Avvocati: reato impedire al collega di entrare in studio
di Annamaria Villafrate - Con la sentenza n. 15633/2020 (sotto allegata) la Corte di Cassazione accoglie il ricorso di un avvocato, a cui è stato impedito dai colleghi di fare ingresso nello studio in cui, a detta loro, era solo un "ospite". A differenza dei giudici di merito, la Cassazione ritiene che i metodi adottati per impedire all'avvocato di entrare nello studio per prelevare i suoi fascicoli di lavoro, integrino una condotta violenta, seppur realizzata con mezzi impropri, come il cambio della serratura e lo sbarramento dell'ingresso con il corpo.
- Assoluzione dal reato di violenza privata
- Esclusa la sussistenza del reato
- Violenza privata impedire all'avvocato "ospite" di entrare nello studio
Assoluzione dal reato di violenza privata
La Corte d'Appello conferma la sentenza di assoluzione di primo grado nei confronti dell'imputato, accusato dei reati di cui agli artt. 392 e 610 c.p, per aver impedito, cambiando la serratura e sbarrando la porta con il corpo, l'ingresso nello studio legale alla persona offesa per ritirare materiale di lavoro e pratiche. Assolto anche dal reato di favoreggiamento contemplato dall'art. 378 c.p. per aver aiutato un altro soggetto, a eludere le indagini, mediante false dichiarazioni.
La Corte d'Appello avalla pienamente la tesi del titolare dello studio, che ha fatto presente al giudice le sue difficoltà a mandare via la persona offesa, "ospitata" nel suo studio legale solo temporaneamente.
Esclusa la sussistenza del reato
Ricorre in sede di legittimità la parte civile contestando il ragionamento logico giuridico che ha condotto la Corte d'Appello a escludere la sussistenza del reato di violenza privata, anche alla luce del fatto che, per rientrare in possesso dei suoi fascicoli e del suo materiale da lavoro, è stato costretto a ricorrere all'autorità giudiziaria.
Violenza privata impedire all'avvocato "ospite" di entrare nello studio
La Cassazione accoglie il ricorso, annulla la sentenza e rinvia al giudice competente per un nuovo esame. Prima di tutto, la Corte chiarisce che il reato di violenza può essere integrato anche da condotte improprie, attraverso il ricorso a mezzi anomali diretti a fare pressione sulla volontà altrui, ostacolandone la libera determinazione.
In seguito rileva la contraddittorietà delle affermazioni della Corte d'Appello. A differenza di quanto sostenuto dal giudice dell'impugnazione, dimostrano l'esistenza di un sistemazione "duratura" e non meramente temporanea:
- la presenza del nome della persona offesa nella targa all'esterno del palazzo;
- la disponibilità degli arredi dello studio in favore del ricorrente;
- i contributi alle spese dello studio di costui.
Da questi elementi emerge chiaramente l'esistenza di un rapporto stabile. Irrilevante che tra i professionisti non fosse stata istituita un'associazione professionale o che la persona offesa non avesse un rapporto diretto con il proprietario dell'immobile.
Gli Ermellini ritengono pertanto che "l'esistenza di ragioni che avrebbero consentito a (…) di escludere dall'immobile (…) può assumere rilievo ai fini della qualificazione della condotta come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ma non certo a consentire una violenta condotta idonea a incidere sulla libertà di autodeterminazione del primo."
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Data: 26/05/2020 06:00:00Autore: Annamaria Villafrate