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Legge 104: ok all'assistenza a distanza

La Cassazione "sdogana" l'assistenza a distanza: è legittimo rimanere a casa pronti a intervenire in caso di necessità del disabile


Licenziamento per abuso permessi legge 104

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L'ordinanza n. 16930/2020 (sotto allegata) della Cassazione chiarisce che non costituisce abuso del permesso della 104 per assistere il familiare disabile, trascorrere con l'invalido 20 minuti e poi andare a casa propria, restando a disposizione dello stesso, in attesa di una sua chiamata.

Decisione a cui gli Ermellini giungono dopo la dichiarazione d'illegittimità del licenziamento intimato a una lavoratrice per insussistenza del fatto contestato, da parte della Corte d'Appello, con conseguente ordine alla società datrice di reintegrare la donna nel posto di lavoro e di corrisponderle un'indennità commisurata all'ultima retribuzione globale dal giorno del licenziamento a quello della reintegra, non superiore alle 12 mensilità oltre rivalutazione e interessi.

Per il Giudice del gravame infatti la dipendente non ha profittato del permesso contemplato dall'art. 33 della 104/1991 per assistere il fratello disabile. Il nesso tra assenza dal lavoro e assistenza è stato accertato, stante la decorrenza oraria del permesso e considerato che la fruizione dei permessi era prevista a giorni e non a ore.

Legge 104: legittima l'assistenza da casa?

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La società datrice tuttavia, poco convinta delle conclusioni del giudice del gravame, ricorre in Cassazione sollevando i seguenti motivi:

Permessi legge 104: abuso solo se manca nesso tra assistenza e assenza dal lavoro

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La Cassazione con l'ordinanza n. 16939/2020 respinge il ricorso per le ragioni che si vanno a esporre.

In relazione al primo motivo di ricorso la Cassazione ricorda che la Corte d'Appello ha escluso che la lavoratrice abbia abusato dei permessi previsti dalla 104 per assistere il fratello solo perché nel pomeriggio del 24 dicembre ha trascorso con lui 20 minuti, restando poi a casa propria a disposizione del parente da assistere. Per la giurisprudenza costituiscono abuso dei suddetti permessi, condotte ben più gravi, come recarsi in vacanza o attendere ad attività di interesse personale o similari. Condotte che denotano in sostanza in modo più marcato una violazione del principio di buona fede nei rapporti con il datore e abuso del diritto.

Infondata e non provata poi la contestazione datoriale sullo svolgimento dei fatti verificatisi il 24 dicembre, mentre è risultata dimostrata la circostanza che la donna fosse rimasta a casa per l'intera mattina a disposizione del fratello, che avrebbe potuto chiedere la sua assistenza, come si è in effetti verificato, anche se poi dopo il parente ha preferito recarsi autonomamente a casa propria e farsi raggiungere lì dalla sorella.

La Cassazione del resto ha già ribadito che "l'assistenza che legittima il beneficio in favore del lavoratore, pur non potendo intendersi esclusiva al punto da impedire a chi la offre di dedicare spazi temporali adeguati alle personali esigenze di vita, deve comunque garantire al familiare disabile in situazione di gravità di cui all'art. 3, comma 3, della l. n. 104 del 1992 un intervento assistenziale di carattere permanente, continuativo e globalesolo ove venga a mancare del tutto il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile, si è in presenza di un uso improprio o di un abuso del diritto ovvero di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro che dell'ente assicurativo che genera la responsabilità del dipendente."

In relazione al secondo motivo infine gli Ermellini evidenziano come la Corte d'Appello abbia ritenuto superata ogni argomentazione sulla mancata offerta della prestazione lavorativa da parte delle lavoratrice, per aver optato per la fruizione del permesso a giorni e non a ore. Opzione che quindi esclude ad origine un frazionamento orario del permesso.

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Data: 16/08/2020 23:00:00
Autore: Annamaria Villafrate