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Incidente con animale selvatico: chi chiamare in giudizio?

La Cassazione conferma il revirement sulla responsabilità del danno cagionato da incidenti stradali con la fauna selvatica


Responsabilità oggettiva ex art. 2052 c.c.

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Del danno cagionato dalla fauna selvatica risponde sempre la Regione, sulla base del criterio di responsabilità oggettiva di cui all'art. 2052 c.c. Lo ha confermato la Corte di Cassazione civile con sentenza n. 12113/2020. Con la pronuncia in commento, la Corte di Cassazione torna ad affrontare il tema della responsabilità dei danni cagionati dalla fauna selvatica, confermando il revirement effettuato con la sentenza n. 7969 del 20 aprile 2020 nonché con le sentenze n. 8384/2020 e 8385/2020 rispetto al tradizionale indirizzo, così individuando il criterio di imputazione della responsabilità nonché la titolarità della responsabilità.

Danni all'auto a seguito di incidente con animale selvatico

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C.L.C. agiva in giudizio nei confronti della Regione Abruzzo per ottenere il risarcimento dei danni riportati dalla propria autovettura a seguito della collisione con un piccolo branco di cinghiali in agro del Comune di Casoli, località Cipollaro.

La domanda era stata accolta dal Giudice di Pace di Casoli.

Il Tribunale di L'Aquila confermava la decisione di primo grado. Ricorreva in Cassazione la Regione Abruzzo, sulla base di un unico motivo.

La Corte rigettava la domanda sull'assunto che la Regione convenuta si fosse limitata a contestare la propria legittimazione (sempre sul piano sostanziale), indicando la Provincia come ente a suo avviso effettivamente responsabile, senza però provvedere ad esercitare alcuna azione di rivalsa nei confronti di detto ente.

Sicché la Corte confermava la decisione impugnata affermando di doversi dare continuità al principio di diritto espresso dalla stessa Corte con le recenti sentenze del 20 aprile del 29 aprile.

Il principio di diritto

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"Ai fini del risarcimento dei danni cagionati dagli animali selvatici appartenenti alle specie protette e che rientrano, ai sensi della legge n. 157 del 1992, nel patrimonio indisponibile dello Stato, va applicato il criterio di imputazione della responsabilità di cui all'art. 2052 c.c. e il soggetto pubblico responsabile va individuato nella Regione, in quanto ente al quale spetta in materia la funzione normativa, nonché le funzioni amministrative di programmazione, coordinamento, controllo delle attività eventualmente svolte - per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari - da altri enti, ivi inclusi i poteri sostitutivi per i casi di eventuali omissioni (e che dunque rappresenta l'ente che «si serve», in senso pubblicistico, del 23 Corte di Cassazione - copia non ufficiale patrimonio faunistico protetto), al fine di perseguire l'utilità collettiva di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema; la Regione potrà eventualmente rivalersi (anche chiamandoli in causa nel giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti degli altri enti ai quali sarebbe spettato di porre in essere in concreto le misure che avrebbero dovuto impedire il danno, in quanto a tanto delegati, ovvero trattandosi di competenze di loro diretta titolarità" (Cass. Sez. 3 n. 7969 del 20 aprile 2020 e Cass. Sez. 3 n. 8384 e 8385 del 29 aprile 2020).

L'evoluzione normativa in tema di proprietà dell'animale selvatico

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Con la pronuncia in esame, la Corte ha effettuato una ricostruzione storica della normativa relativa alla proprietà della fauna selvatica per così giungere a concludere sulla titolarità della responsabilità.

I danni causati dagli animali selvatici, in passato, erano considerati sostanzialmente non indennizzabili, in quanto tutta la fauna selvatica era ritenuta res nullius.

Con la legge 27 dicembre 1977 n. 968 la fauna selvatica (appartenente a determinate specie protette) è stata dichiarata patrimonio indisponibile dello Stato, tutelata nell'interesse della comunità nazionale e le relative funzioni normative e amministrative sono state assegnate alle Regioni, anche in virtù dell'art. 117 Cost.. Successivamente, la legge 11 febbraio 1992 n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) ha specificato che la predetta tutela riguarda «le specie di mammiferi e di uccelli dei quali esistono popolazioni viventi stabilmente o temporaneamente in stato di naturale libertà nel territorio nazionale», con le eccezioni specificate (talpe, ratti, topi propriamente detti, nutrie, arvicole) ed avviene anche nell'interesse della comunità internazionale. La stessa legge ha diviso le competenze della gestione della fauna selvatica tra Province e Regioni attribuendo alle Province "le funzioni amministrative in materia di caccia e di protezione della fauna secondo quanto previsto dalla legge 8 giugno 1990 n. 142, che esercitano nel rispetto della presente legge" nonché "le funzioni amministrative di interesse provinciale che riguardino vaste zone intercomunali o l'intero territorio provinciale» nei settori della «protezione della flora e della fauna, parchi e riserve naturali», nonché della «caccia e pesca nelle acque interne".

Il precedente indirizzo della Cassazione

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Nella giurisprudenza della Corte si era consolidato in passato un diverso indirizzo, secondo cui il danno cagionato dalla fauna selvatica non era risarcibile in base alla presunzione stabilita nell'art. 2052 c.c., inapplicabile con riguardo alla selvaggina, il cui stato di libertà è incompatibile con un qualsiasi obbligo di custodia da parte della pubblica amministrazione, ma solamente alla stregua dei principi generali della responsabilità extracontrattuale di cui all'art. 2043 c.c., anche in tema di onere della prova, e perciò richiedeva l'individuazione di un concreto comportamento colposo ascrivibile all'ente pubblico.

Tale indirizzo aveva anche superato il vaglio della Corte Costituzionale, la quale - con Ordinanza in data 4 gennaio 2001 n. 4 – aveva ritenuto non sussistere una irragionevole disparità di trattamento tra il privato proprietario di un animale domestico o in cattività, che risponde dei danni da questo arrecati secondo il criterio di imputazione di cui all'art. 2052 c.c., e la pubblica amministrazione, nel cui patrimonio sono ricompresi gli animali selvatici (ciò sull'assunto per cui, poiché questi ultimi soddisfano il godimento della intera collettività, i danni prodotti dagli stessi costituiscono un evento naturale di cui la comunità intera deve farsi carico secondo il regime ordinario di imputazione della responsabilità civile di cui all'art. 2043 c.c.).

Sul presupposto che il fondamento della responsabilità era da ricercare nella clausola generale di cui all'art. 2043 c.c. e che ciò richiedeva in ogni caso l'individuazione di un concreto comportamento colposo ascrivibile all'ente pubblico, in alcune più recenti decisioni (comunque successive alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 4 del 2001, già richiamata) si era affermato che la responsabilità per i danni causati dagli animali selvatici non fosse sempre imputabile alla Regione ma dovesse in realtà essere imputata all'ente, sia esso Regione, Provincia, Ente Parco, Federazione o Associazione, ecc., a cui fossero stati concretamente affidati, nel singolo caso, anche in attuazione della legge n. 157 del 1992.

La Corte rendendosi conto delle criticità di fondo e delle contraddizioni del quadro delle decisioni prese afferma la necessità di addivenire ad una uniformità di applicazione del diritto civile nel territori nazionale.

Il fondamento del nuovo orientamento

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Con la pronuncia in esame, la Corte giunge alla conclusione di applicare anche alla fauna selvatica il regime oggettivo di imputazione della responsabilità di cui all'articolo 2052 c.c. partendo dall'assunto che il diritto di proprietà in relazione ad alcune specie di animali selvatici (precisamente quelle oggetto della tutela di cui alla legge n. 157 del 1992) è effettivamente configurabile, in capo allo Stato, quale suo patrimonio indisponibile.

In siffatta situazione, l'esenzione degli enti pubblici dal regime di responsabilità oggettiva di cui all'art. 2052 c.c., non potendosi in diritto giustificare sulla base della impossibilità di configurare un effettivo rapporto di custodia per gli animali selvatici (non costituendo affatto la custodia il presupposto di applicabilità della disposizione che disciplina l'imputazione della responsabilità, ai sensi dell'art. 2052 c.c.).

Legittimata passiva è sempre la regione

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Una volta stabilita l'applicabilità del criterio di imputazione della responsabilità di cui all'art. 2052 c.c. per i danni causati dagli animali selvatici appartenenti alle specie protette che rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato, la Corte conferma che il soggetto pubblico tenuto a risponderne nei confronti dei privati danneggiati (salva la prova del caso fortuito) è la Regione, quale ente competente a gestire la fauna selvatica in funzione della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema.

Quanto all'onere probatorio, la Corte precisa che è il danneggiato a dover allegare e dimostrare che il danno è stato causato dall'animale selvatico, nonché dimostrare la dinamica del sinistro nonché il nesso causale tra la condotta dell'animale e l'evento dannoso subito, oltre all'appartenenza dell'animale stesso ad una delle specie oggetto della tutela di cui alla legge n. 157 del 1992 e/o comunque che si tratti di animale selvatico rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato.

La Corte chiarisce, altresì, che, il criterio di imputazione della responsabilità a carico del proprietario di animali di cui all'art. 2052 c.c. non impedisce l'operatività della presunzione prevista dall'art. 2054, comma 1, c.c., a carico del conducente del veicolo sul presupposto che l'art. 2054 c.c. esprime principi di carattere generale, applicabili a tutti i soggetti che subiscano danni dalla circolazione.

L'attore che chieda il risarcimento per danni che sostenga causati da un animale selvatico in occasione di un sinistro stradale, resta certamente soggetto alla presunzione di responsabilità di cui all'art. 2054, comma 1, c.c., e quindi il conducente del veicolo ha l'onere di dimostrare non solo la precisa dinamica dell'incidente, ma anche di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, e tale prova deve essere valutata con particolare rigore in caso di sinistro avvenuto in aree in cui era segnalata o comunque nota la possibile presenza di animali selvatici.

Per quanto riguarda la prova liberatoria, la Regione potrà eventualmente dimostrare il caso fortuito.

La Regione, infatti, per liberarsi dalla propria responsabilità "dovrà dimostrare che la condotta dell'animale si sia posta del tutto al di fuori della sua sfera di possibile controllo, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile del danno, e come tale sia stata dotata di efficacia causale esclusiva nella produzione dell'evento lesivo, cioè che si sia trattato di una condotta che non era ragionevolmente prevedibile e/o che comunque non era evitabile, anche mediante l'adozione delle più adeguate e diligenti misure di gestione e controllo della fauna (e di connessa protezione e tutela dell'incolumità dei privati), concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto".

L'azione di rivalsa della regione contro l'ente negligente

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Laddove il danno si assuma essere stato causato dalla condotta negligente di un diverso ente, cui spettava il compito (trattandosi di funzioni delegate dalla Regione) di porre in essere le misure adeguate di protezione nello specifico caso omesse e che avrebbero impedito il danno, la stessa Regione potrà rivalersi nei confronti di detto ente e, naturalmente, potrà anche, laddove lo ritenga opportuno, chiamarlo in causa nello stesso giudizio avanzato nei suoi confronti dal danneggiato, onde esercitare la rivalsa.

Data: 06/08/2020 11:00:00
Autore: Eliana Messineo