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Permessi legge 104 per svago: niente licenziamento

Per la Cassazione, il regime di favore per il lavoratore disabile impedisce il licenziamento dello stesso se utilizza i permessi della 104 per ragioni diverse dalle cure


Permessi 104 per il lavoratore disabile

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Con l'ordinanza n. 20243/2020 (sotto allegata) la Cassazione sancisce semplicemente che non si può licenziare il lavatore disabile che utilizza i permessi della legge 104 per esigenze diverse da quelle di cura. Decisione che giunge al termine di un procedimento che già in sede di merito vede vincente il lavoratore.

Il giudice di primo e di secondo grado infatti ritengono illegittimo il licenziamento irrogato al lavoratore disabile per abuso dei permessi previsti dall'art. 33 comma 3 della legge 104/1992, accusato dal datore di avere aumentato i giorni di assenza dal lavoro in concomitanza con le festività e quindi al di fuori delle esigenze di cura dettate dal suo status di invalido.

Per la Corte d'Appello i permessi di cui possono beneficiare i lavoratori disabili, in base alla ratio dell'intera legge 104, hanno la finalità di consentire al soggetto il pieno recupero fisico e psichico necessario per il suo inserimento nella vita sociale e lavorativa. Non occorre quindi che tali permessi siano collegati necessariamente a esigenza di cura. L'utilizzo dei permessi in continuità con giorni festivi pertanto non configura alcuna violazione disciplinare. Il lavoratore deve essere quindi reintegrato ai sensi dell'art. 18 comma 4 della legge 300/1970 Statuto dei Lavoratori.

I permessi 104 possono essere usati dal disabile per fare spese e andare in giro?

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Il datore di lavoro ricorre in Cassazione, facendo valere le proprie ragioni con i seguenti 4 motivi.

Permessi 104 possono essere usati anche per esigenze diverse dalle cure

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La Cassazione con l'ordinanza n. 20243/2020 rigetta il ricorso del datore ritenendolo completamente infondato e trattando congiuntamente tutti i motivi sollevati.

Gli Ermellini partono dall'analisi dell'art. 33 comma 6 della legge 104/1992 il quale dispone che: "La persona handicappata maggiorenne in situazione di gravita' può usufruire alternativamente dei permessi di cui ai commi 2 e 3, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferita in altra sede, senza il suo consenso."

In pratica la norma prevede che il lavoratore disabile abbia la libertà di optare tra permessi giornalieri (due ore) o mensile (tre giorni), di scegliere, se possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e di non essere trasferito in un'altra sede lavorativa, senza il suo consenso. Dette provvidenze sono in linea con quanto dispone l'art. 38 della Costituzione, perché favoriscono l'assistenza al disabile da parte dei congiunti a condizione che il lavoratore sia affetto da grave disabilità.

La tutela del disabile è quindi garantita anche tramite forme di tutela indiretta, rappresentata da un sistema di welfare che coinvolge anche i familiari e connessa al dovere di solidarietà sociale vero i disabili, imperniato su tutta una serie di norme interne e internazionali, come gli artt. 2,3 e 38 Cost, la Direttiva 2000/78/CE e la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità.

L'esigenza di socializzazione per il disabile, secondo la Corte Costituzionale è imprescindibile per lo sviluppo della sua personalità, come accezione del concetto di salute psico fisica, che è un diritto fondamentale dell'individuo a una sana vita di relazione. Come sottolineato inoltre dalla Corte di Giustizia Europea non si può trascurare il fatto che il lavoratore disabile ha sempre più difficoltà a reinserirsi nel mondo del lavoro.

Per la Cassazione non si può non tenere conto del fatto che "I lavoratori portatori di handicap, proprio perché svolgono attività lavorativa, sono gravati più di quanto non sia un lavoratore che assista un coniuge o un parente invalido: la fruizione dei permessi non può essere, dunque, vincolata necessariamente allo svolgimento di visite mediche o di altri interventi di cura, essendo più in generale preordinata all'obiettivo di ristabilire l'equilibrio fisico e psicologico necessario per godere di un pieno inserimento nella vita familiare e sociale." Da qui il trattamento di favore previsto per il lavoratore disabile rispetto ai familiari, senza che questo dia origine a una qualche forma di discriminazione, trattandosi di situazione oggettivamente diverse.

Alla luce delle suesposte considerazioni la Cassazione enuncia conseguentemente il seguente principio di diritto: "I permessi ex art. 33, comma 6 della legge n. 104 del 1992 sono riconosciuti al lavoratore portatore di handicap in ragione della necessità di una più agevole integrazione familiare e sociale, senza che la fruizione di detto beneficio debba essere necessariamente diretto alle esigenze di cura."

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Data: 30/09/2020 06:00:00
Autore: Annamaria Villafrate