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Legge contro il cyberbullismo: una speranza rimasta tale

La legge 71 del 2017 sul contrasto al cyberbullismo è ricca di ottimi propositi rimasti in buona parte sulla carta


La legge 71 del 2017 sul contrasto al cyberbullismo

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La legge 71 del 2017 – disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyberbullismo – è nata per prevenire i danni derivanti da manifestazioni di abuso e denigrazione attraverso l'utilizzo del web. È una legge che parte ancora più lontano dall'iter parlamentare con il quale è stata approvata. Accadde, nel 2013, un episodio che ebbe enorme risonanza nella coscienza collettiva quello, purtroppo, di una ragazza che a Novara, nel 2013, veniva ritratta in video, ubriaca, mentre alcuni suoi coetanei simulavano, su di lei, un rapporto sessuale. Un atto che segnava il disprezzo verso il genere umano in generale e che, allo stesso tempo, metteva in allarme su una problematica in evoluzione, in piena ascesa tecnologica e, cioè, l'utilizzo sbagliato del web e degli innovativi strumenti di comunicazione.

Legge ambiziosa applicata solo in parte

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Cosa è accaduto dal quel 2013? La politica, la scuola, le agenzie educative, il modo dei genitori, i giuristi, i pedagogisti hanno iniziato ad interrogarsi su come arginare tali fenomeni ma, soprattutto, su come prevenirli.

La pubblicazione della legge 71/2017 doveva, dopo ampia discussione parlamentare, gettare le basi per rendere prioritarie le politiche educative, il dialogo istituzionale strutturando, cosi, una rete collaborativa, ma anche protettiva, per le vittime e di presa in carico degli esecutori, dei responsabili, di coloro, in definitiva, che, pur essendo dalla parte di chi colpisce, mostrano altrettanta sofferenza e precarietà psicologica.

Una legge ambiziosa, costruita su ottimi propositi ma che, purtroppo, è stata applicata in parte e, se vogliamo, sorretta soltanto da quella instancabile azione di volontariato richiesta al personale docente.

Come leggiamo oggi il dato del cyberbullismo, alla luce del periodo pandemico che viviamo? Intanto una riflessione è d'obbligo. Abbiamo spesso ripetuto ai ragazzi di limitare l'uso dei social. Inizialmente il motivo di tale richiesta era dettato dal fatto che il tempo passato davanti ad un PC o allo smartphone potesse, in un certo senso, distogliere dalla vita reale. In effetti, dal punto di vista educativo, un eccessivo distacco dalla realtà può innescare, così spesso accade, fenomeni sociali dissociativi in cui la nostra mente fatica a discernere una passeggiata al parco da uno stesso percorso simulato al computer. Alcuni giovani, infatti, iperstimolati dallo schermo, hanno anche manifestato vere e proprie sindromi psicotiche. Inoltre, consci del fatto che il mondo del web fosse, come spesso confermato, l'ambiente virtuale in cui era semplice, per un minore, essere adescati, metteva nella condizione il genitore di limitarne l'utilizzo distogliendo, quindi, il figlio da tale abitudine. Ma cosa raccontiamo, oggi, ai nostri ragazzi e, soprattutto, come ci poniamo nei loro confronti di fronte all'invito, dell'adulto, ad utilizzare il computer perché resosi, nel bene o nel male, necessario? Pensate, quell'adulto che in passato esortava i giovani ad allontanarsi dal cellulare, oggi è lo stesso che lo invita e lo stimola al suo utilizzo.

Buoni propositi rimasti sulla carta

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La riflessione che ne nasce conferma che la strumentazione informatica è entrata, di diritto, nella nostra vita e, pertanto, va governata e disciplinata cosi come accade per gli automobilisti. Infatti, quando guidiamo la nostra autovettura, spesso, lo facciamo per necessità e durante il nostro tragitto dobbiamo rispettare il codice della strada onde evitare di arrecare danno ad altri.

La legge 71/17 partiva da questi propositi ma, poi, come solitamente accade nel mondo della scuola di questo Paese, ci si è, ben presto, resi conto che le risorse umane e le finanze pubbliche non consentivano molte manovre e, ad oggi, rimane quasi tutto sulla carta.

Il problema, però, sta nel dato di fatto che il cyberbullismo aumenta perché aumenta l'uso delle piattaforme informatiche e quindi, cresce il numero delle vittime. Si è passati, cioè, in modo più netto e, se vogliamo, necessario dal trasferire l'azione bullizzante dalla classe reale a quella virtuale con elementi psicologici del tutto nuovi che vedono il bullizzato nascosto nella sua cameretta, chiuso nel suo dolore, lontano dai banchi di scuola e dagli insegnanti in una condizione, se vogliamo, ancora più emarginata e marginale.

Pensate, quella cameretta che da teatro pedagogico e luogo di trasformazione adolescenziale diventa lo spazio del dramma e della solitudine. La nostra vita offline entra, pertanto, in un circolo vizioso da cui è difficile, per molti bambini, uscirne indenni se non attraverso l'aiuto del genitore, dell'insegnante o di un esperto. È tempo di riflettere ma anche di agire.

* Raffaele Focaroli, pedagogista e giudice esperto del Tribunale dei Minori di Roma, ha curato il libro "#emily06. Ragazzi nella rete", edito da Armando Curcio Editore

Data: 16/12/2020 12:00:00
Autore: Dott. Raffaele Focaroli