Buoni pasto solo per chi lavora almeno 6 ore
di Annamaria Villafrate - I buoni pasto sono compatibili con i permessi per l'allattamento purché l'orario del lavoratore superi le sei ore, in quanto non rappresenta un elemento normale della retribuzione, costituendo di fatto una agevolazione assistenziale finalizzata a garantire il benessere del dipendente che trascorre diverse ore in azienda e garantirgli così un miglior rendimento nello svolgimento delle proprie mansioni. Queste le conclusioni della sentenza della Cassazione n. 31137/2019 (sotto allegata) che ha accolto il ricorso dell'Agenzia delle Dogane solo sul motivo del ricorso legato ai buoni pasto.
Allattamento e diritto ai buoni pasto
La sentenza impugnata in Cassazione ha respinto l'Appello dell'Agenzia delle Dogane avverso il provvedimento che ha accolto il ricorso di una lavoratrice e dei liticonsorti, per ottenere, dopo la nascita dei propri figli, dall'Agenzia delle Dogane "il riconoscimento dell'incidenza dei relativi permessi di allattamento, dei periodi di astensione obbligatoria per maternità e/o dei congedi parentali ai fini dell'attribuzione del diritto ai buoni pasto" e di altre indennità.
Per quanto riguarda la questione dei buoni pasto in particolare la Corte d'Appello:
- dichiara di condividere l'equiparazione fatta dal giudice di primo grado per tutte le finalità oggetto di causa, contestata dall'Agenzia, delle ore di permesso per allattamento alle ore di effettiva presenza in ufficio;
- soprattutto per i buoni pasto, anche se la lavoratrice non rientra in azienda e anche se la pausa è assente;
- detta equiparazione è infatti sancita dall'art 39 del dlgs n. 151/2001 il quale prevede che "i permessi in questione sono considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro" come condiviso anche dalla giurisprudenza di legittimità;
- non rileva invece l'eventuale assenza di pausa, perché la pausa è un diritto del lavoratore che è presente in ufficio per più di sei ore, non un onere a cui si può subordinare il buono pasto;
- nello stesso senso si esprime l'art 5 lett. c) del dpcm del 18/11/2005, che prevede il riconoscimento dei buoni pasto anche se l'orario non prevede la pausa per il pasto e l'art 39 citato, il quale dispone che il permesso per allattare comporta il diritto di uscire dall'azienda, che non può escludere il buono pasto in assenza di pausa;
- il Comitato Nazionale di parità del resto ha previsto il riconoscimento dei buoni pasto anche in presenza di permessi per l'allattamento;
- infine il carattere generale dell'equiparazione sancita dall'art 39 impone di considerare le ore per l'allattamento come ore effettive di servizio, come previsto dalla circolare Inps n. 95 bis del 6/9/2006.
Il ricorso dell'Agenzia delle Dogane
Concentrando sempre l'attenzione sulla questione dei buoni pasto l'Agenzia delle Dogane con il secondo motivo del ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell'art 39 del dlgs n. 151/2001 e dell'art. 98 del CCNL del 28/05/2008. Per la datrice, la Corte di merito ritiene erroneamente che sia applicabile al caso di specie l'equiparazione delle ore di permesso per allattamento alla effettiva presenza della lavoratrice in ufficio, per attribuirle i buoni pasto, mentre questo diritto spetta solo a chi si protrae sul lavoro per più di sei ore. Il giudice non ha considerato che i lavoratori ricorrenti, per ogni giornata lavorativa, hanno svolto 5,12 ore di lavoro effettivo e hanno beneficiato di due ore di riposo per allattamento, secondo quanto previsto dal CCNL. Per l'Agenzia anche se i permessi per l'allattamento non vanno a decurtare il trattamento retributivo, non è ragionevole riconoscere ai lavoratori che ne beneficiano anche i buoni pasto, previsti per i dipendenti che non si allontanano dal posto di lavoro.
Si ai buoni pasto, ma solo a chi lavora più di sei ore
La Cassazione con sentenza n. 31137/2019 accoglie il motivo del ricorso sollevato dalla datrice di lavoro Agenzia delle Dogane relativo ai buoni pasto.
Essa precisa prima di tutto che per suo indirizzo ormai consolidato "il buono pasto, salvo diversa disposizione, non è un elemento della retribuzione "normale" concretandosi lo stesso in una agevolazione di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale."
Esso è concesso per conciliare le esigenze dell'azienda e del lavoratore che, in assenza di una mensa aziendale, può comunque fruire del pasto, a spese del datore e godere del benessere fisico necessario a svolgere il suo lavoro, se il suo orario corrisponde a quello previsto normativamente per usufruire del buono.
L'art 8 comma 1 del dlgs n. 66/2003 dispone infatti che: "Qualora l'orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di sei ore il lavoratore deve beneficiare di un intervallo per pausa, le cui modalità e la cui durata sono stabilite dai contratti collettivi di lavoro, ai fini del recupero delle energie psico-fisiche e della eventuale consumazione del pasto anche al fine di attenuare il lavoro monotono e ripetitivo." Norma identica a quella prevista dal contratto collettivo del 28/05/2004.
Per cui se la pausa pranzo è condizione per il riconoscimento del buono pasto e se per la pausa pranzo è previsto che il lavoratore osservi un orario di lavoro di almeno sei ore, il buono pasto spetta a chi svolge almeno sei ore di lavoro al giorno.
Per cui, erra la corte d'Appello quando equipara i periodi di riposo di cui al comma 1 dell'art 39 del dlgs n. 151/2001 alle ore lavorative, ai fini dell'attribuzione dei buoni pasto.
Dopo ulteriori richiami normativi la Corte afferma quindi anche che "non vi è incompatibilità assoluta tra la spettanza dei buoni pasto e la fruizione dei permessi per l'allattamento, ma tale spettanza dipende dalla ricorrenza in concreto dei relativi presupposti, a partire dall'osservanza di un orario effettivo praticato dall'interessata/o superiore a quello previsto per fruire della pausa."
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Data: 01/12/2019 09:00:00Autore: Annamaria Villafrate