Il contratto di lavoro sportivo
- Disciplina giuridica del contratto di lavoro sportivo
- La legge 91/81
- L'art. 2106 c.c.
- L'art. 2105 c.c.
- Patto di non concorrenza
Disciplina giuridica del contratto di lavoro sportivo
La tragedia della collina di Superga, nella quale persero la vita gran parte dei calciatori del Torino, diede luogo il 15 settembre 1950 alla sentenza del tribunale di Torino nella quale, per la prima volta, venne affrontato il problema della natura giuridica del contratto che lega un calciatore professionista ad una società. Il tribunale considerò il contratto quale prestazione d'opera ex art. 2222, assimilabile al contratto che lega un impresario di pubblici spettacoli agli artisti scritturati. Respinse la tesi che il calciatore fosse un bene della Società di appartenenza e concluse che la morte del calciatore per responsabilità di un terzo (vettore) non costituiva violazione diretta di un interesse dell'associazione sportiva quale datore di lavoro. Non si dava luogo, pertanto, a risarcimento del danno in favore della società. Anche la Suprema Corte trattò tale argomento per incidens con la sentenza 4 luglio 1953, n. 2085, confermando la decisione del tribunale, riconoscendo la natura autonoma del contratto di lavoro tra associazioni sportive ed atleti. Nel 1963 la Cassazione mutò orientamento con la sentenza n. 811, affermando che il rapporto tra società sportiva e atleta fosse caratterizzato da una forte atipicità: le peculiarità di esso- sosteneva la Corte- rendevano impossibile la sua riconduzione completa nell'ambito della subordinazione e conseguentemente l'applicazione della disciplina dettata dal codice civile per i lavoratori comuni. La sentenza sottolineava che il lavoro nasce sempre come rapporto bilaterale in ogni sua forma invece, l'attività sportiva è un'espressione individualistica, frutto d'iniziativa personale, il cui inquadramento successivo in rapporti onerosi nulla aggiunge alla sua prima natura di sforzo fisico e mentale che si produce e si pratica in sé e per sé per l'affermazione di superiorità di un atleta o un gruppo di atleti su altri. Veniva evidenziata anche la differenza “teleologica” tra prestazione sportiva e di lavoro, affermando che entrambi sono manifestazioni di attività sociale che rispondono all'imprescindibile esigenza della vita di relazione: però il lavoro è l'impiego cosciente e volontario di energie psico fisiche per la produzione di beni e di utilità che hanno un valore economico, con fine esclusivamente utilitario, mentre lo sport parte dalla necessità che l'uomo conservi ed accresca le sue energie fisiche tendendo al continuo superamento di se stesso, proiettandosi nel mondo esterno come mezzo di prova e confronto con altri e facendo sorgere così il fenomeno dell'agonismo. A cercare di riportare ordine, nell'intricata questione sulla qualificazione del rapporto tra atleta e società, la Corte di Cassazione è intervenuta, a Sezioni Unite, con la sentenza 26 gennaio 1971, n. 174, confermando la natura di lavoro subordinato del rapporto di lavoro sportivo, pur in presenza di caratteristiche sue proprie non in grado, di modificarne la natura giuridica. Tali peculiarità del rapporto di lavoro sportivo derivavano, da un atto di autonomia negoziale consistente nella volontaria sottoposizione di tutti i soggetti inquadrati nella FIGC (società e giocatori tesserati) all'osservanza dei regolamenti federali.
Nel mondo dello sport, il contratto di lavoro prevede l'assunzione diretta, attraverso la stipulazione di un accordo in forma scritta ad substantiam, ovvero tenendo conto dei prototipi predisposti dalle Federazioni sportive nazionali e dai rappresentanti delle categorie interessate. Tuttavia, il contratto di lavoro sportivo deve rispondere ai seguenti dettami:
a.l'accordo deve essere individuale, la sua stipula deve rispondere alle forme predette, stipulato nelle forme suddette e deve essere depositato presso la federazione sportiva o presso la lega di appartenenza che lo approva perfezionandolo;
b.il contratto tra sportivo professionista e società professionistica, deve necessariamente contenere la clausola di rispetto da parte dello sportivo delle istruzioni tecniche e delle prescrizioni impartite per il conseguimento degli scopi agonistici;
c.il contratto deve contenere la clausola compromissoria, mediante la quale si impone alle parti che le eventuali controversie relative all'attuazione del contratto siano deferite a collegi arbitrali.
d.La sua durata massima è di 5 anni.
La legge 91/81
La legge 91/81 regolamenta il rapporto di lavoro sportivo, ma anche le varie norme del codice civile e della cd. legislazione giuslavoristica hanno una loro parte importante. Come in ogni rapporto di lavoro subordinato, le caratteristiche precipue del lavoro sportivo sono da parte dell'atleta, la collaborazione e la subordinazione, mentre da parte della società sportiva vi è l'obbligo di corrispondere la retribuzione, il potere direttivo, di controllo e disciplinare. Nel rapporto di lavoro sportivo il vincolo che lega l'atleta alla società sportiva è particolarmente intenso, difatti la continuità con la quale il lavoratore mette a disposizione del suo datore di lavoro le sue energie e capacità, che sono fattori fondamentali che si vanno ad inserire all'interno dell'organizzazione del sodalizio sportivo.
Per quanto attiene la subordinazione della prestazione lavorativa, non solo sportiva, i caratteri essenziali di essa sono gli obblighi di diligenza di obbedienza e di fedeltà, aspetti presi in considerazione e regolamentati anche dagli articoli 2104 e 2105 del codice civile. Per l'atleta professionista l'obbligo di diligenza si estrinseca sostanzialmente nel mettere a disposizione della società per cui è vincolato, le proprie energie fisiche e capacità tecniche in vista del conseguimento del risultato che essa si prefigge. Circa il dovere di obbedienza, invece, esso si esplica ex art. 4 legge 91/81 "nell'obbligo dello sportivo al rispetto delle istruzioni
tecniche e delle prescrizioni impartite per il conseguimento degli scopi agonistici".
Si evidenzia altresì che la norma prevede espressamente che l'obbligo di diligenza debba essere inserito, tout court, in ogni contratto di lavoro sportivo in una clausola ad hoc.
L'art. 2106 c.c.
L'art 2106 c.c. stabilisce che la violazione delle disposizioni relative agli obblighi di diligenza, obbedienza e fedeltà può dar luogo all'applicazione di sanzioni disciplinari, in proporzione alla gravità dell'infrazione. Il codice civile si limita dunque a porre un generico limite di proporzionalità della sanzione all'infrazione commessa, senza ulteriori limiti, i quali sono invece previsti dall'art. 7 dello Statuto dei lavoratori, la cui applicazione è fatta salva dalla legge 91/1981 anche per gli sportivi professionisti, ma solo relativamente alle sanzioni inflitte dalle società sportive per violazioni attinenti agli obblighi contrattualmente assunti dal lavoratore.
A quest'ultimo proposito occorre precisare che il rispetto dei principi contenuti nell'art. 7 va coordinato con quanto disposto negli accordi collettivi in cui sono contemplate sanzioni in parte diverse da quelle indicate dall'articolo in questione, e nei quali si prevede che l'irrogazione della sanzione avvenga al termine di un particolare procedimento ad opera direttamente della società. Le principali sanzioni applicabili in forza del potere disciplinare connesso al rapporto di lavoro sono l'ammonizione scritta, la multa, la riduzione dei compensi, l'esclusione temporanea dagli allenamenti o dalla preparazione precampionato con la prima squadra (chiaramente non prevista per gli allenatori) e la risoluzione del contratto. Ai fini dell'adozione dei provvedimenti elencati sono prescritte precise modalità a pena di nullità. Nel rapporto di lavoro sportivo, è lapalissiano, ciò che assume rilievo fondamentale, se non esclusivo, è la persona dello sportivo e delle sue doti psico-fisiche e le modalità concrete della prestazione lavorativa, e, nello specifico l'obbligo di partecipare agli allenamenti e di osservare le indicazioni date dai tecnici, l'obbligo di tenere determinate condotte di vita che non ledano l'immagine della società di appartenenza, piuttosto che il sottostare alle varie direttive fornite dal sodalizio sportivo e al suo potere di controllo.
L'art. 2105 c.c.
Per quanto previsto e regolamentato dall'art. 2105 del codice civile, l'obbligo di fedeltà è quell'obbligo che vieta al prestatore di lavoro "di trattare affari per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l'imprenditore, né di divulgare notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione dell'impresa o a farne uso in modo da recare ad essa un pregiudizio". Ora per l'atleta questo tipo di obbligo fa sì che ad egli sia vietato oltre l'esercizio di una attività imprenditoriale incompatibile ed in concorrenza con la società per cui è vincolato, ed implica, in specie, l'obbligo di esercitare la propria attività lavorativa solo ed esclusivamente nei confronti del sodalizio sportivo di appartenenza nonché il divieto assoluto a praticare altra disciplina sportiva a livello professionistico, se non con il placet della stessa società. Vi sono poi da menzionare le varie contrattazioni collettive, in seno alle principali federazioni sportive, come calcio, basket, volley, che specificano i suddetti obblighi, rendendoli in alcune circostanze, anche più intensi.
Patto di non concorrenza
In ogni caso, per espressa previsione di legge, alcun patto di non concorrenza, o comunque limitativo della libertà professionale, può essere preso in considerazione per il periodo successivo alla risoluzione del contratto tra l'atleta e la società sportiva. Il perché di tale norma è legato al fatto che la carriera di uno sportivo è alquanto limitata nel tempo, tanto è vero che l'atleta superata la soglia dei trent'anni viene considerato un "vecchio", ed in alcune discipline sportive questo limite d'età è ancora più ristretto. Per l'atleta la pratica sportiva rappresenta la sua fonte di reddito, il mezzo che assicura a sè stesso ed al proprio nucleo familiare una esistenza libera e dignitosa. E' per tale motivo che l'interesse della società sportiva a far si che l'atleta che conosca bene dall'interno la propria struttura organizzativa non possa passare immediatamente ad altro sodalizio sportivo, viene meno dinanzi all'esigenza prioritaria dello sportivo a non vedersi preclusa per un certo lasso di tempo, la possibilità di esercitare la propria attività lavorativa.
AVV. MARIA CARMELA CALLA’
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Data: 24/01/2021 12:00:00Autore: Maria Carmela Callā