Arresti domiciliari: è evasione il caffè dalla vicina di casa
di Marina Crisafi – Reato di evasione anche per il caffè dalla vicina di casa per chi è agli arresti domiciliari. In assenza di autorizzazione, infatti, il soggetto non può per nessun motivo allontanarsi dal luogo di esecuzione della misura (fatta salva l'ipotesi di stato di necessità con imminente grave danno alla persona), altrimenti è da ritenersi integrato il reato di evasione. È quanto deciso dalla Corte d'appello di Roma, nella sentenza n. 4470/2019 (sotto allegata), che ha confermato la condanna ex art. 385 c.p. nei confronti di una donna che si trovava ristretta a detenzione domiciliare, "beccata" dagli agenti di polizia a prendere il caffè dalla vicina di casa.
- Allontanamento scriminato da stato di necessità
- Reato di evasione il caffè dalla vicina
- Niente stato di necessità
Allontanamento scriminato da stato di necessità
L'imputata non ci sta e prova a convincere i giudici che la sua azione era giustificata dallo stato di necessità poiché era dovuta uscire di corsa di casa per riprendere il proprio cane, di grossa taglia e potenzialmente pericoloso, e colta da un improvviso malore era stata soccorsa dalla vicina.
Per cui, come testimoniato anche dalla stessa, la donna l'aveva fatta entrare e le aveva offerto dell'acqua utilizzando la tazzina del caffè, lavata e posizionata sul lavello.
Le sue tesi però non vengono accolte né in primo grado, né in secondo.
Reato di evasione il caffè dalla vicina
Per la Corte, infatti, sono infondate e non meritano accoglimento. In primo luogo, è pacifica, ragionano i giudici, la sussistenza dell'elemento materiale del delitto di evasione dagli arresti domiciliari, "che è integrato da qualsiasi allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari senza autorizzazione, anche se di breve durata ed implicante uno spostamento di modesta distanza, e persino se lo spostamento sia limitato a spazi rientranti nell'area condominiale, cortili, giardini, o altri spazi che non siano di stretta pertinenza dell'abitazione" (per tutte, Cass. 27/4/98, Cass. 26/11/2015, n. 50014).
Sotto il profilo dell'elemento soggettivo, inoltre, "si tratta di un reato a dolo generico, consistente nella consapevole violazione di lasciare il luogo di esecuzione della misura senza la prescritta autorizzazione, a nulla rilevando i motivi che inducono il soggetto ad eludere la vigilanza sullo stato custodiale (cfr. Cass., sez. VI; 6/11/2008, n. 44969). Elemento pienamente integrato nel caso di specie, secondo la Corte, in quanto la condotta dell'imputata "consiste in una consapevole violazione dei limiti posti alla sua libertà di movimento".
Niente stato di necessità
Non regge neanche la scriminante dello stato di necessità.
La stessa, infatti, è subordinata alla severa verifica dell'esistenza dei presupposti individuati dall'art. 54 c.p. e richiede la "presenza di un pericolo attuale, che si concreta nell'imminenza di un danno grave alla persona. L'attualità del pericolo può essere intesa come una minaccia di lesione incombente al momento del fatto, ossia come una situazione che, potendo in breve tempo evolversi in lesione, imponga di agire nell'immediatezza o, comunque, anticipatamente, ma presuppone comunque l'ineluttabilità dell'azione, requisito che ricorre quando sia accertata l'impossibilità di evitare il pericolo se non ponendo in essere una condotta integrante reato".
Nella vicenda, invece, non solo la versione fornita dall'imputata e dalla dirimpettaia non appare credibile, ma in ogni caso, manca il pericolo attuale di un danno grave alla persona, giacchè la donna, avendo avuto l'asserito malore, poteva assumere l'acqua o il caffè, sia pure accompagnata dalla vicina, all'interno della propria abitazione!
Data: 22/12/2019 14:00:00
Autore: Marina Crisafi