Subappalto e fallimento
Avv. Alessandra Rossi - Di recente le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono state chiamate a dirimere una questione che spesso ha interessato la fase di esecuzione degli appalti di lavoro, servizi e forniture ovvero quella relativa all'applicabilità dell'art. 118 del codice appalti del 2006 e successive modifiche (pagamento diretto ai subappaltatori laddove la società appaltante sia stata ammessa ad una procedura concorsuale).
La citata norma, in particolare, prevedeva la possibilità di sospendere il pagamento in favore dell'appaltatore nonché il pagamento diretto del subappaltatore da parte del committente, nelle ipotesi in cui questa modalità di pagamento fosse indicata nel bando di gara ovvero nel caso di condizioni di crisi di liquidità finanziaria dell'affidatario, comunque previo contraddittorio con quest'ultimo.
Il comma 3 bis, introdotto solo nel 2013, prevedeva la possibilità di pagamenti diretti nel caso di concordato con continuità aziendale, poiché in tal caso il contratto di appalto prosegue.
Nel corso del tempo si sono formati due diversi orientamenti giurisprudenziali.
Secondo una prima tesi, nel caso di fallimento dell'appaltatore, non è applicabile il meccanismo di cui all'art 118 Dlgs 163/2006 (sospensione dei pagamenti e pagamento diretto ai subappaltatori).
Pertanto la Stazione Appaltante dovrà effettuare il pagamento di tutte le somme dovute in favore della Curatela Fallimentare ed i subappaltatori dovranno essere pagati nel rispetto del principio della par condicio creditorum.
Secondo altro orientamento anche nel caso di fallimento dell'appaltatore troverebbe comunque applicazione la norma relativa alla sospensione dei pagamenti con intervento sostitutivo in favore dei subappaltatori e pertanto, nell'ambito della procedura concorsuale, andrebbe riconosciuto il beneficio della prededuzione ex art 111 L.F. ai subappaltatori, ovvero gli stessi dovrebbero essere soddisfatti senza attendere la fase del riparto.
Solo in tal modo infatti verrebbe ad essere tutelato sia l'interesse del subappaltatore al pagamento dei propri crediti sia quello della massa fallimentare a ricevere i pagamenti sospesi dalla Stazione Appaltante in favore dell'affidatario.
Dunque il soddisfacimento dei crediti dei subappaltatori costituirebbe, secondo questa tesi, una condizione di esigibilità del pagamento del credito vantato dalla società fallita nei confronti della Stazione Appaltante.
Diverso è invece il meccanismo a tutela dei subappaltatori che è stato introdotto dal Codice degli Appalti del 2016, ed in particolare dall'art. 105 della normativa vigente, che disciplina alcuni casi specifici di pagamento diretto da parte del committente: qualora il subappaltatore o cottimista sia microimpresa o piccola impresa, nel caso di grave inadempimento dell'appaltatore, nonché su richiesta dell'appaltatore se la natura del contratto lo consente.
La Suprema Corte di Cassazione a Sezione Unite, con sentenza n. 5685/2020, risolvendo il lungo contrasto giurisprudenziale, ha osservato che la previsione del meccanismo di sospensione dei pagamenti di cui all'art. 118 D.lgs 163/2006 riguarda esclusivamente ipotesi in cui il rapporto di appalto sia in corso con un'impresa in bonis mentre non è applicabile nel caso in cui, con la dichiarazione di fallimento, il contratto di appalto si sciolga; in tal caso, pertanto, la stazione appaltante deve versare al curatore il corrispettivo delle prestazioni eseguite fino all'intervenuto scioglimento del contratto ed inoltre il subappaltatore deve essere considerato un creditore concorsuale dell'appaltatore come gli altri, e deve quindi essere soddisfatto nel rispetto della par condicio creditorum, fatte salve le cause legittime di prelazione ex art 2741 c.c. che il legislatore introduce secondo l'ordine previsto dagli artt. 2777 e ss c.c.
Secondo i Giudici di Legittimità le ragioni di tutela dei crediti dei subappaltatori non possono di per sé giustificare deroghe, peraltro non previste dalla normativa, al principio della par condicio creditorum. Ciò anche al fine di evitar ingiustificate disparità di trattamento tra i subappaltatori di opere pubbliche ed i subappaltatori del settore privato, non garantiti da una norma come l'attuale art. 105 D. Lgs. 50/16 e s.m.i.
La Suprema Corte precisa che la sospensione del pagamento ai sensi dell'art 118 D. Lgs. 163/06 può essere ascritto alla categoria delle eccezioni di inadempimento e che, in caso di fallimento, la stazione appaltante potrebbe rifiutare il pagamento delle opere ineseguite o eseguite non a regola d'arte, mentre non potrebbe invocare la disciplina prevista dall'art. 1460 c.c. in tema di eccezione di inadempimento, in quanto questa eccezione comporta la sospensione della prestazione della parte del non inadempiente e, dunque, presuppone un contratto ancora in essere e quindi eseguibile: invece è indubbio che la sentenza dichiarativa di fallimento rende il contratto di appalto inefficace ex nunc, ovvero il contratto si scioglie, la prestazione non è più eseguibile e pertanto non possono essere invocate eccezioni di inadempimento.
Si osserva che nel caso di concordato con continuità aziendale, ovvero di esercizio provvisorio dell'impresa autorizzato nell'ambito della procedura fallimentare, il discorso è differente. In tal caso, infatti, il contratto di appalto può proseguire e può quindi trovare applicazione l'art. 105 del codice appalti: la Stazione Appaltante può essere obbligata al pagamento diretto anche dei crediti nei confronti dei subappaltatori sorti dopo l'apertura della procedura di concordato preventivo o dopo l'autorizzazione dell'esercizio provvisorio, per garantire la prosecuzione del contratto nell'interesse della Stazione Appaltante alla corretta conclusione dell'appalto e nell'interesse della massa dei creditori al regolare pagamento alla procedura del corrispettivo previsto per l'appalto.
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Autore: Alessandra Rossi