Ex Ipab: in tema di individuazione del contratto di lavoro
Il legislatore non può imporre al datore di lavoro la partecipazione ad un procedimento negoziale, sopprimendo la libertà di scegliere il
contratto collettivo da applicare. E', pertanto, illegittimo l'art. 18, comma 13, secondo periodo, della legge Regione Lombardia 13 febbraio 2003, n. 1 nella parte in cui dispone che al personale assunto successivamente alla trasformazione delle IPAB in
persone giuridiche di diritto privato, “in sede di contrattazione decentrata, è stabilita l'applicazione di contratti in essere o di contratti compatibili ed omogenei con quelli applicati al personale già in servizio”. Questa la decisione della Corte Costituzionale con la
sentenza n. 411 del 14 dicembre 2006. La corte è stata interessata con due questioni di legittimità sollevate dal tribunale di Lecco e di Mantova che poi ha riunito per identità di oggetto e argomentazioni. Il Tribunale di Lecco ha sollevato
questione di legittimità costituzionale dell'art. 18, comma 13, della legge Regione Lombardia 13 febbraio 2003, n. 1, in riferimento agli artt. 18, 39 e 117 della
Costituzione. La norma in esame, secondo il giudice, violerebbe gli artt. 18 e 39 della
Costituzione in quanto lesiva del principio della libertà ordinamentale riconosciuta alle organizzazioni sindacali e violerebbe l'art. 117 della
Costituzione, in quanto interverrebbe a regolamentare rapporti di natura privatistica, come tali sottratti alla potestà legislativa delle regioni. La questione sorge quando le O.S. provinciali CGIL Funzione Pubblica e F.P.S. CISL di Lecco, promuovono un giudizio davanti al locale tribunale per condotta antisindacale ex art. 28 della legge 300/1970, in quanto ad un dipendente assunto dopo la privatizzazione della Fondazione Casa di Riposo Dr. Luigi e Regina Sironi – ONLUS, viene applicato unilateralmente da parte dell'ente il CCNL «UNEBA» (Unione nazionale enti di beneficenza e assistenza), in luogo di quello «Regioni ed Autonomie locali», senza la prevista concertazione del
contratto collettivo da applicare, come invece prevedeva l'art. 18, comma 13, della legge Regione Lombardia n. 1 del 2003. La F.P.S. CISL di Lecco si costituisce nel giudizio di legittimità costituzionale chiedendo che si dichiari inammissibile, ovvero infondata, la questione sollevata dal locale tribunale, adducendo la carenza di motivazione in ordine alla sua rilevanza e la mancanza del necessario carattere «determinante». Con analoga argomentazione interviene in giudizio la F.P.S. CISL della regione Lombardia, affermando la propria legittimazione in quanto firmataria dell'accordo con l'assessorato regionale che ha portato poi alla norma trasfusa nell'art. 18, comma 13, della legge regionale n. 1 del 2003. Nel giudizio si costituisce, altresì, la Fondazione Casa di Riposo Dr. Luigi e Regina Sironi – ONLUS, premettendo che comunque la norma che si presume violata, non impone affatto un obbligo di risultato, ma soltanto un obbligo di trattare, impegno - secondo l'ente - assolto, e chiedendo di ritenere fondata la prospettata
questione di legittimità costituzionale, così che il ricorso contro di essa proposto, una volta espunta dall'ordinamento la norma regionale, dovrebbe essere rigettato per mancanza di qualsivoglia base normativa. Si costituisce altresì la Regione Lombardia eccependo preliminarmente la manifesta inammissibilità, per difetto di rilevanza, del sollevato dubbio di costituzionalità e, in subordine, la sua infondatezza nel merito. Anche il Tribunale di Mantova, nel frattempo interessato analogamente per condotta antisindacale ex art. 28 della legge 300/1970, da parte della Fondazione Isabella Gonzaga O.N.L.U.S., solleva la
questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 18, 39 e 117 Cost.(come il Tribunale di Lecco) ed anche art. 41 Cost., nonché «al principio di razionalità. desumibile dall'art. 3 Cost.», dell'art. 18, comma 13, secondo periodo, della medesima legge Regione Lombardia 13 febbraio 2003, n. 1. Per il giudice di Mantova, la materia regolamentata dalla norma impugnata, che richiama un indirizzo della stessa Corte Costituzionale (Corte Cost.
sentenza n. 379 del 2004 e
sentenza n. 359 del 2003), pur rientrando pur sempre nell'ambito del diritto civile, costituisce un diritto speciale, in quanto volta alla regolamentazione del rapporto di lavoro, e segnatamente delle modalità di applicazione dei
contratti collettivi ai singoli rapporti, violerebbe la riserva di competenza esclusiva dello Stato ex art. 117, secondo comma, lett. l), Cost. La norma censurata – sempre per il giudice remittente – sarebbe lesiva anche dell'art. 39 Cost., per violazione della libertà sindacale, in particolare dei singoli datori di lavoro, la quale li obbligherebbe, in sostanza, ad applicare un
contratto anche diverso da quello dell'associazione di appartenenza, o comunque ad applicare un
contratto collettivo, tra quelli esistenti, pur in mancanza di adesione a qualsivoglia organizzazione sindacale, ledendo così anche il principio della libertà di associazione, in collegamento con quello di iniziativa economica, di cui agli artt. 18 e 41 Cost., ove il fondamento dei diritti dei datori di lavoro, nei termini precisati, venisse in tali norme rinvenuto. La norma in argomento imponendo una scelta condivisa del
contratto collettivo da applicare a determinati rapporti di lavoro, senza nulla prevedere in caso di mancato accordo, violerebbe altresì il principio di razionalità di cui all'art. 3 Cost. Nel giudizio si costituisce la Fondazione Isabella Gonzaga O.N.L.U.S., che chiede alla Corte di dichiarare fondata la sollevata
questione di legittimità costituzionale. La Corte Costituzionale riunendo i due giudizi (Tribunale di Lecco e Mantova), nel ritenere inammissibile dell'intervento della F.P.S. CISL della Regione Lombardia, dal momento che, secondo un indirizzo della stessa Corte ( Corte Cost. sentenze n. 279 del 2006 e n. 341 del 2003), le
associazioni di categoria «non sono titolari di un interesse giuridicamente qualificato suscettibile di essere pregiudicato immediatamente ed irrimediabilmente» dalla pronuncia di questa Corte e, altresì, inammissibile la
questione di legittimità costituzionale sollevata della
Costituzione, dal Tribunale di Lecco, dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 18, comma 13, secondo periodo, della legge Regione Lombardia 13 febbraio 2003, n. 1 (Riordino della disciplina delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza operanti in Lombardia) nella parte in cui dispone che al personale assunto successivamente alla trasformazione delle IPAB in
persone giuridiche di diritto privato, “in sede di contrattazione decentrata, è stabilita l'applicazione di contratti in essere o di contratti compatibili ed omogenei con quelli applicati al personale già in servizio”. In pratica il secondo periodo del comma 13 dell'art. 18 della legge regionale –all'evidente scopo di evitare che i rapporti di lavoro instaurati dopo la trasformazione siano disciplinati sulla base di
contratti collettivi profondamente diversi da quelli “pubblicistici” applicati ai vecchi dipendenti – imporrebbe ai datori di lavoro di negoziare “in sede di contrattazione decentrata” la scelta del
contratto collettivo da applicare ai neo-assunti, se “contratti collettivi in essere o contratti compatibili ed omogenei con quelli applicati al personale già in servizio”. Con tale norma, ad avviso della Corte, la Regione Lombardia ha dettato una disciplina propria dell'ordinamento civile, riservato alla legislazione statale dall'art. 117, secondo comma, lett. l), della Cost., in quanto l'intervento legislativo regionale sarebbe volto alla regolamentazione del rapporto di lavoro, e segnatamente delle modalità di applicazione dei
contratti collettivi ai singoli rapporti. La norma regionale è lesivo altresì anche l'art. 39 Cost. in quanto “impone alle parti l'obbligo di negoziare la scelta del
contratto collettivo applicabile a determinati rapporti, in violazione della libertà dei singoli datori di lavoro di aderire ad un'associazione di categoria e di fare proprie le statuizioni del
contratto collettivo nazionale dalle stesse concluso; ciò che inciderebbe anche sulla libertà di associazione (art. 18 Cost.) in collegamento con la libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.)”. La disciplina regionale, infine, sarebbe manifestamente irragionevole (art. 3 Cost.) in quanto nulla prevede per l'ipotesi di mancata intesa. Meglio ancora si può capire la questione di che trattasi se si ripercorre l'evoluzione normativa delle IPAB, che è stata sempre oggetto di contrasti con particolare riguardo alla natura giuridica delle stesse. Le IPAB (Istituzioni pubbliche di Assistenza e Beneficenza) sono stati istituiti con la legge 17 luglio 1890 n. 6972 (c.d. legge Crispi) che riconobbe come istituzioni pubbliche di beneficenza delle enti preesistenti da secoli: le Opere Pie. Tale legge definiva l'ordinamento delle istituzioni di beneficenza, regolamentando inoltre il sistema sociale e sanitario del tempo, convogliando l'assistenza in un sistema controllato dallo Stato, garantendone comunque l'autonomia statutaria, nel rispetto delle volontà dei fondatori. L'articolo 1 della legge Crispi disponeva infatti che qualsiasi tipo di iniziativa in campo sociale dovesse essere pubblica, indipendentemente dalle origini delle varie istituzioni spesso sorte da beneficenza privata e/o di carattere religioso. Con l'entrata in vigore della
Costituzione, il 1° gennaio del 1948, e, successivamente, con la nascita delle Regioni a statuto ordinario, alle quali furono trasferite le funzioni statali in materia di beneficenza pubblica, il sistema normativo previsto dalla legge Crispi entra in una fase critica. Infatti, mentre da un lato l'articolo 1 della legge Crispi dispone che tutte le realtà assistenziali devono essere pubbliche, l'articolo 38 della
Costituzione, dall'altro, riconosce la libertà dell'assistenza privata. Con il DPR 616/1977, si ridefinisce la beneficenza come “tutte le attività che attengono, nel quadro della sicurezza sociale, alla predisposizione ed erogazione di servizi gratuiti o a pagamento, o di prestazioni economiche, sia in denaro che in natura, a favore dei singoli, o di gruppi, qualunque sia il titolo in base al quale sono individuati i destinatari, anche quando si tratti di forme di assistenza a categorie determinate, escluse soltanto le funzioni relative alle prestazioni economiche di natura previdenziale”. Con lo stesso decreto (art. 25) si cerca di porre rimedio all'incongruenza di un ente che nasce privato, prevedendone la soppressione delle IPAB e quindi che tutte le funzioni amministrative relative alla erogazione dei servizi inerenti al settore dell'assistenza venissero trasferite ai Comuni, così come il personale e i beni delle IPAB. Ciò però non avvenne in quanto l'art. 25 sottoposto al giudizio della Corte Costituzionale con la
sentenza n. 173 del 1981 dichiarò l'illegittimità nella parte in cui si disponeva la soppressione delle IPAB. Corte Costituzionale, che investita ancora sull'argomento con la
sentenza n. 396 del 7 aprile 1988 nel 1988, dichiarò l'incostituzionalità parziale dell'art. 1 della Legge Crispi nella parte in cui si prevedeva la natura pubblica di detti enti in netto contrasto con la
Costituzione. In conseguenza di tale
sentenza fu emanata una apposita direttiva dal
governo (DPCM 16 febbraio 1990) per chiarire quali fossero le IPAB che potevano assumere la personalità giuridica di diritto privato. Con la legge 328/2000 (articolo 10), prendendo spunto dal
decreto legislativo 112 del 1998 nel quale non si parla più di assistenza e beneficenza ma, in termini unitari, di servizi sociali, vengono emanati degli indirizzi per la riforma delle IPAB, con cui si prevede la loro depubblicizzazione ovvero la loro trasformazione in aziende pubbliche di servizi alla persona, delegando il
governo a disciplinare in materia. Attuazione all'art. 10 della legge n. 328 che viene data con il
decreto legislativo n. 207 del 2001, che detta una nuova disciplina per le IPAB, e vengono individuati i requisiti per definire la natura giuridica dei futuri Enti prevedendone, a seconda delle caratteristiche, la trasformazione in azienda o in ente di natura giuridica privata oppure l'estinzione. Il decreto, trattandosi di materia concorrente tra Stato e Regione, doveva essere recepito a livello regionale attraverso l'emanazione di una specifica legge di riordino. Successivamente, a seguito della riforma del titolo V della
Costituzione, (legge costituzionale n. 3/2001) e con la nuova formulazione degli articoli 117-118, la materia diventa di competenza esclusiva della potestà legislativa regionale. Le singole Regioni hanno quindi valutato in modo diverso le disposizioni del citato D.Lgs. 207, nel senso che, mentre alcune si sono attenute scrupolosamente al suo dettato, altre hanno considerato tali disposizioni come norme di indirizzo, comportando una applicazione piuttosto disomogenea sul territorio nazionale.. Hanno optato per un regime pubblico delle Istituzioni le seguenti Regioni Toscana, Emilia Romagna, Liguria, Puglia, Trentino Alto-Adige. La Lombardia ha, invece, optato per la libera scelta tra natura pubblica o privata.l Altre regioni, quali il Friuli- Venezia Giulia, hanno propeso per una soluzione intermedia. Premesso tale quadro storico, la regione Lombardia con la legge regionale n. 1 del 2003, (“Riordino della disciplina delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza operanti in Lombardia”) si è adeguata alle grandi linee di tale riforma e, oltre a disciplinare compiutamente le modalità di trasformazione delle IPAB in ASP o in
persone giuridiche di diritto privato, e ha anche dettato regole relative al rapporto di lavoro e allo status del personale sia delle une che delle altre, così ovviando al silenzio serbato sul punto dal legislatore statale. Si tratterebbe, come fa rilevare la Corte costituzionale, di norme – tra cui quella censurata – che, inserite quali emendamenti al progetto di legge (a seguito di un accordo intercorso tra l'assessore regionale alla Famiglia e Solidarietà sociale e le federazioni regionali di categoria), si preoccuperebbero del destino del personale degli enti che subiscono la trasformazione, in un'ottica volta a salvaguardare la continuità del rapporto di lavoro e l'intangibilità delle posizioni acquisite. L'art. 18, co. 13, secondo periodo, della legge della Regione Lombardia 13 febbraio 2003, n. 1 sarebbe volta ad introdurre specifiche garanzie a favore dei lavoratori assunti successivamente alla trasformazione, sia garantendo alle organizzazioni sindacali un ruolo attivo, sia evitando disparità di trattamento tra neo-assunti e lavoratori già occupati. Ora con la decisione della Corte Costituzionale in argomento la norma prevista dall'art. 18, co. 13, secondo periodo, viene espunta dall'ordinamento nazionale, lasciano in vigore il primo periodo, non censurato, del medesimo articolo il quale dispone che “al personale delle IPAB che si trasformano in persone giuridiche di diritto privato, in servizio alla data di trasformazione, si applicano i contratti in essere”, così prevedendo - “fino alla determinazione di un autonomo comparto di contrattazione” - l'ultrattività dei contratti collettivi “pubblicistici” vigenti al momento della trasformazione delle IPAB in persone giuridiche di diritto privato. (Gesuele Bellini) LaPrevidenza.it,
Corte Costituzionale, Sentenza 14.12.2006 n° 411 - Nota di Gesuele Bellini
Data: 13/02/2007
Autore: www.laprevidenza.it