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Frequentazione dei figli: giudici divisi

Le ineccepibili considerazioni del TM di Roma ribadiscono il diritto alla bigenitorialità in replica a precedenti valutazioni dei tribunali di Bari e Vasto


di Marino Maglietta - L'emergenza provocata dal diffondersi dell'epidemia virale ha agito, in merito alla problematica della frequentazione dei figli di genitori separati, come una cartina di tornasole, evidenziando profonde differenze tra i vari tipi di approccio a livello giurisprudenziale.

L'ordinanza "negazionista" del tribunale di Bari

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Limitandosi alle posizioni più chiaramente definite, si osserva il permanere di un atteggiamento nettamente conservatore e "negazionista", schierato a baluardo del modello monogenitoriale, rappresentato anzitutto dal tribunale di Bari (ordinanza del 26 marzo 2020). La sostanza del provvedimento è che l'emergenza sanitaria è motivo sufficiente per sospendere le già ridotte occasioni di contatto del "genitore non collocatario" con la prole. Né lo sforzo di introdurre una compensazione autorizzando per la stessa durata del previsto "diritto di visita" contatti per via telematica tra padri e figli appare valido e soddisfacente. Premesso che non può darsi per scontato che gli strumenti necessari fossero disponibili presso l'abitazione di ciascuno dei genitori, è evidente che nessun figlio resiste per ore a conversazioni a distanza. Per cui la concessione appare più che altro un alibi rispetto alla mancata previsione di un recupero successivo degli incontri saltati. Ancora meno plausibile appare la citazione, per legittimare il provvedimento assunto, degli stessi decreti del governo: visto che affermano esattamente l'opposto. Difatti, ogni volta che si è avuta la segnalazione della problematica indotta nella frequentazione tra genitori e figli all'interno delle famiglie separate dalle limitazioni imposte ai cittadini alla libertà di movimento, sempre, direttamente o nelle precisazioni immediatamente seguite, è stato chiarito che nulla dovesse cambiare rispetto alle disposizioni già emanate dal giudice competente. In sostanza, quindi, l'ordinanza in questione, sviluppando opinabili considerazioni sulle gerarchie di tipo costituzionale fra diritto alla salute e diritto alla bigenitorialità a giustificazione della propria scelta, in concreto null'altro fa che dare lezioni di diritto all'organo (sia pur eccezionalmente) legislativo: contravvenendo al generale principio che il magistrato è soggetto alla legge e che per cambiare una norma ne occorre un'altra ad essa successiva.

Non minori perplessità, del resto, desta la preoccupazione che il tribunale manifesta non già per la possibilità che quel figlio si ammalasse nei contatti con il padre, ma perché il bambino potesse agire come agente infettante nei confronti del "genitore collocatario" e dei suoi conviventi: :"…ritenuto che non è verificabile, che nel corso del rientro il minore presso il genitore collocatario, se il minore, sia stato esposto a rischio sanitario, con conseguente pericolo per coloro che ritroverà al rientro presso l'abitazione del genitore collocatario." Non poteva, dunque, essere confessato in maniera più convincente che l'interesse al centro delle attenzioni di una parte consistente della magistratura non è quello continuamente invocato "del minore", ma dell'adulto investito del ruolo di "genitore prevalente" o "collocatario". Non a caso, senza effettuare alcuna indagine, senza minimamente chiedersi quale sia la condizione di vita, la professione, l'intorno familiare di quel soggetto, si accredita sistematicamente a priori che la permanenza presso di lui rappresenti la migliore forma di prevenzione e di tutela per i bambini.

L'analoga decisione del tribunale di Vasto

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Si è detto "parte consistente della magistratura" perché l'ordinanza barese si presenta come tutt'altro che isolata. In particolare, merita di essere segnalato in quanto ancora più recente un provvedimento del tribunale di Vasto (2 aprile 2020) che, non a caso, rimanda a quello di Bari. Non a caso, perché quasi tutte le considerazioni di carattere generale appena commentate si riproducono, identiche parola per parola, nella decisione del tribunale abruzzese, evidentemente trascinato dal prestigioso esempio.

Quest'ultimo, in effetti, entra anche maggiormente nel merito della situazione specifica, ma senza molto guadagnarne in plausibilità, ma mettendoci del suo. Ad es., suscita non poche perplessità una affermazione come "fermo restando che il diritto del padre a mantenere rapporti significativi e costanti con la figlia può essere esercitato attraverso strumenti telematici". Dove appare quanto mai impropria la citazione dei contenuti stessi del diritto soggettivo e indisponibile dei figli alla bigenitorialità, attribuendone la titolarità al genitore e definendoli "significativi", anziché "equilibrati e continuativi". Con evidente sostituzione di una determinante qualità parentale con quella che caratterizza il rapporto tra nipoti ed ascendenti, ai sensi del medesimo articolo 337 ter comma I c.c.

E c'è dell'altro. Se, infatti, evita di esprimere allarme per le condizioni di salute del collocatario (che tuttavia considera affidabile a priori); se pure evita lodevolmente il grottesco timore che il rischio consista nei percorsi stradali per passare da una abitazione all'altra (pure espresso da prestigiosi esponenti del sistema legale); nonché, altrettanto lodevolmente, si preoccupa di redarguire la madre affinché non interferisca con le chiamate; chiamate che colloca intelligentemente in una ragionevole fascia oraria e delle quali non predetermina la durata; tuttavia si esprime in modo decisamente preoccupante rispetto alle possibili fonti di contagio: "ritenuto, peraltro, che – nel caso di specie – non è verificabile se la minore si esponga a rischio sanitario, tenuto conto: a) che il padre proviene da un luogo ad alto tasso di contagio virale; b) che non è dimostrato che lo stesso abbia rigorosamente rispettato le prescrizioni imposte dalla normativa vigente; c) che non è chiaro se nell'abitazione di destinazione siano presenti altre persone, oltre al ricorrente". Ora, per quanto attiene al primo punto la risposta era già contenuta nella richiesta stessa. Il padre, infatti, dimostrando senso di responsabilità, proponeva al giudice anche la possibilità di far partire la propria frequentazione dal 13 aprile, pur avendo raggiunto Aversa già dal 23 marzo. In questo modo nel momento di incontrare la bambina avrebbe già scontato addirittura una settimana in più del tempo normalmente previsto per la quarantena; il che spazza via la parte più rilevante della motivazione del rifiuto. Comunque, più preoccupanti ancora sono i punti successivi, che pongono un serio problema metodologico e di principio. È corretto che si chieda al cittadino di provare la propria innocenza o non è piuttosto all'accusa che tocca l'onere di dimostrare che c'è stata una violazione delle regole? Quanti siano sensibili al problema del rapporto del cittadino con le istituzioni non potranno evitare una fortissima sensazione di disagio.

In aggiunta, osservando ancora, ma da un punto di vista pratico, le preoccupazioni espresse ai punti b) e c) salta agli occhi la discriminazione tra genitore collocatario e non. Da dove si trae la "dimostrazione" opposta, da cosa risulta "chiaro" che quei capi d'accusa non sussistono a carico dell'altro genitore? Francamente, non sono interrogativi di poco conto.

L'intervento del Tribunale per i Minorenni di Roma

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Fortunatamente, arriva il 9 aprile 2020 un decreto del Tribunale per i Minorenni di Roma (sotto allegato), di tutt'altra natura. Al di là, infatti, della decisione di respingere l'istanza di una madre che chiedeva la sospensione degli incontri del figlio con il padre, hanno ben più peso e significato gli argomenti utilizzati a suo sostegno. Anzitutto, ancora una volta vengono citate le linee guida adottate dal Governo, ma questa volta dando loro la corretta interpretazione, definitivamente comprovata dalla formulazione della stessa modulistica che dispone l'attuazione delle norme. Recita, difatti, il decreto: "… rilevato che anche il modulo per la autodichiarazione, come da ultimo aggiornato, espressamente annovera " gli obblighi di affidamento di minori" nell'ambito della elencazione esemplificativa delle circostanze da dichiarare legittimanti lo spostamento". Quindi, le disposizioni date dal giudice per disciplinare i contatti tra genitori e figli non vengono toccate dalle limitazioni poste alla circolazione dei cittadini. Ma il Tribunale fa ben di più. Evita, infatti, di separare, contrapponendole, bigenitorialità e salute, osservando che il diritto a un rapporto equilibrato dei figli con entrambi i genitori si pone a fondamento del loro benessere psico-fisico: "diritto che assume rilievo nell'ordinamento costituzionale interno, e nell'ordinamento internazionale".

Resta, dunque, in margine a questa illuminata decisione, ancora un passo da compiere (che purtroppo ancora non effettua il decreto romano, forse limitandosi ad usare termini che non sceglie, ma trova): accorgersi che la distinzione giuridica tra collocatario e non collocatario è una non lecita invenzione giuridica che va esattamente nel senso opposto allo spirito e alla possibilità di realizzazione di un affidamento condiviso e che occorre attribuire realmente ai figli pari possibilità di contatto con i genitori (da gestire flessibilmente in funzione dei propri bisogni), investiti di pari responsabilità e responsabilità. A questo ha pensato l'Unione Nazionale Camere Civili.

La posizione dell'UNCC

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A conclusione di queste riflessioni sui variegati provvedimenti dei tribunali è d'obbligo rammentare la nota recentemente licenziata dall'Unione Nazionale Camere Civili (UNCC). Questa, oltre a compiere una corretta analisi della disciplina attuale, suggerisce anche quali potrebbero, o meglio dovrebbero, essere in generale le modalità della frequentazione, se davvero si volesse rispettare il diritto dei figli alla bigenitorialità. E del tutto concretamente, ossia come, al tempo stesso, realizzare le migliori condizioni per tutelare i figli non solo dagli attuali rischi di natura sanitaria, ma anche dagli inconvenienti più volte lamentati, tipo ping pong e sballottamento tra due case, derivanti dalla dominante consuetudine di limitare la frequentazione di uno dei genitori a spezzettate "visite" pomeridiane. Si legge infatti nella nota dell' UNCC, dopo avere caldeggiato un accorpamento dei contatti: "E' dunque più che probabile che il problema abbia una matrice culturale, la cui responsabilità è da individuare all'interno del sistema legale. In altre parole, la discriminazione fra genitori - entrambi affidatari ed entrambi parimenti responsabili della cura, educazione e istruzione dei figli - introdotta dall'invenzione del genitore prevalente come figura giuridica, dovrebbe essere fatta cessare, come è avvenuto in molti Tribunali". Coglie bene, dunque, l'UNCC il senso della evoluzione storica dei costumi, scegliendo di lasciarsi alle spalle modelli sociali arcaici, che la legge italiana ha ormai abbandonato da anni e che tuttavia residuano culturalmente in buona parte del sistema legale; così come nella normativa di paesi dell'America latina come Perù, Colombia ed Ecuador. Se, in effetti, la partecipazione paterna alla cura de figli è ancora minoritaria nella famiglia unita, perché contrastare, anziché incentivare, la paritetica assunzione di responsabilità e sacrifici quando con la separazione la donna potrebbe finalmente godere di pari opportunità?

Vale anche la pena di notare, nell'occasione, che una frequentazione paritetica nell'alternanza di due settimane consecutive (ma potrebbe essere anche una in tempi normali) è esattamente quanto disposto dal tribunale di Verona (27 marzo 2020) proprio al fine di proteggere meglio i figli dall'infezione rispettando al tempo stesso il loro diritto alla bigenitorialità.

Non è facile comprendere per quale motivo questa formula, intelligentemente caldeggiata dal documento dell'UNCC, non debba valere sempre, visto che le sue finalità e le sue premesse sono le medesime, a prescindere dalle circostanze.

Data: 23/04/2020 21:00:00
Autore: Marino Maglietta