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L'intelligenza emotiva nella mediazione

Nei processi di negoziazione e di mediazione le emozioni giocano un ruolo fondamentale. Ecco come valorizzarle, dando loro il giusto rilievo


Il ruolo delle emozioni nei processi di negoziazione e mediazione

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La parola mediare significa "essere nel mezzo", "interporsi" e con la locuzione mediazione indichiamo il processo posto in essere da chi, ponendosi in una posizione intermedia, e quindi equidistante e perciò neutrale, si adopera per aprire canali di comunicazione precedentemente bloccati a causa di un conflitto.

La mediazione mira a ristabilire il dialogo tra le parti per poter raggiungere un obiettivo concreto: la realizzazione di un progetto di riorganizzazione delle relazioni che risulti il più possibile soddisfacente per tutti. Il processo di mediazione ha, quindi, luogo nel conflitto che è per sua natura foriero di forti emozioni, talvolta preponderanti rispetto ai fatti oggetto della mediazione.

Molto spesso, i mediatori con alle spalle una formazione giuridica preferiscono non soffermarsi sul lato emotivo del processo di risoluzione delle controversie. Si tende, infatti, a pensare che l'approfondire le emozioni possa complicare il processo di composizione della lite o, addirittura, farlo fallire a causa di una possibile incapacità di controllare il comportamento dei contendenti.

A questo possiamo aggiungere che, spesso, si è portati a credere che un processo decisionale coerente, ragionato, obiettivo e razionale sia il fondamento di qualsiasi processo di risoluzione delle controversie.

Utilizzo costruttivo delle emozioni

Ma è realmente possibile separare le persone dalle loro emozioni?

Nella quasi totalità delle mediazioni le persone, e il loro carico emotivo, sono presenti.

In realtà sono proprio le emozioni che, concretamente, ci motivano ad agire e a lavorare per risolvere le divergenze. Sarebbe, quindi, impossibile conciliare i conflitti importanti senza metterle in gioco.

In altre parole, la base fondamentale della pratica di negoziazione e mediazione non è solo l'analisi degli interessi concorrenti e lo sviluppo razionale del risultato più efficiente, ma anche il riconoscimento dei fattori emotivi sottostanti in gioco.

E se ciò potrebbe essere più evidente quando ci riferiamo a controversie sorte nell'ambito famigliare, controversie mediche, conflitti tra vittima e autori di reato, non dobbiamo trascurare il fatto che anche nelle controversie civili e commerciali, in cui spesso le parti tendono a convincersi a vicenda che non c'è nulla di personale e che si tratta solo affari, l'elemento emotivo è naturalmente presente.

Occorre, perciò, riconoscere l'esistenza delle emozioni e la loro influenza sul processo di risoluzione delle controversie al fine di utilizzarle in modo costruttivo. (1)

L'intelligenza emotiva

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L'intelligenza emotiva è un aspetto dell'intelligenza legato alla capacità di riconoscere, utilizzare, comprendere e gestire in modo consapevole le proprie ed altrui emozioni.

I primi a parlare di intelligenza emotiva furono Peter Salovey e John D. Mayer nel loro articolo "Emotional Intelligence" del 1990 (2). Essi definirono l'intelligenza emotiva come "La capacità di controllare sentimenti ed emozioni proprie ed altrui, di distinguere gli uni dalle altre ed utilizzare queste informazioni per guidare i propri pensieri e le proprie azioni".

Il concetto di intelligenza emotiva venne, successivamente, ripreso da Daniel Goleman nel libro "Emotional Intelligence"(3). Goleman riferì l'intelligenza emotiva ad un'ampia gamma di competenze e abilità. Grazie a questo studio, infatti, il tema dell'intelligenza emotiva iniziò ad essere utilizzato e studiato non solo in ambito psicologico, ma anche in ambito organizzativo e aziendale, nell'ambito della formazione e nella gestione dei conflitti.

I pilastri dell'intelligenza emotiva applicati al conflitto

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Secondo Goleman l'intelligenza emotiva si basa sui cinque pilastri fondamentali:

Il negoziatore o mediatore emotivamente intelligente deve, di conseguenza, sviluppare diverse abilità: la capacità di identificare le proprie emozioni e quelle degli altri; la capacità di convogliare le emozioni e applicandole alla risoluzione dei problemi; la capacità di gestire le emozioni, inclusa la capacità di regolare le emozioni proprie, e la capacità di influenzare le emozioni degli altri nella negoziazione.

Autoconsapevolezza

Il punto focale del pensiero di Goleman risiede nell'autoconsapevolezza, ovvero nella capacità di leggere le proprie emozioni e riconoscere il ruolo che quelle sensazioni potrebbero svolgere nel processo decisionale.

Padroneggiare questo concetto non è un risultato da poco poiché, spesso è più facile acquisire consapevolezza delle emozioni degli altri che di noi stessi. Tuttavia, se non raggiungiamo la consapevolezza, corriamo il rischio di proiettare le nostre emozioni non riconosciute sugli altri.(1)

Autogestione

L'autogestione è la capacità di controllare le proprie emozioni e impulsi e di adattarsi al mutare delle circostanze. La persona autocosciente deve essere in grado di riconoscere le proprie emozioni e sviluppare meccanismi per ridurre al minimo l'effetto delle emozioni negative, mentre fa leva sull'impatto delle emozioni positive. Ciò significa che le emozioni, sia positive che negative, non possono essere ignorate e nemmeno soppresse, anche se si è facilmente tentati a fare ciò.

Sopprimere il risentimento, la rabbia o altre emozioni forti può debilitare il funzionamento cognitivo e comportamentale di un negoziatore, in quanto l'esperienza emotiva negativa rimane, lasciando il soggetto in uno stato interno di tensione. Questo è il motivo per cui il mediatore o negoziatore emotivamente competente è in grado di scegliere le risposte appropriate invece di lasciarsi andare all'emozione o sopprimerla. Con l'autogestione si può scegliere la risposta adeguata alle esplosioni di emozioni delle altre parti.

Consapevolezza sociale

La consapevolezza sociale è la capacità di percepire, comprendere e reagire alle emozioni degli altri mentre si comprendono le reti sociali. Questa qualità si concentra sull '"altro" e include lo sviluppo di empatia e consapevolezza organizzativa. Tra le abilità più importanti richieste ai mediatori al fine di raggiungere un'efficace consapevolezza sociale vi sono l'ascolto attivo e la lettura dei segnali non verbali, che favoriscono l'empatia.

Gestione delle relazioni

La gestione delle relazioni è la capacità di ispirare, influenzare e orientare gli altri mentre si gestiscono i conflitti. La gestione delle relazioni è ancora più impegnativa quando si cerca di negoziare in un contesto multiculturale o globale. Alcune culture sono più o meno emotivamente espressive o hanno posizioni diverse sul confronto o sull'evitamento del confronto. Questa dinamica può influenzare il modo in cui viene espresso il disaccordo, il ruolo e la gamma delle espressioni emotive accettabili o la costruzione della fiducia negli altri. Il mediatore, ad esempio, dovrà essere consapevole che, in alcune culture, la fiducia cognitiva - la fiducia nei risultati, nelle abilità e nell'affidabilità di una parte - è secondaria rispetto a quella che viene chiamata fiducia affettiva - la fiducia che deriva dalla vicinanza emotiva, dall'empatia o dall'amicizia.

I meccanismi per utilizzare le emozioni nei negoziati

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Roger Fisher (professore emerito di diritto all'Harvard Law School e direttore dell'Harvard Negotiation Project) e Daniel B. Shapiro (diplomatico ed ex ambasciatore degli Stati Uniti d'America nello Stato di Israele), nel loro libro "il Negoziato Emotivo" del 2005(4) ipotizzano che agire direttamente sulle emozioni non sia il modo migliore per ottenere progressi nelle trattative. Essi ci dicono, infatti, che nella maggior parte dei casi non abbiamo né l'esperienza né il dovere di "aggiustare" le situazioni emotive. Nel loro lavoro, invece, raccomandano di affrontare le cinque "esigenze primarie" che sono direttamente correlate alla dissonanza emotiva.

Basare le proprie azioni su queste cinque esigenze fondamentali – che fungono da lente di ingrandimento quando ci si riferisce alle emozioni negative e da leva per massimizzare i benefici delle emozioni positive - è il modo più produttivo per affrontare le emozioni durante la negoziazione.

Queste cinque esigenze primarie sono: l'apprezzamento, l'affiliazione, l'accettazione, lo status e il ruolo.

L'apprezzamento

In relazione al primo punto Fisher e Shapiro rilevano come spesso la parte in mediazione manifesta un disagio e, sia che esso trovi il suo fondamento nella paura, nella rabbia o in un'altra emozione, esso ha origine nella sensazione che la persona ha di non essere apprezzata. Il modo più efficace per dimostrare questo apprezzamento è ascoltare attentamente la parte, dimostrare che si apprezza il suo contributo, il suo tempo e riconoscere le sue preoccupazioni e sentimenti. Per mostrare apprezzamento, il negoziatore deve compiere ogni sforzo per trovare un terreno comune, per evitare di criticare la persona, concentrandosi, piuttosto, sulle idee espresse. L'apprezzamento è definito come un "riconoscimento grato". Il negoziatore efficace trova e riconosce il merito in ciò che l'altro pensa, sente o fa, segnala una comprensione, anche se non c'è accordo, e dimostra di capire il posizioni, interessi e sentimenti ed è pronto a saperne di più.

Affiliazione

Per quanto riguarda l'aspetto che viene definito dagli autori come bisogno di affiliazione, dobbiamo guardare al significato del verbo "affiliare" , che vuol dire portare o ricevere in stretta connessione, come membro filiale. Ciò implica la creazione di una relazione. Nel suo lavoro lo stesso Goleman sottolinea come il nostro desiderio di connessioni sia un bisogno umano primordiale. Questo desiderio può soddisfatto trovando connessioni strutturali, come la scuola frequentata, i comuni interessi professionali, ricreativi o sociali, ma i collegamenti di affiliazione possono anche essere costruiti attraverso qualcosa di semplice come una stretta di mano, un'attività rompighiaccio o dei complimenti sinceri.

Accettazione

Una causa comune di disagio e frustrazione durante la negoziazione è la sensazione di perdita di controllo, di essere intimiditi o controllati dall'altra parte. Rogers e Shapiro ci invitano a non limitare l'autonomia decisionale altrui, consultandosi sempre prima di decidere, chiedendo sempre il contributo di tutte le parti. È importante che tutte le parti interessate, anche quelle "invisibili" si leghino e si percepiscano come attori importanti in tutto il processo mediativo.

Status

Lo status è la posizione di rango che detiene una persona. Il mancato riconoscimento dello status di una parte può finire per esacerbare una situazione difficile, in particolare dove potrebbe esserci una percezione di un proprio status differenziale di una parte. Lo status verrà riconosciuto attraverso la valorizzazione delle differenze culturali o linguistiche, o la considerazione della storia e delle relazioni intercorse. Ulteriormente, il riconoscimento formale di uno status è particolarmente importante quando le parti provengono da culture diverse. In generale, è meglio che le parti inizino la negoziazione con il riconoscimento formale dello status e passino a un orientamento più informale man mano che le negoziazioni progrediscono.

Ruolo

Fisher e Shapiro avvertono, infine, che ogni parte all'interno di una negoziazione gioca un proprio ruolo. Identificarsi e mettersi a proprio agio con il ruolo che si gioca in un negoziato e riconoscere e apprezzare i ruoli che gli altri svolgono può essere determinante per attenuare ansia, paura e rabbia e può contribuire a creare un'atmosfera positiva e confortevole. Occorre, altres. tenere presente che il ruolo giocato in mediazione è spesso temporaneo e il mediatore deve riuscire a determinare se il ruolo giocato dalla parte è, in quel momento, appagante e appropriato. Diversamente potrà agire rideterminando i ruoli, distribuendoli diversamente nella gestione della negoziazione, assegnando alternativamente, ad esempio, il ruolo di ascoltatore o mediatore ad alcune delle parti. Occorre tenere, in fine, presente che il ruolo giocato in mediazione deve avere sempre una finalità precisa, un significato individuale, e non essere una finzione.

Infine occorre considerare che riveste sempre una fondamentale importanza la fase di pianificazione della negoziazione.

Cosa fa un grande negoziatore

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Il fondamento della pratica della negoziazione e della mediazione non è, quindi, solo l'analisi degli interessi concorrenti e lo sviluppo razionale del risultato più efficiente, ma anche il riconoscimento dei fattori emotivi sottostanti in gioco.

La negoziazione non riguarda, quindi, solo gli aspetti cognitivi e comportamentali, ma anche la dimensione emotiva, che deve essere riconosciuta e affrontata affinché una negoziazione abbia successo. La capacità di riconoscere le emozioni richiede lo sviluppo di diverse capacità racchiuse nel concetto di ascolto attivo, con particolare attenzione anche al linguaggio non verbale, al contesto culturale, i significati nascosti, ai livelli emotivi delle varie parti.

Da ciò deriva la conclusione che l'attività del mediatore consiste in qualcosa di più complesso rispetto alla semplice apertura del dialogo, inteso come attività in persone che parlano tra loro.

Un buon negoziatore incoraggia tutti i partecipanti a parlare. Un grande negoziatore incoraggia tutte le parti ad ascoltare.

Avvocato Elena Laezza

www.dplmediazione.it

Note:


(1) E. J. Kellya,. N. Kaminskien? "Importance of emotional intelligence in negotiation and mediation", International Comparative Jurisprudence, 2016

(2)Peter Salovey and David J. Sluyter "Emotional development and Emotional Intelligence: "educational implications" 1997 New York Basic Books

(3)D. Goleman "Intelligenza Emotiva", Biblioteca Universale Rizzoli, 1996

Data: 02/02/2021 21:00:00
Autore: Elena Laezza