Mediazione penale: cos'è e come funziona in Italia
Avv. Mara Scarsi - Si sente spesso parlare di mediazione penale, vediamo cos'è e qual è la sua disciplina. Ne parliamo con Alberto Quattroccolo, presidente dell'Associazione Me.Dia.Re, mediatore familiare e supervisore accreditato, che da parecchi anni se ne occupa in prima persona.
- Cosa si intende per mediazione penale?
- Da quando è praticata in Italia?
- Ci può fare un esempio per capire meglio?
- La mediazione penale è praticabile per tutti i reati?
- Come è stata recepita in concreto in Italia?
- Durante il percorso in che modo l'autorità giudiziaria esercita il potere di controllo?
- In cosa consiste esattamente il programma riparativo?
- Nella mediazione penale c'è confronto diretto tra reo e vittima?
- All'estero la mediazione penale come funziona? Da noi potrebbe funzionare meglio?
- Come si diventa mediatori penali?
Cosa si intende per mediazione penale?
Per mediazione penale si intende la gestione del conflitto derivante dal reato nonché di quello che può aver dato luogo al reato stesso, tra vittima ed autore del fatto.
Da quando è praticata in Italia?
In Italia è conosciuta dalla metà degli anni 90. I primi centri di mediazione penale sono sorti per gestire i reati commessi da minorenni e, inizialmente, era praticata secondo intese stilate tra Ministero della Giustizia, Comuni e Regioni.
Laddove riguardi i minori, vengono coinvolti anche gli esercenti la responsabilità genitoriale?
Non esattamente poiché gli interventi sono legati a condotte illecite che hanno a che fare più che altro con una conflittualità esacerbata (bullismo, danneggiamenti). Solitamente riguardano casi molto complicati in cui le figure genitoriali rivestono un ruolo marginale o sono addirittura assenti.
L'intervento del mediatore avviene per effetto dello stimolo dell'Autorità Giudiziaria o di altri soggetti quali le organizzazioni di cittadini che a volte segnalano il caso. I mediatori in questo caso svolgono il lavoro anche sul territorio.
La mediazione penale è normata in Italia?
Quando è sorta non era normata ma veniva praticata per lo più secondo un modello ispirato a quello proposto da Jacqueline Morineau [1].
Attualmente no, cioè non vi è una norma come il D.Lgs. 28/10, che disciplina la mediazione civile e commerciale. Non esiste un decreto o una legge che istituisce o regolamenta la mediazione penale o che individua i requisiti per operare come mediatori penali. Trattasi di una risorsa contemplata, implicitamente per lo più nel diritto penale in fase esecutiva. Tuttavia esiste anche una normativa che la prevede, esplicitamente, prima della condanna, ossia prima che venga pronunciata sentenza.
Ci può fare un esempio per capire meglio?
La mediazione penale è molto diffusa e praticata nell'ambito dell'istituto della messa alla prova [2]. Se la persona sottoposta alle indagini accetta di aderire al programma di giustizia riparativa [3] il processo penale viene sospeso. Nel programma di messa alla prova è, infatti, inclusa la mediazione penale.
Altro esempio è rappresentato dal decreto legislativo 274/2000 in cui, all'art 29 [4], in cui è espressamente previsto che per i reati di competenza del Giudice di Pace, se il reato è perseguibile a querela, il Giudice tenti la conciliazione; se non riesce può rinviare l'udienza di due mesi e, ove occorra, può avvalersi della mediazione da parte di centri pubblici o privati.
Pertanto, nel nostro ordinamento, pur non avendo una disciplina legislativa ad hoc, la mediazione penale è contemplata, direttamente o indirettamente, in varie disposizioni di legge.
La mediazione penale è praticabile per tutti i reati?
In linea di massima, sì. In seguito all'emanazione del decreto legislativo 274/2000 [5], in varie Regioni Italiane sorsero centri di mediazione penale che servivano da supporto ai Giudici di Pace per i suddetti tentativi di conciliazione. In quei casi si tratta di una mediazione che interviene in una certa fase processuale, in riferimento a dei reati non particolarmente gravi.
Se invece pensiamo alla fase dell'esecuzione penale, possiamo ritenerla applicabile per tutti i reati e direi che può certamente essere praticata, come di fatto è, per tutti i reati nei quali vi sia una vittima individuabile.
Come è stata recepita in concreto in Italia?
Nella seconda metà degli anni '90, anzi verso la fine, a dire il vero, nacque una Commissione di studio presso il DAP (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) all'interno del Ministero della Giustizia, che mise a frutto le indicazioni giurisprudenziali dei Tribunali di Sorveglianza volte a favorire i programmi di giustizia riparativa.
Inoltre tenne conto di quanto era maturato o si stava sviluppando in ambito internazionale: la Dichiarazione su Crimine e Giustizia del Decimo Congresso ONU [6], ad esempio, che si proponeva di ridurre la criminalità attraverso l'utilizzo delle misure di giustizia riparativa.
Anche la Risoluzione 15/02 del Consiglio Economico e Sociale ONU [7]aveva proposto una definizione sovranazionale di giustizia riparativa, qualificandola come quel procedimento in cui «la vittima e il reo, e dove appropriato, ogni altro individuo o membro della comunità leso da un reato, partecipano insieme attivamente alla risoluzione delle questioni sorte dal reato, generalmente con l'aiuto di un facilitatore». La mediazione penale è uno strumento importante di giustizia riparativa.
La Raccomandazione 19 del '99 del Consiglio d'Europa definisce la mediazione (penale) come «il procedimento che permette alla vittima e al reo di partecipare attivamente, se vi consentono liberamente, alla soluzione delle difficoltà derivanti dal reato, con l'aiuto di un terzo indipendente (mediatore)».Sulla scorta di tutto ciò la Commissione presso il DAP sviluppò uno studio di fattibilità del percorso di mediazione penale in Italia concentrandosi sulla fase esecutiva.
Ciò implicò il confronto con un problema, poiché se le definizioni sovranazionali, Europee ed Onu, dicono che la giustizia riparativa deve fondarsi sul libero consenso, laddove l'adesione al percorso di mediazione da parte del condannato diventi una prescrizione a cui adempiere all'interno del programma esecutivo della pena, la volontarietà di aderire può svilirsi di significato.
La Commissione istituita presso il DAP, strutturò i programmi di giustizia riparativa nell'ambito di alcuni istituti quali ad esempio, l'art 165 c.p. sulla sospensione condizionale della pena che può essere subordinata al risarcimento del danno o alla riduzione delle conseguenze dannose e pericolose del reato. Si pensi anche all'art 176 c.p. che subordina la liberazione condizionale all'adempimento delle obbligazioni derivanti dal reato e a comportamenti che dimostrino il sicuro ravvedimento del condannato.
Ci sono, infatti, delle "finestre" che in sede esecutiva consentono di introdurre la mediazione penale.
Chi ne valuta la fattibilità?
La sperimentazione avviata dalla Commissione di studio istituita presso il DAP ha dato luogo ad un numero limitato di percorsi di mediazione penale proprio perché era una sperimentazione. E, come richiesto, erano i Tribunali di Sorveglianza a segnalare alla Commissione i casi nei quali prospettare la mediazione penale tra adulti. Va ricordato, infatti, che la mediazione penale minorile era praticata già da alcuni anni
Oggi c'è anche la già ricordata legge 28.04.2014 n.67 [8], che tra le altre cose ha introdotto la messa alla prova. All'interno dell'istituto della messa alla prova, dal maggio 2014, la mediazione penale è diventata una realtà e ha trovato sua applicabilità per la prima volta in fase pregiudiziale.
Chi invece valuta come viene svolta e se raggiunge il suo scopo?
Nel caso della messa alla prova il garante dell'esecuzione del programma di messa alla prova è l'Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE); ossia gli assistenti sociali dell'UEPE. Queste figure professionali segnalano il caso ad un centro di mediazione se la mediazione con la vittima fa parte del programma di messa alla prova.
Nel 2016 Me.Dia.Re [9]ha avviato una collaborazione con gli Uffici di Esecuzione Penale Esterna di Torino, Asti, Alessandria e Cuneo - insieme con la Cooperativa Emmanuele di Cuneo -, in relazione ad un bando della Compagnia di San Paolo, per gestire percorsi di giustizia riparativa, inclusi quelli di mediazione penale. Il progetto si è sviluppato per un biennio abbondante. Poi nella seconda metà del 2018 l'Ufficio Interdistrettuale di Esecuzione Penale Esterna di Torino ha deciso di proseguire e di estendere tale progettualità. Ha istituito un bando di co-progettazione invitando le realtà presenti sul territorio a parteciparvi. A seguito di ciò si è sviluppato questo progetto, ComuniCare finalizzato a svolgere percorsi di giustizia riparativa a 360 gradi.
Queste realtà sono presenti anche in altre Regioni Italiane?
Per quanto ne so, non ci sono altre iniziative completamente sovrapponibili a questa, che mi pare essere quella più forte, sul piano del coinvolgimento istituzionale e territoriale, poiché è talmente capillare da coinvolgere una vasta quantità di soggetti.
Durante il percorso in che modo l'autorità giudiziaria esercita il potere di controllo?
Non vi sono riti codificati o passaggi formali stabiliti dal legislatore in modo specifico.
Se prendiamo l'esempio della mediazione all'interno del programma di messa alla prova, il mediatore, riferisce all'UEPE inviante soltanto se la mediazione si è svolta oppure no. Va tenuto presente che nel nostro caso, la mediazione penale, si articola in colloqui individuali con ciascun soggetto, che possono preludere o meno all'incontro di mediazione. Se la vittima, ad esempio, non partecipa ai colloqui individuali o, nell'ambito di questi esprime la non volontà di incontrare la sua controparte in mediazione, ciò non costituisce da parte del messo alla prova un venire meno al programma stesso. Così, ad esempio nella relazione si dà atto del numero degli incontri con il reo e di quelli con la vittima. Non è previsto che l'eventuale accordo abbia un valore paragonabile a quello della mediazione civile e commerciale.
In cosa consiste esattamente il programma riparativo?
Gli aspetti principali, in un'ottica riparativa verso la vittima, sono: le prescrizioni relative all'elisione o attenuazione delle conseguenze del reato, l'eventuale risarcimento del danno o le restituzioni. In termini riparativi verso la comunità ci sono prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità ovvero all'attività di volontariato di rilievo sociale. Inoltre il messo alla prova deve tenere delle condotte volte a promuovere, ove possibile, la mediazione con la persona offesa.
Nella mediazione penale c'è confronto diretto tra reo e vittima?
Si. Nel progetto di cui parlavo poc'anzi sono previsti colloqui individuali con ogni soggetto coinvolto per capire se ha interesse ad incontrare la controparte o se vuole porre delle domande dirette. Il mediatore dovrà però valutare se il confronto può essere "nocivo" per l'uno e/o per l'altra parte. Non si può prevedere la positività del confronto, ma si deve valutare il suo potenziale grado di nocività. Si pensi alla violenza in famiglia. In tal caso il confronto diretto tra vittima e autore può portare a qualcosa di francamente pericoloso per la vittima stessa, sul piano psicologico e non solo.
Gli incontri si svolgono solo alla presenza del mediatore o anche con gli avvocati?
No, gli incontri si svolgono solo con i mediatori e sono tutti coperti da riservatezza.
E' corretto dire che la giustizia riparativa supera il concetto di vincitori/vinti?
Sì. Aggiungo che nello svolgimento dell'attività di mediazione può emergere anche il fatto che il reo si senta una vittima. A volte questo atteggiamento si connette con quei meccanismi di autogiustificazione della condotta che abbiamo tutti e che, nel caso di chi ha commesso il reato, consento al soggetto di neutralizzare la propria responsabilità, ad esempio, convincendosi che non ha procurato alcun reale danno. Dal punto di vista del reo, a volte la vittima non si merita la riparazione perché è considerato giusto quanto le è accaduto. Si pensi al reo che ruba al ricco ed è convinto di non aver fatto alcun danno perché il derubato (vittima) avendo altre ricchezze, non ha subito alcun pregiudizio patrimoniale. Oppure all'aggressore che pensava quando ha aggredito e pensa anche successivamente, che la vittima è colpevole di averlo provocato. Ma questo non si verifica soltanto nelle situazioni di mediazione penale o a quelle legate ad un reato doloso. Si pensi alla gestione di un conflitto legato ad un'ipotesi di responsabilità medica. Anche in tal caso è possibile che il medico tenda a non sentirsi "reo" perché ha commesso il fatto lesivo mentre stava svolgendo il suo lavoro, cioè tentando di salvare una vita o di aiutare a guarire una persona.
All'estero la mediazione penale come funziona? Da noi potrebbe funzionare meglio?
Nei paesi dove la mediazione esiste da più tempo funziona meglio perché più collaudata; mi riferisco in particolare ai Paesi dell'Europa del Nord o dell'Ovest (Francia Spagna).
Nel nostro Paese l'obbligatorietà dell'azione penale crea un'implicazione limitativa della mediazione penale. Anche l'eccessiva tendenza ad istituzionalizzarla è un limite, a mio avviso. Se funzionasse, e fosse finanziata senza schemi troppi rigidi e senza eccessiva istituzionalizzazione, cioè non vincolandola eccessivamente all'iter giurisdizionale, probabilmente funzionerebbe di più.
Nei paesi nordici viene utilizzata per fornire supporto alla vittima. In Austria e in Germania i servizi di mediazione penale hanno anche dei servizi di sostegno per la vittima, mentre in Francia e in Belgio la mediazione penale è sorta proprio in considerazione della necessità di supportare la vittima.
Va tenuto presente anche il tema del tempo: si pensi ad un reato commesso nel 2019 – per poter aver la sentenza potrebbero passare cinque anni, arriviamo al 2024 – supponendo che si tratti di condanna ad una pena detentiva il reo potrebbe dover scontare tre anni di carcere per poi essere ammesso, solo in fase esecutiva, al programma di giustizia riparativa. E' normale che trascorsi 7 o 8 anni, se non di più a volte, la mediazione penale possa perdere di significato per i protagonisti della vicenda.
Qualche suggerimento?
Forse funzionerebbe meglio se per un maggior numero di situazioni fosse introdotta prima del processo e a prescindere da esso.
In ogni caso, stando a quanto sta accadendo nel nostro Paese possiamo dire che non siamo messi male. Chi ha portato la mediazione penale al punto in cui è oggi, ha speso molte energie. Vale la pena proseguire sul percorso iniziato, provando a prevedere un incremento dei percorsi di mediazione penale per fatti non procedibili d'ufficio, con progetti che lo Stato potrebbe finanziare che siano finalizzati ad intercettare le vittime e ad offrire loro ascolto e sostegno. Ciò anche per rispondere alle istanze di sicurezza e di una giustizia vicina di cui sia le persone che le comunità hanno bisogno.
Si consideri che generalmente la vittima è sempre ai margini del processo penale. Certo può intervenire attraverso la costituzione di parte civile per avere un risarcimento, che però non basta a riparare le conseguenze che il reato ha provocato, sulla vittima e su coloro che ad essa sono affettivamente legati. Il nostro sistema è reo-centrico. Nel senso che, se l'imputato viene condannato, si dà per scontato che sia stata data giustizia alla vittima. Ma non è detto che questo sia il vissuto. Potrebbe essere che le stesse a cuore poter chiedere al reo: "perché?". Nel processo non si prevede, ovviamente, un confronto diretto sul registro più personale, tra il reo e la vittima. E dopo che la sentenza è stata pronunciata, la vittima viene dimenticata. Come sta?
Spesso le vittime hanno bisogno di risposte a domande che non hanno mai la possibilità di porre quali ad esempio "come ti è stato possibile deumanizzarmi così tanto?" Si pensi ai reati di violenza, fisica o psicologica in ambito famigliare, ma la stessa domanda può essere fatta per le categorie più disparate di reati in realtà.
La nuova tendenza della giustizia riparativa tende a spostare il centro di attenzione dalla punizione e riabilitazione del reo alle istanze della vittima e della relazione tra vittima e reo. Ma in Italia viene inserita nella cornice degli strumenti di rieducazione del reo. La giustizia riparativa intesa invece in senso generale, dovrebbe concentrarsi sulla relazione tra le persone e dovrebbe prendere in considerazione la frattura causata dal danno inteso sia come danno materiale che come rottura della relazione sociale. Il fine è di poter dare alle persone la possibilità di porre un riparo a quanto avvenuto.
Nel nostro ordinamento giuridico la mediazione penale viene introdotta in un contesto riabilitativo del reo mentre in altri paesi, come già detto, è sorto come programma di supporto alla vittima
Come si diventa mediatori penali?
La Commissione che era stata istituita presso il DAP chiedeva un Curriculum Vitae da cui si evincesse la frequentazione di una durata minima di ore di formazione, soprattutto nell'ambito di percorsi formativi di natura pratica, associati all'esperienza "sul campo". Al momento non c'è un albo di mediatori penali. Però occorre scegliere corsi che abbiamo determinate caratteristiche: carattere fortemente interattivo, un numero adeguato di ore di formazione pratica dedicate all'apprendimento delle tecniche di mediazione e di un modello operativo che sia adeguato a questo tipo di conflitti, approfondimenti sugli aspetti giuridico-istituzionali, criminologici e vittimologici connessi alla Giustizia Riparativa. Ci sono infatti linee di indirizzo del Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità del Ministero della Giustizia in materia di mediazione e Giustizia Riparativa ed anche indicazioni degli Stati Generali dell'Esecuzione Penale, mi riferisco al "Tavolo 13- Giustizia Riparativa, mediazione e tutela delle vittime". Inoltre ci sono le Raccomandazioni del Consiglio d'Europa (No.R (99)19, 15 Settembre 1999).
[1]Secondo il Modello Morineau la mediazione segue il percorso della drammatizzazione greca: theoria - esposizione del vissuto l'essere ascoltato senza essere giudicato; krisis secondo passo verso la verità in cui si manifesta la vergogna e la fragilità dell'essere umano; katarsis incontro e riconciliazione
[2]Art.168 bis c.p., secondo comma: La messa alla prova comporta la prestazione di condotte volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato. Comporta altresì l'affidamento dell'imputato al servizio sociale, per lo svolgimento di un programma che può implicare, tra l'altro, attività di volontariato di rilevo sociale, ovvero l'osservanza di prescrizioni relative al rapporto con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali.
[3]Concetto che considera il reato in termini di danno alla persona da cui consegue l'obbligo per l'autore del reato di rimediare alle conseguenze lesive della condotta.
[4]Art. 29 comma 4° decreto legislativo 274/2000 Il Giudice quando il reato è perseguibile a querela, promuove la conciliazione tra le parti. In tal caso, qualora sia utile per favorire la conciliazione, il Giudice può rinviare l'udienza per un periodo non superiore a due mesi e, ove occorra, può avvalersi anche dell'attività di mediazione di centri e strutture pubbliche o private presenti sul territorio. In ogni caso, le dichiarazioni rese dalle parti nel corso dell'attività di conciliazione non possono essere in alcun modo utilizzate ai fini della deliberazione.
[5]Recante disposizioni sulla competenza penale del Giudice di Pace, a norma dell'art. 14 della legge 24 novembre 1999 n.468.
[6]Vienna 10-17 aprile 2000
[7]Economic and Social Council ONU 15/2002 nel prendere atto del lavoro svolto dal Gruppo di esperti sulla giustizia riparativa incoraggia gli Stati membri a sviluppare programmi in tal senso e di supportarsi a vicenda per avviare ricerche, valutazioni, scambi di esperienze.
[8]Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie