Cedu: multa per gli avvocati che ritardano il processo
La Grande Camera legittima la multa per oltraggio alla Corte contro gli avvocati che disertano l'udienza e ritardano il processo, ma la sanzione non è ritenuta propriamente "penale"
- Multa all'avvocato che diserta l'udienza e ritarda il processo
- Avvocati: multa in caso di ritardo nel procedimento
- Applicazione dei criteri Engel
Multa all'avvocato che diserta l'udienza e ritarda il processo
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Non si ritiene "penale" ai sensi della Convenzione EDU la sanzione imposta a due avvocati per non essersi presentati in udienza e per "oltraggio alla Corte" a causa dei ritardi provocati nel procedimento, qualora la stessa non rispetti i criteri "Engel" e, dunque, non essendo possibile applicare gli artt. 6 e 7 della Convenzione.
È quanto stabilito dalla Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo nella sentenza del 22 dicembre (qui sotto allegata in inglese) con cui i giudici europei hanno dichiarato inammissibili le doglianze di due avvocati islandesi.
La "sofferta" decisione, adottata a maggioranza, origina dai ricorsi n. 68273/14 e n. 68271/14 (Gestur Jónsson e Ragnar Halldór Hall v. Islanda) dei legali sanzionati dal Tribunale distrettuale per oltraggio alla Corte, essendosi ritirati dal loro ruolo di avvocati difensori in un processo penale.
Avvocati: multa in caso di ritardo nel procedimento
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I due avevano chiesto di essere sostituiti per non aver, tra l'altro, ricevuto copia delle memorie predisposte dall'accusa e non aver avuto adeguato accesso a documenti importanti. Il Tribunale rifiutava di revocare la nomina, sottolineando come da tale comportamento sarebbe derivato un inevitabile ritardo per il procedimento.
In risposta, gli avvocati non partecipavano alla successiva udienza e da questo scaturiva la loro condanna, in contumacia, al pagamento di un'ammenda pari a 6.200 euro, in quanto si riteneva che avessero intenzionalmente causato un indebito ritardo nel procedimento. Misura poi confermata dalla Corte suprema.
Innanzi alla Corte EDU, i ricorrenti lamentano una violazione dei loro diritti, ovvero quelli di cui agli artt. 6 e 7 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, rispettivamente a tutela dell'equo processo e del principio "nessuna pena senza legge". Ciò in quanto sostengono che di essere stati condannati per un fatto non costituente reato ai sensi del diritto nazionale ed essendogli stata inflitta una sanzione non prevedibile.
In una precedente sentenza del 30 ottobre 2018, la seconda sezione della Corte EDU ha escluso, all'unanimità, la sussistenza delle violazioni denunciate. La Grande Camera, a seguito del rinvio chiesto dai ricorrenti, conclude non ritenendo le norme invocate applicabili al caso di specie.
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Si ritiene, infatti, che il procedimento non riguardi un'accusa in materia penale ex art. 6 della Convenzione e non potendo le ammende contestate essere considerate come una "sanzione" all'interno della significato dell'articolo 7 della Convenzione.
Applicazione dei criteri Engel
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Sotto il primo profilo, la sentenza ribadisce i c.d. criteri "Engel" (dall'omonima sentenza del 1976) che devono essere considerati per valutare se l'illecito riveste natura penale ai sensi della Convenzione, ovvero: qualificazione giuridica della misura in causa nel diritto nazionale, per accertare in quale ambito (penale, fiscale, disciplinare o amministrativo) ricadono le norme che definiscono l'illecito, secondo il sistema legale del singolo stato; natura dell'illecito; grado di severità della sanzione.
Qualificazione giuridica dell'illecito
Per quanto riguarda il primo, la Corte ritiene non sia stato dimostrato che il reato in questione vada classificato come "penale" dal diritto interno: pur essendo previsto uno speciale provvedimento all'interno del codice di procedura penale in caso di oltraggio alla Corte, nel caso di specie era stato il Tribunale adito a infliggere d'ufficio un'ammenda, senza il coinvolgimento del Pubblico Ministero come richiesto dalla legge.
Natura dell'illecito
Ancora, non appare chiaro alla Corte se il reato dei ricorrenti debba essere considerato criminale o di natura disciplinare, posto che la sanzione era prevista nei confronti di una specifica categoria di persone in possesso di uno status particolare, vale a dire quello di "Procuratore dello Stato, difensore o consulente legale". Gli avvocati sono ritenuti assolvere a un ruolo centrale nell'amministrazione della giustizia, quali intermediari tra il pubblico e i Tribunali.
Dunque, le norme che consentono a un Tribunale di sanzionare la condotta disordinata nei procedimenti innanzi a esso vengono ritenute indispensabili per garantire il corretto e ordinato funzionamento dei procedimenti e sono previsti negli ordinamenti degli Stati contraenti. Tali norme, di fatto, sono ritenute dalla CEDU più simili all'esercizio di poteri disciplinari che all'imposizione di una pena per la commissione di un reato. Sul punto, non si arriva a una qualificazione definitiva sulla qualificazione della sanzione.
Severità della sanzione
Quanto al terzo criterio, alla Corte non sembra che il procedimento in questione abbia implicato la determinazione di una "accusa penale" ai sensi dell'articolo 6 della Convenzione, non essendo sanzionati con la reclusione i comportamenti di cui gli avvocati sono stati ritenuti responsabili, né essendo prevista alcuna misura privativa della libertà personale in caso di mancato pagamento dell'ammenda in questione. Neppure era prevista l'iscrizione nel casellario giudiziario.
Anche l'articolo 7 (nulla poena sine lege) è ritenuto inapplicabile, in quanto le denunciate ammende non si ritengono qualificabili come "sanzioni" ai fini di tale disposizione. La decisione, tuttavia, incontra due opinioni dissenzienti, tra cui quella del Presidente Spano.
Autore: Lucia Izzo