpianto dell'imputato di non essere riuscito, in occasione di detta violenza, a realizzare nei confronti della stessa, altre forme di aggressione.

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Data: 26/11/2019 16:30:00
Autore: Annamaria Villafrate