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Maltrattamenti in famiglia: presupposti e casi di esclusione

Quanto è integrato il reato di maltrattamenti in famiglia e i casi in cui lo stesso, malgrado violenze o offese, secondo la giurisprudenza, non può dirsi integrato


Avv. Ilaria Parlato - Integra gli estremi del reato di maltrattamenti in famiglia la condotta di chi infligge abitualmente vessazioni e sofferenze, fisiche o morali, a un'altra persona, che ne rimane succube.

Di seguito una breve guida al reato con taluni casi di esclusione dello stesso:

Il reato di maltrattamenti in famiglia

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Il delitto di maltrattamenti in famiglia è configurabile allorché vi siano condotte di reiterata violenza fisica o psicologica che si risolvono in vere e proprie sofferenze morali nella vittima.

All'interno della fattispecie delittuosa di cui si discorre sono, pertanto, da annoverare non solo le percosse e le lesioni, bensì anche le minacce, le privazioni, gli atti di disprezzo e di offesa alla dignità della vittima che si risolvono, appunto, in vere e proprie sofferenze morali (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, sent. 29 gennaio 2015 n. 4332; Cass. Pen., Sez. VI, 19 marzo 2014 - 2 aprile 2014, n. 15147; Cass. Pen., Cass. Pen., Sez. VI, 7 giugno 1996 - 12 settembre 1996, n. 8396).

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La natura abituale

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Onde integrare gli estremi del reato di maltrattamenti in famiglia la materialità del fatto deve consistere in una condotta abituale. Tale condotta deve, infatti, esplicarsi con più atti, commissivi od omissivi, che isolatamente considerati potrebbero anche non costituire reato, ma che acquistano rilevanza penale, e dunque carattere dell'antigiuridicità, per l'effetto del loro realizzarsi in momenti successivi, rectius in virtù della loro reiterazione protrattasi in arco temporale il quale può essere anche limitato (Cass. Pen., Sez. VI, 25 settembre 2013 - 22 ottobre 2013, n. 43221; Cass. Pen., Sez.VI, 19 giugno 2012 - 25 giugno 2012, n. 25183; Cass. Pen., Sez. VI, 4 dicembre 2003 - 19 febbraio 2004, n. 7192; Cass. Pen., Sez. VI, 4 luglio 2018 – 19 marzo 2019, n. 12196; Cass. Pen., Sez. V, 09 gennaio 1992, n. 2130).

Caratteristiche degli atti integranti il reato

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I vari atti che danno forma alla condotta abituale in cui si sostanzia il reato di maltrattamenti in famiglia, per esser tali nonché per integrare il delitto di cui si discorre, devono determinare sofferenze fisiche o morali nella vittima e devono, altresì, essere collegati da un nesso di abitualità ed avvinti nel loro svolgimento da un'unica intenzione criminosa, quale quella di ledere l'integrità fisica o morale del soggetto passivo infliggendogli abitualmente tali sofferenze (Cass. Pen., Sez. VI, 9 febbraio 2016, n.5258; si veda anche Cass. Pen., Sez. I, 12 febbraio 1996 - 24 settembre 1996, n. 8618; Cass. Pen., Sez. VI, 27 maggio 2003 - 26 settembre 2003, n. 37019; Cass. Pen., Sez. VI, 19 giugno 2012 - 25 giugno 2012, n. 25183).

Conseguenza di quanto sopra è che i vari atti - integranti la fattispecie delittuosa de quo - devono atteggiarsi come la componente di una più ampia ed unitaria condotta abituale, idonea ad imporre un regime di vita vessatorio, mortificante, persecutorio ed insostenibile (Cass. Pen., Sez. VI, 9 febbraio 2016, n.5258; Cass. Pen., Sez. VI, 27 maggio 2003 -26 settembre 2003 n. 37019; Cass. Pen., Sez. VI, 23 gennaio 2019, n. 4935).

Elemento soggettivo e dolo generico

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Per la configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia è principio consolidato in giurisprudenza quello secondo cui - affinché sussista l'elemento soggettivo - non occorre che l'agente abbia perseguito particolari finalità, né si richiede che l'agente sia animato da un fine di maltrattare, di infliggere alla vittima sofferenze fisiche o morali senza plausibile motivo (Cass. Pen., Sez. VI, sent. 26 giugno 2018, n.29255; Cass. Pen., Sez. VI, n. 1067 del 3 luglio 1990 n. 1067).

Ai fini dell'integrazione del reato di maltrattamenti in famiglia l'elemento soggettivo non richiede neppure la programmazione di una pluralità di atti (Cass. Pen., Sez. VI, 4 luglio 2018 – 19 marzo 2019, n. 12196), giacché non occorre che sia presente fin dall'inizio una rappresentazione della serie degli episodi (Cass. Pen., Sez. VI, 17 ottobre 1994 - 19 novembre 1994, n. 3965), essendo - invece - sufficiente il dolo generico, cioè la coscienza e volontà di sottoporre la vittima ad una serie di sofferenze, fisiche e morali, in modo abituale e continuo, persistendo dunque in un'attività vessatoria, già attuata in precedenza, nonché instaurando così un sistema di sopraffazioni e di vessazioni che ne avviliscono la personalità (Cass. Pen., Sez. VI, sent. 26 giugno 2018, n.29255; Cass. Pen., Sez. VI, 18 marzo 2008 - 3 luglio 2008, n. 27048; Cass. Pen., Sez. VI, 27 ottobre 1997 - 15 dicembre 1997, n. 11476; Cass. Pen., Sez. VI, 19 marzo 2014 - 2 aprile 2014, n. 15146).

Il dolo unitario

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All'interno della fattispecie delittuosa di cui all'art. 572 c.p. vi è il c.d. dolo unitario e programmatico, il quale non può confondersi con la coscienza e volontà di ogni singolo atto (Cass. Pen., 8 febbraio 1995 - 16 marzo 1995, n. 2800).

Il dolo unitario va inteso, infatti, come elemento unificatore dei singoli episodi lesivi della personalità della vittima (Cass. Pen., Sez. VI, 11 dicembre 2003 - 17 febbraio 2004, n. 6541; Cass. Pen., Sez. VI, 6 novembre 1991 - 20 gennaio 1992, n. 468) e si concretizza "nell'inclinazione della volontà ad una condotta oppressiva e prevaricatrice che, nella reiterazione dei maltrattamenti, si va via via realizzando e confermando, in modo che il colpevole accetta di compiere le singole sopraffazioni con la consapevolezza di persistere in una attività illecita, posta in essere già altre volte" (Cass. Pen., Sez. VI, sent. 26 giugno 2018, n.29255; Cass. Pen., Sez. VI, 11 dicembre 2003 - 17 febbraio 2004, n. 6541; Cass. Pen., Sez. VI, 6 novembre 1991 - 20 gennaio 1992, n. 468); "esso è, perciò costituito da una condotta abituale che si estrinseca con più atti, delittuosi o no, che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi ma collegati da un nesso di abitualità ed avvinti nel loro svolgimento dall'unica intenzione criminosa di ledere l'integrità fisica o il patrimonio morale del soggetto passivo, cioè, in sintesi, di infliggere abitualmente tali sofferenze" (Cass. Pen., Sez. VI, sent. 26 giugno 2018, n.29255).

Nessun reato se la condotta di vessazione non costituisce fonte di un disagio continuo ed incompatibile con le normali condizioni di vita.

Ai fini della configurabilità del delitto di maltrattamenti in famiglia la condotta di "vessazione" deve connotarsi come continuativa atteso che, pur potendo essere inframmezzata da periodi di "calma", deve costituire fonte di un disagio continuo ed incompatibile con le normali condizioni di vita (Tribunale Cagliari, 22 febbraio 2019, n.585; Cass. Pen., Sez. VI, 19 aprile 2017 – 30 maggio 2017, n. 27088).

Conseguenza ineludibile di ciò è che in mancanza, pertanto, deve escludersi l'abitualità del comportamento implicita nella struttura normativa della fattispecie, e per facta concludentia deve escludersi lo stesso reato di maltrattamenti in famiglia (Cass. Pen., Sez. VI, 19 aprile 2017 – 30 maggio 2017, n. 27088; si veda anche Tribunale Cagliari, 22 febbraio 2019, n.585).

Nessun reato se manca la posizione di abituale e prevaricante supremazia

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Ampia giurisprudenza avalla il principio giuridico secondo cui la fattispecie criminosa di cui si discorre per essere integrata richiede, oltre che la sussistenza della situazione di vessazione della vittima, anche l'attribuibilità al suo autore di una posizione di abituale e prevaricante supremazia alla quale la vittima soggiace (Cass. Pen., Sez. VI, 19 aprile 2017 – 30 maggio 2017, n. 27088; Cass. Pen., Sez. VI, 9 febbraio 2016, n.5258).

In virtù del suddetto principio, onde configurare il reato, occorre - pertanto - accertare la sussistenza dello stato di soggezione e di inferiorità psicologica della vittima (Corte di Cassazione, sentenza n. 25138 del 2.07.2010; Corte di Cassazione, sentenza n. 30903/2015), giacché se tale atteggiamento mentale manca il reato non può dirsi integrato (Cass. Pen., Sez. VI, 9 febbraio 2016, n.5258).

Esclusione del reato allorché la vittima reagisce

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Atteso che integra gli estremi del reato la condotta di chi infligge abitualmente vessazioni e sofferenze - fisiche o morali - a un'altra persona, che ne rimane succube, non è configurabile il reato di maltrattamenti in famiglia allorquando sussistendo accesa e persistente conflittualità tra il presunto autore del reato e la presunta vittima quest'ultima reagisce alle intemperanze dell'altro, così facendo venir meno l'atteggiamento di passiva soggezione (Cass. Pen., Sez. VI, 9 febbraio 2016, n.5258).

Ai fini dell'integrazione di tale fattispecie delittuosa, infatti, non è sufficiente una mera situazione di conflittualità fra l'autore del reato e la persona offesa, sfociata in litigi caratterizzati per lo più da insulti, ingiurie e offese reciproche (Tribunale Cagliari, 22/02/2019, n.585).

Non a caso se le violenze, le offese e le umiliazioni sono reciproche non può dirsi neppure che ci sia un soggetto che maltratta ed uno che è maltrattato; in tali casi, pertanto, il reato non è sussistente (Cass. Pen., Sez. VI, 23 gennaio 2019, n.4935; Cass. Pen., Sez. VI, 20 gennaio 2009, n.9531).

Niente reato per singoli e sporadici episodi di percosse o lesioni

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Sebbene per integrare il reato non sia richiesto un comportamento vessatorio continuo ed ininterrotto (Cass. Pen., Sez. VI, sent. 26 giugno 2018, n.29255) ai fini dell'integrazione del reato di maltrattamenti in famiglia le condotte non devono essere sporadiche (Cass. Pen., Sez. VI, 4 luglio 2018 – 19 marzo 2019, n. 12196; Cass. Pen., Sez. VI, del 21 giugno 1984, n. 8953; Cass. Pen., Sez. VI, 08 ottobre 1970, n. 1084).

Per la configurabilità del delitto, dunque, non è sufficiente la sussistenza di singoli e sporadici episodi di percosse o lesioni, poiché è necessario che tali fatti siano la componente di una più ampia ed unitaria condotta abituale, idonea ad imporre un regime di vita vessatorio, mortificante ed insostenibile (Cass. Pen., Sez. VI, 9 febbraio 2016, n.5258; Cass. Pen., Sez. I, 12 febbraio 1996 - 24 settembre 1996, n. 8618).

La prova della reiterazione di atti di vessazione

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Per la configurabilità del reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi è necessario che vi sia la prova di una serie continua e ininterrotta nel tempo di atti lesivi dell'integrità fisica e morale della persona offesa.

Deve essere provata, cioè, la reiterazione di atti di vessazione tali da cagionare alla vittima sofferenze, privazioni, umiliazioni, che costituiscano fonte di uno stato di disagio continuo e incompatibile con normali condizioni di esistenza (Tribunale Cagliari, 22 febbraio 2019, n.585).

Circa l'attendibilità della persona offesa per la quale è necessario un riscontro più rigoroso se è portatrice di interessi, nel reato di maltrattamenti in famiglia, è necessario valorizzare elementi idonei a confortare la credibilità del narrato (Tribunale Torre Annunziata, 18 dicembre 2018, n.2803).


L'Avv. Ilaria Parlato, civilista e penalista, ha conseguito – con uno dei voti più alti - la Laurea Magistrale in Giurisprudenza, ciclo unico quinquennale, presso l'Università degli Studi di Napoli Parthenope.
Ha conseguito, inoltre, con profitto il Master di Alta Formazione Professionale in Criminologia e Psicopatologia Forense.
In costanza dei primi anni di università ha conseguito, più di una volta, borse di studio basate anche sul merito e ha concluso egregiamente il percorso universitario con la tesi di laurea in materia di Diritto Privato.
È autrice di articoli attinenti al Diritto Civile e al Diritto Penale, pubblicati da riviste pregiate e rinomate nel mondo dell'avvocatura quali le riviste Salvis Juribus, StudioCataldi.it, Altalex e Diritto.it.
L'Avv. Ilaria Parlato è, altresì, autrice di libro giuridico pubblicato dalla Fondazione Mario Luzi, casa editrice avente la prerogativa di premiare il merito e gli autori più meritevoli.

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Data: 07/01/2020 12:00:00
Autore: ILARIA PARLATO