Affitto ridotto per il ristorante chiuso per il lockdown
- Ricorso ex art. 700 c.p.c. riduzione canoni e istanza di non escussione garanzia
- Sussistenti fumus boni iuris e periculum in mora
- Da rinegoziare il contratto di locazione chiuso per lockdown
Ricorso ex art. 700 c.p.c. riduzione canoni e istanza di non escussione garanzia
Con ricorso 700 c.p.c una s.r.l, conduttrice di alcuni immobili della capitale in cui svolge attività di ristorazione, rende noto di aver stipulato il contratto di locazione il 10 gennaio 2017, di pagare un canone annuo di 96.000 euro e di aver garantito il corretto adempimento con una fideiussione bancaria di 72.000 euro, ridotta a 48.000 a fine novembre 2017.
In giudizio chiede che il Tribunale ordini alla società locatrice di non escutere la fideiussione e di ridurre i canoni nella misura del 50% a partire dal mese di aprile 2020 fino all'ordinanza o in subordine di disporne la sospensione nella stessa o in quella che il giudice riterrà di giustizia con la stessa decorrenza, ossia da aprile 2020.
In assenza dei presupposti per emanare il decreto inaudita altera parte chiede di ordinare la non escussione della fideiussione, la riduzione del 50% del canone di locazione da aprile 2020 a marzo 2021 o nella diversa misura di giustizia; in subordine sospendere i canoni da aprile 2020 a marzo 2020 nella misura del 50% e prevedere un piano di rientro di 48 rate a cadenza mensile a partire da aprile 2021 o come riterrà più opportuno il giudicante; infine di adottare qualsiasi provvedimento d'urgenza idoneo ad eliminare o ridurre il pregiudizio subito e subendo dalla conduttrice.
Sussistenti fumus boni iuris e periculum in mora
Il giudice non emette decreto inaudita altera parte, ma fissa udienza di discussione, differita al fine di trovare un accordo bonario.
La società locatrice costituita chiede il rigetto delle richieste della conduttrice stante l'assenza del fumus boni iuris e l'inammissibilità delle domande per mancata indicazione delle istanze di merito. Eccezione che però il giudice respinge in quanto le domande di merito sono desumibili per tabulas dal ricorso introduttivo e perché coincidenti con quelle avanzate nel procedimento d'urgenza.
Il giudice dichiara infine che il ricorso avanzato dalla conduttrice è da considerare con favore sia per quanto riguarda il periculum in mora che per il fumus boni iuris.
Da rinegoziare il contratto di locazione chiuso per lockdown
Il giudice nella decisione rileva come la conduttrice lamenti la violazione da parte della locatrice dei principi di buona fede e correttezza dopo la stipula del contratto, perché dopo la pandemia non ha voluto ricontrattare le condizioni iniziali dell'accordo.
Il giudice rileva come la chiusura forzata delle attività commerciali durante il lockdown deve qualificarsi come "sopravvenienza nel sostrato fattuale e giuridico che costituisce il presupposto della convenzione negoziale." Indubbio che il contratto è stato stipulato per svolgere nei locali attività di ristorazione, per cui, anche in assenza di clausole di rinegoziazione, i contratti a lungo termine devono essere rispettati se sussistono le condizioni e i presupposti che hanno condotto alla loro stipula.
Ora, se come nel caso di specie, si verifica una sopravvenienza nel sostrato fattuale e giuridico della convenzione, ossia il lockdown cagionato dalla pandemia, la parte che riceve uno svantaggio deve poter rinegoziare l'accordo "in base al dovere generale di buona fede oggettiva (o correttezza) nella fase esecutiva del contratto."
In relazione alla domanda di riduzione dei canoni, in assenza di una domanda di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, il giudice condivide l'orientamento secondo cui "la buona fede può essere utilizzata anche con funzione integrativa cogente nei casi in cui si verifichino dei fattori sopravvenuti ed imprevedibili non presi in considerazione dalle parti al momento della stipulazione del rapporto, che sospingono lo squilibrio negoziale oltre l'alea normale del contratto."
Secondo tale orientamento le circostanze suddette si verificano in particolare nei contratti di durata come quello di locazione commerciale per cui è causa. La risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta in questi casi comporterebbe la perdita dell'avviamento dell'impresa e la successiva cessazione dell'attività. In virtù della clausola di buonafede e correttezza però tutto questo può essere evitato, poiché sulle parti grava l'obbligo di procedere a una nuova contrattazione per riportare l'equilibrio.
La resistente, nelle sue difese, ha fatto presente che il Governo ha adottato tutta una serie di misure a sostegno delle attività, come il credito d'imposta del 60% sui canoni pagati nel marzo 2020. Tale intervento però, a parere del giudice, non è sufficiente a riportare il giusto equilibrio nel contratto. Per fare questo, nel caso di specie, occorre fare riferimento alla clausola generale della buona fede e alla solidarietà sancita dall'art. 2 della Costituzione.
Del resto è evidente che la società locatrice ha violato il canone di buona fede oggettiva, anche se la stessa ha dichiarato infatti di essersi resa disponibile a ridurre i canoni di marzo aprile e maggio 2020 del 30% e di non voler procedere all'escussione della fideiussione, non ci sono prove in merito. Tali proposte infatti sono state presentate solo in sede giudiziale. In un caso del genere, da qualificarsi come impossibilità temporanea parziale, la riduzione del canone cesserà nel momento in cui il conduttore sarà in grado di provvedere per intero.
Alla luce delle suddette considerazioni il giudice dispone quindi la riduzione del canone di locazione del 40% per i mesi di aprile e maggio 2020 e del 20% per i mesi che vanno da giungo 2020 fino a marzo 2021, visto che anche dopo la riapertura, gli ingressi dei clienti è contingentato per ragioni di sicurezza sanitaria. Sospesa inoltre la fideiussione per un'esposizione debitoria di 30.000 euro.
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Data: 28/09/2020 05:00:00Autore: Annamaria Villafrate