Mediazione con esito negativo: nessun compenso per l'avvocato
- Compensi gratuito patrocinio
- Istanza liquidazione compenso gratuito patrocinio
- Il ragionamento della Cassazione
- La posizione di dottrina e giurisprudenza
- Considerazioni conclusive
Compensi gratuito patrocinio
Non spetta alcun compenso a carico dello Stato all'avvocato che ha patrocinato il cliente ammesso al gratuito patrocinio, per la mediazione che abbia avuto esito negativo, neppure se l'azione giudiziaria non viene attivata.
È questa la conclusione a cui perviene la Corte di Cassazione con la recente decisione n. 18123 del 20 agosto 2020 (sotto allegata) e relativa ad un ricorso avverso una sentenza del Tribunale di Padova.
Istanza liquidazione compenso gratuito patrocinio
Il caso nasceva da una controversia in materia locatizia, in cui le parti erano arrivate alla mediazione in quanto passaggio obbligato prima di instaurare l'azione giudiziale.
La mediazione si era conclusa negativamente, ma le parti avevano poi trovato comunque una soluzione stragiudiziale per il chè l'azione di merito non è mai stata incardinata.
A questo punto, il legale, portato a termine con successo il suo mandato, aveva richiesto la liquidazione del compenso, in quanto il suo cliente era stato ammesso al gratuito patrocinio.
Il Giudice rigettava l'istanza di liquidazione, avverso alla quale, il legale proponeva opposizione ex art. 170 del D.P.R. n. 115 del 2002. Il Giudice dell'impugnazione, rigettava a sua volta l'opposizione, sottolineando come le norme sul gratuito patrocinio impedissero la liquidazione del compenso in sede di mediazione. L'avvocato decideva di ricorrere alla Suprema Corte, ma anche questo ultimo tentativo non trovava l'accoglimento sperato, la Corte infatti rigettava il ricorso con la sentenza n. 18123 del 2020, oggi in commento.
Il ragionamento della Cassazione
Il ricorso del legale era basato sulla interpretazione costituzionalmente orientata delle norme in materia di gratuito patrocinio (art. 74 e 75 D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – Testo unico in materia di spese di Giustizia), in base alla quale il compenso andrebbe riconosciuto, anche per l'espletamento della sola fase di mediazione, nei casi in cui la stessa sia obbligatoria e prodromica al giudizio di merito, stante la natura paragiurisdizionale di detta procedura.
La Corte nel respingere tale motivo di gravame, sottolineava che "la censura articolata sotto il profilo della violazione di legge non concorre posto che, espressamente, la norma D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 74, limita l'operatività del patrocinio a spese dello Stato all'ambito del procedimento sia penale che civile, e pertanto postula l'intervenuto avvio della lite giudiziale. Detto limite non può esser superato dal Giudice con attività d'interpretazione posto che in tal modo verrebbe ad incidere sulla sfera afferente la gestione del pubblico denaro, specie con relazione alle disposizioni di spesa, materia riservata al Legislatore e presidiata da precisi dettami costituzionale".
La Corte dunque sottolinea come l'art. 74 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 limita l'operatività del compenso alle liti civili e penali già in corso, tale assunto non ammetterebbe deroghe, in quanto, in caso contrario si andrebbe ad incidere sulla sfera di gestione del denaro pubblico, e ciò non è possibile. Prosegue la Corte sottolineando che "correttamente il Giudice patavino ha ritenuto non liquidabile il compenso al difensore per la fase della mediazione, cui non è seguita la proposizione della lite poiché non consentito dalla attuale disciplina legislativa in tema ed pertanto non superabile con l'attività d'interpretazione – come richiesto dal ricorrente - che in effetti sconfinerebbe nella produzione normativa".
Anche la questione costituzionale appare manifestamente infondata in quanto la prospettata questione di sospetta illegittimità costituzionale delle norme si fonderebbe su un "presupposto fattuale non esistente in quanto nella specie - come ricordato dallo stesso ricorrente – la procedura di mediazione obbligatoria svolta si concluse senza alcun accordo, sicché doveva conseguire la lite.
Lite giudiziaria che non intervenne poiché le parti raggiunsero accordo stragiudiziale, sicché la richiesta di compenso sarebbe correlata ad attività professionale stragiudiziale. Dunque la proposta questione di costituzionalità nella specie non assume rilevanza posto che il Legislatore ha ritenuto di riconoscere il patrocinio a spese dello Stato in relazione all'attività nell'ambito del processo e, non anche, per l'attività stragiudiziale, rimessa esclusivamente alla volontà delle parti".
La posizione di dottrina e giurisprudenza
Da un punto di vista formale e sostanziale dunque il ragionamento della Corte di Cassazione si fonda sulla mancanza di una predisposizione normativa ad hoc che consenta di liquidare al legale l'onorario per la fase di mediazione.
La Corte richiama, in questo ragionamento, sia il comma 1 dell'art. 75 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, sia l'art. 17 del D.Lgs 28/2010.
Quanto alla prima norma la Corte sottolinea che l'ammissione al gratuito patrocinio è valida per ogni grado e per ogni fase del processo e per tutte le eventuali procedure, derivanti ed accidentali comunque connesse. Quanto alla seconda la Corte sottolinea che nessuna indennità è dovuta all'Organismo di mediazione da parte del soggetto ammesso al gratuito patrocinio, e in merito all'onorario del legale omette ogni riferimento, come a dire che se il legislatore avesse voluto inserire una norma al riguardo lo avrebbe fatto!
Sulla base dunque del combinato disposto di queste due norme il ragionamento della Corte sarebbe il seguente: il professionista avrebbe diritto al compenso a carico dello Stato, se l'attività stragiudiziale venisse espletata come attività necessaria in funzione di un successivo giudizio e che tale giudizio fosse poi effettivamente instaurato; ma se a tale attività stragiudiziale, ancorché necessaria e prodromica ad un'azione, non dovesse poi seguire un giudizio, in questo caso al professionista non rimarrebbe altra soluzione che ottenere l'onorario dal cliente, mancando, nell'impianto normativo sul gratuito patrocinio, una norma ad hoc che consenta di avere la liquidazione a carico dello Stato.
In questo senso sembrano porsi più di una sentenza sia di legittimità che di merito.
Sebbene dunque si possa affermare che la sentenza in commento non faccia altro che porsi nel solco già tracciato, tuttavia l'orientamento espresso è stato oggetto di vivace dibattito da parte della dottrina, la quale ha ravvisato e ravvisa tuttora più di una criticità in merito.
Le critiche avanzate, a dire il vero, non sono nemmeno di poco conto e coinvolgono il cuore costituzionale del diritto alla difesa, ovvero gli articoli 3 e 24 della Costituzione, sia singolarmente considerati, sia nel loro rapporto con la normativa europea di riferimento.
Le ragioni addotte dalla dottrina a sostegno della liquidabilità del compenso a carico dello Stato anche in caso di mediazione sono tanto di ordine formale, quanto sostanziale.
Da un punto di vista formale si sottolinea che l'art. 75 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, al comma 2 elenca tutta una serie di "casi" assimilabili all'azione giudiziaria e per i quali è ugualmente applicabile il beneficio della liquidazione del compenso.
Ci si è chiesti dunque se tale elenco debba essere considerato tassativo o semplicemente esemplificativo; per rispondere a questa domanda, bisogna analizzare la norma e comprendere la ratio delle ipotesi elencate, a ben guardare tutte le ipotesi contenute nel secondo comma in questione hanno come punto in comune, la previsione della possibilità, se non addirittura necessità, del sostegno di un difensore.
Alla luce di questa considerazione, l'elenco contenuto, non può che essere considerato esemplificativo e come tale deve ricomprendere anche ipotesi sostanziali, anche se non elencate, in cui sia auspicabile se non obbligatoria l'assistenza di un legale, e tra tali ipotesi, come ben noto, rientra anche la mediazione.
L'aspetto sostanziale della vicenda, a questo punto è chiaro, se il Testo unico infatti fa rientrare, tra le ipotesi di gratuito patrocinio, tutte le attività per le quali sia necessaria l'assistenza di un legale, allora tra tali ipotesi dovrà rientrare (anche se non espressamente menzionata) la mediazione, soprattutto se obbligatoria, anche se conclusa negativamente e/o senza che poi faccia seguito un'azione giudiziale.
Del resto non potrebbe essere altrimenti: in questi anni si è ben notato che la volontà del legislatore è quella di incentivare le soluzioni stragiudiziali e alternative delle controversie, per il ché una interpretazione della norma che andasse ad escludere la mediazione, sarebbe incomprensibile, anche alla luce dell'impianto normativo che la giustizia ha assunto e sta assumendo in questi ultimi anni. Riversare sulle parti o sul difensore l'onere economico di una mediazione solo per il fatto che tale ipotesi non è ricompresa nel puro dato letterario, sarebbe in contrasto con un sistema di giustizia che il legislatore sta invece cercando di favorire.
Considerazioni conclusive
In conclusione si può affermare che la sentenza analizzata per quanto ultima in termini temporali, non possa essere considerata come definitiva sul tema.
Un'interpretazione infatti rispettosa degli artt. 2, 3, e 24 della Costituzione non potrebbe che portare a ritenere applicabile l'art. 75 del D.P.R. anche alle ipotesi di mediazione obbligatoria non seguite da un giudizio, come del resto si era comunque espressa già una parte della giurisprudenza.
Del resto non può che essere così alla luce del fatto che qualsiasi interpretazione diversa avrebbe come conseguenza la disincentivazione dell'utilizzo della mediazione come sistema di risoluzione delle controversie, portando ad un aggravio del carico giudiziale che invece si è cercato in tutti i modi di alleggerire in questi anni.
Non resta dunque che attendere gli ulteriori interventi che sicuramente interverranno sulla materia.
Avvocato Francesca Resta
www.dplmediazione.it
Note
Data: 18/11/2020 06:00:00Autore: Francesca Resta