Dpcm anti-Covid: sono illegittimi?
In un'ordinanza il Tribunale di Roma afferma come un atto amministrativo, quale il D.P.C.M., non avrebbe potuto imporre limitazioni a diritti fondamentali e costituzionalmente garantiti garanti
- Covid-19: per il Tribunale di Roma i Dpcm sono illegittimi
- Situazione emergenziale e sfratto per morosità
- La limitazione ai diritti fondamentali e costituzionalmente garantiti
- Natura amministrativa e non normativa del Dpcm
- Dpcm e difetto di motivazione
Covid-19: per il Tribunale di Roma i Dpcm sono illegittimi
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La dichiarazione di emergenza adottata dal Consiglio dei Ministri il 31 gennaio 2020 dovrebbe ritenersi illegittima, perché emanata in assenza dei presupposti legislativi, in quanto nessuna fonte costituzionale o avente forza di legge ordinaria attribuisce il potere al Consiglio dei Ministri di dichiarare lo stato di emergenza per rischio sanitario. Di conseguenza, anche tutti gli atti amministrativi conseguenti dovrebbero essere ritenuti illegittimi, ovvero i D.P.C.M. che hanno imposto la compressione dei diritti fondamentali dei cittadini italiani.
Ad esprimersi in questi termini è il Tribunale di Roma (giudice Alessio Liberati), in un'articolata ordinanza di rilascio emessa lo scorso 16 dicembre (sotto allegata), in occasione di una causa civile inerente un'intimazione di sfratto per morosità.
Sia chiaro: l'analisi del giudicante capitolino, seppur meritevole di attenzione, non ha però alcun effetto immediato sui provvedimenti approvati dal Governo Conte, non essendo tale giudice competente a dichiarare un provvedimento incostituzionale e non essendo stata effettuata alcuna rimessione alla Corte Costituzionale in relazione agli ormai ben noti e menzionati decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Situazione emergenziale e sfratto per morosità
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Tanto premesso, la pronuncia origina proprio dal contrasto scaturito tra una società locatrice e una società conduttrice, in merito al rapporto di affitto di alcuni locali. La prima aveva chiesto di convalidare l'intimazione si sfratto per morosità, non essendo stati onerati i pagamenti dei canoni, premettendo che, a causa della diffusione del COVID-19 e dei provvedimenti governativi emessi in tema di chiusura degli esercizi, aveva tentato di intavolare con la società conduttrice una trattativa tesa al bonario componimento delle questione, non avendo ottenuto risposta positiva alle offerte.
Parte intimata, invece, si oppone alla dichiarazione di sfratto evidenziando come a causa della grave crisi scaturita dalla Pandemia, che ha desertificato il Centro storico delle città italiane, aveva subito una contrazione delle vendite rispetto all'anno precedente ed era stata impossibilitata ad onorare l'elevato corrispettivo convenuto.
Tale situazione emergenziale, afferma parte conduttrice, avrebbe dunque comportato un'alterazione del rapporto contrattuale e l'impossibilità di eseguirlo o, comunque, di beneficiare pienamente del godimento del bene, con conseguente alterazione del sinallagma contrattuale, la cui rilevanza al fine della revisione delle condizioni contrattuali è invocata in giudizio.
La limitazione ai diritti fondamentali e costituzionalmente garantiti
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Secondo il Tribunale, l'esistenza di un'emergenza sanitaria non è di per sé condizione intrinsecamente impediente in termini assoluti, diversamente dal caso di scuola, ad esempio, del crollo dell'immobile a seguito di terremoto o del crollo dell'unica via di accesso all'immobile a seguito di calamità naturale.
Dunque, in via astratta, ogni attività umana avrebbe potuto continuare a svolgersi regolarmente anche in periodo di emergenza sanitaria, con la sola differenza che il soggetto interessato avrebbe corso il rischio di contrarre il virus.
Si legge nel provvedimento come "la limitazione ai diritti fondamentali e costituzionalmente garantiti che si è verificata nel periodo di emergenza sanitaria è dovuta, quindi, non alla intrinseca diffusione pandemica di un virus ex se, ma alla adozione esterna dei provvedimenti di varia natura (normativi ed amministrativi) i quali, sul presupposto della esistenza di una emergenza sanitaria, hanno compresso o addirittura eliminato alcune tra le libertà fondamentali dell'Uomo, così come riconosciute sia dalla Carta Costituzionale che dalle Convenzioni Internazionali".
A dimostrazione di ciò, "è notorio che le suddette libertà e diritti fondamentali siano stati incisi con modalità ed intensità diverse nei vari Paesi del globo terrestre ed alcuni Stati, come la Svezia, addirittura, si siano limitati a indicazioni e suggerimenti, senza imporre limiti al godimento dei diritti, quantomeno nel periodo iniziale".
Natura amministrativa e non normativa del Dpcm
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Su tali basi si innesta il ragionamento del Tribunale di Roma, il quale sottolinea come le libertà fondamentali degli individui, nel nostro paese, siano state compresse attraverso lo strumento del D.P.C.M., atto di natura amministrativa e non normativa, che viene criticato sotto diversi profili. In primis, l'ordinanza sostiene l'inidoneità di tali atti a comprimere i diritti fondamentali e lo fa richiamando anche altra giurisprudenza, come una recente sentenza del Giudice di Pace di Frosinone, la quale ritiene che un DPCM non avendo valore e forza di legge non potrebbe porre limitazioni a libertà costituzionali garantite.
Ancora, nell'ordinanza si afferma come il rischio sanitario non sia riconducibile ad alcuna delle ipotesi di cui all'art. 7, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 1/18 in base al quale è stato dichiarato lo stato di emergenza dal Governo e, pertanto, non essendo previsto alcun potere del Consiglio dei Ministri di dichiarare lo stato di emergenza sanitaria, ne conseguirebbe "la illegittimità di tutti gli atti amministrativi conseguenti".
Dpcm e difetto di motivazione
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Nel sottolineare l'illegittimità dei D.P.C.M. che hanno imposto la compressione dei diritti fondamentali, che nel caso di specie viene addotta quale causa eziologica dell'alterato equilibrio del sinallagma contrattuale, il Tribunale adduce anche un ricorrente difetto di motivazione precisando come tutti provvedimenti amministrativi debbano essere motivati ai sensi dell'art. 3 legge 241/1990, obbligo al quale non sarebbero sottratti neppure i D.P.C.M.
Tuttavia, rileva il magistrato, nel corpo dei provvedimenti relativi all'emergenza epidemiologica, "la motivazione è redatta in massima parte con la peculiare tecnica della motivazione per relationem, cioè con rinvio ad altri atti amministrativi e, in particolare (ma non solo), ai verbali del Comitato Tecnico Scientifico (CTS)". Tecnica in astratto ammessa e riconosciuta dalla giurisprudenza, ma che richiede (eccettuato il caso di attività strettamente vincolata) che gli atti cui si faccia riferimento siano resi disponibili o comunque siano conoscibili, mentre gli atti del CTS sono stati resi pubblici con difficoltà, talvolta solo in parte, e comunque con una tempistica molto lunga, in alcuni casi addirittura prossima alla scadenza di efficacia del D.P.C.M. stesso.
Anzi, in un primo periodo, addirittura, i verbali del CTS risultavano classificati come "riservati" e solo successivamente sono stati periodicamente pubblicati sul sito della Protezione Civile, tuttavia con un ritardo tale da non consentire l'attivazione di una tutela giurisdizionale, in quanto troppo prossimi alla scadenza della efficacia. Situazione che ha reso complesso anche ricorrere alla procedura impugnatoria dell'accesso.
Eccesso di potere
Tale iter motivatorio, "del tutto generico" è quindi, ad avviso del Tribunale di Roma, "insufficiente a rispettare i parametri richiesti per ogni provvedimento amministrativo ai sensi dell'art. 3 legge 241/1990, con conseguente illegittimità del provvedimento stesso, nel suo complesso: è indubbio infatti che il complessivo risultato del D.P.C.M. sulla limitazione delle libertà e dei diritti fondamentali sia il frutto del combinato disposto e del coordinato risultato delle varie e singole disposizioni".
In particolare, non essendo l'obbligo di motivazione sufficiente adempiuto, secondo il Tribunale i provvedimenti che si sono susseguiti sono dunque illegittimi per violazione di legge (art. 3 legge 241/1990), senza dimenticare che la motivazione, inoltre, è elemento indispensabile per consentire anche il sindacato su possibili vizi di c.d. eccesso di potere
Il giudice della capitale, infine, sottolinea che "alcune delle gravi compressioni dei diritti costituzionalmente e internazionalmente garantiti, peraltro, sono contraddittorie con le disposizioni degli stessi D.P.C.M. adottati successivamente sulla materia, nei quali molte prescrizioni sono state sostanzialmente modificate".
Dalla lettura dei verbali delle sedute del CTS che si sono succedute "non emerge con chiarezza quale sia la logica della scelta fortemente compressiva operata dalla P.A.", mentre l'opzione dell'amministrazione non appare univocamente determinata dalla situazione di fatto sottostante e, talvolta, appare addirittura contraddittoria, con ciò determinando ulteriori possibili vizi di eccesso di potere per illogicità (cfr. sul punto, TAR Lazio ordinanza n. 7468/2020).
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Autore: Lucia Izzo