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Doping: il reato al vaglio della Consulta

La Cassazione porta innanzi alla Corte Costituzionale l'art. 586-bis c.p. nella parte in cui prevede che il doping sia reato solo qualora venga alterato l'esito delle competizioni agonistiche


Il reato di doping in Italia

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La Legge n. 376/2000 disciplina in Italia la tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping.

Nel dettaglio, l'art. 1 precisa che "costituiscono doping la somministrazione o l'assunzione o la somministrazione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l'adozione o la sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche e idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell´organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti."
Al doping è correlato un vero e proprio reato, quello di "Utilizzo o somministrazione di farmaci o di altre sostanze al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti" previsto dall'art. 586-bis del codice penale. All'interno di tale norma sono state trasfuse le sanzioni penali in precedenza previste dall'art. 9 della L. n. 376/2000 ad opera del d.lgs. n. 21/2018, in applicazione del principio della riserva di codice.

La pena prevista dal codice penale

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L'art. 586-bis c.p. punisce con la reclusione da tre mesi a tre anni e con la multa da euro 2.582 a euro 51.645 chiunque procura ad altri, somministra, assume o favorisce comunque l'utilizzo di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive, ricompresi nelle classi previste dalla legge, che non siano giustificati da condizioni patologiche e siano idonei a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell'organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, ovvero siano diretti a modificare i risultati dei controlli sull'uso di tali farmaci o sostanze.

La medesima sanzione si applica anche a chi adotta o si sottopone alle pratiche mediche ricomprese nelle classi previste dalla legge non giustificate da condizioni patologiche edidonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell'organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti ovvero dirette a modificare i risultati dei controlli sul ricorso a tali pratiche.
Sono previsti aggravamenti di pena qualora dal fatto deriva un danno per la salute, nonché qualora il fatto sia commesso nei confronti di un minorenne oppure da un componente o da un dipendente del Comitato olimpico nazionale italiano ovvero di una federazione sportiva nazionale, di una società, di un'associazione o di un ente riconosciuti dal Comitato olimpico nazionale italiano.

Commercio sostanze dopanti

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La norma punisce anche la condotta di commercio di sostanze dopanti prevedendo in tal caso la reclusione da due a sei anni e la multa da euro 5.164 a euro 77.468.
Nel dettaglio, rischia tale sanzione chiunque commercia i farmaci e le sostanze farmacologicamente o biologicamente attive ricompresi nelle classi indicate dalla legge, che siano idonei a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell'organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti ovvero idonei a modificare i risultati dei controlli sull'uso di tali farmaci o sostanze, attraverso canali diversi dalle farmacie aperte al pubblico, dalle farmacie ospedaliere, dai dispensari aperti al pubblico e dalle altre strutture che detengono farmaci direttamente destinati alla utilizzazione sul paziente.
Proprio il comma 7 dell'art. 586-bis c.p., di cui alla novella del 2018, rischia, però, di essere dichiarato incostituzionale nella parte in cui prevede che il doping sia reato solo qualora venga alterato l'esito delle competizioni agonistiche.

A dichiarare rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, giungendo a invocare il supporto della Consulta, è stata la Corte di Cassazione, terza sezione penale, con l'ordinanza n. 26326/2020 (qui sotto allegata).

La questione di legittimità costituzionale

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La Suprema Corte si è trovata a valutare la vicenda del titolare di una palestra condannato per aver commercializzato, mediante consegna a numerosi soggetti praticanti l'attività del culturismo (due dei quali partecipanti a gare pubbliche di boy building), specialità medicinali ad azione anabolizzante attraverso canali non ufficiali e ottenute mediante la predisposizione di ricette mediche falsificate.
Nel dettaglio, la condanna era scattata ex art. 9, comma 7, della legge n. 376/2000, norma abrogata ad opera del d.lgs. n. 21/2018 e di fatto sostituita dall'art. 586-bis del codice penale. Il Collegio rileva come, con riferimento alla condotta di commercio di sostanze dopanti, non vi sia piena coincidenza tra la fattispecie di cui alla norma abrogata e quella oggetto di incriminazione da parte del vigente art. 586-bis, comma 7.
Quest'ultima, a differenza della precedente figura delittuosa, contempla infatti il dolo specifico del "fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti", prevedendo, in alternativa, la condotta di commercio di sostanze idonee a modificare i risultati dei controlli anti-doping, che vengono assimilati alle sostanze dopanti.

Secondo gli Ermellini, la fattispecie contemplata dall'art. 586-bis, comma 7, c.p. non appare più incriminare la commercializzazione tout court di sostanze dopanti, come avveniva in passato, ma solo quella in cui l'agente si prefigge lo scopo "di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti", indipendentemente dall'effettivo conseguimento di tale finalità.

Parziale abolitio criminis

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Per effetto della previsione dell'indicato dolo specifico, conclude l'ordinanza, si è perciò realizzata una parziale abolitio criminis, non essendo più punito il commercio di "sostanze dopanti" commesso in assenza del "fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti". Da qui la decisione di sollevare questione di legittimità costituzionale in relazione all'art. 586 bis, comma 7, del codice penale.
Secondo la Cassazione, infatti, andrebbe censurato "lo scorretto esercizio del potere legislativo da parte del Governo" in quanto ha provveduto ad abrogare, mediante decreto legislativo, una disposizione penale, senza a ciò essere autorizzato dalla legge delega. L'intenzione del legislatore, infatti, sarebbe stata quella di una mera traslazione della fattispecie di cui all'art. 9 L. n. 376 del 2000 all'interno del codice penale, mentre non vi è piena corrispondenza tra la fattispecie abrogata e quella codicistica.
La menzionata abolitio criminis, non solo, deriva da uno scorretto uso della delega conferita, ma appare anche in contrasto con la ratio della stessa legge delega. Il bene salute, oggetto di tutela da parte dell'art. 586-bis c.p., spiega la Corte, è messo in pericolo dalla mera assunzione di sostanze "dopanti", e ciò indipendentemente dal "fine di alterare le competizioni agonistiche degli atleti".
Data: 25/09/2020 10:00:00
Autore: Lucia Izzo