Cassazione: il corteggiamento insistente è reato
- Corteggiamento insistente e non gradito integra il reato di molestie
- C'è reato senza la volontà di disturbare la tranquillità altrui?
- Il 'filo' pressante e non voluto è reato
Corteggiamento insistente e non gradito integra il reato di molestie
"Configura il reato di molestie un corteggiamento ossessivo e petulante, volto ad instaurare un rapporto comunicativo o confidenziale con la vittima, manifestamente a ciò contraria, realizzato mediante una condotta fastidiosa, pressante e diffusa reiterazione di sequenze di saluto e contatto, invasive dell'altrui sfera privata, con intromissione continua, effettiva e sgradita nella vita della persona offesa e lesione della sua sfera di libertà." Questo quanto sancito dalla sentenza n. 7993/2021 della Cassazione (sotto allegata) al termine della vicenda giudiziaria che si va a illustrare.
Condanna per stalking riqualificata in molestie
Il giudice d'Appello conferma la sentenza di condanna di primo grado dell'imputato a tre mesi di arresto per il reato di molestie, dopo la riqualificazione dell'iniziale contestazione per stalking. Condanna sospesa, ma condizionata al pagamento di 4000 euro a titolo di risarcimento in favore della parte civile entro sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza. Per i giudici l'imputato è responsabile di aver sottoposto a un "corteggiamento petulante, sgradito e molesto" la persona offesa soprattutto sul posto di lavoro e in alcuni bar della città.
C'è reato senza la volontà di disturbare la tranquillità altrui?
L'imputato però ricorre in Cassazione a mezzo difensore sollevando 5 motivi di ricorso.
- Con il primo motivo fa presente che la condotta non è in grado d'integrare tutti gli elementi del reato contestato.
- Con il secondo si fa presente che la sentenza non fornisce un'adeguata motivazione sull'elemento psicologico richiesto per il reato di molestie "che presuppone il dolo destinato ad abbracciare il fine specifico di disturbo dell'altrui tranquillità".
- Con il terzo contesta l'entità della pena e la mancata concessione delle attenuanti generiche alla luce della non particolare gravità della condotta visto che non ci sono stati pedinamenti, appostamenti o telefonate moleste. Condotte che potrebbero essere sanzionate anche con la sola pena dell'ammenda e che invece sono state punite più severamente perché il giudice ha fatto leva soprattutto sull'elemento soggettivo doloso della molestia, che costituisce un elemento costitutivo del reato e non un parametro per graduarne la gravità.
- Con il quarto motivo si ritiene non provato il danno per il quale l'imputato è stato condannato a un risarcimento che appare eccessivo, considerato soprattutto che l'ansia ingenerata nella vittima non è stata provocata con dolo.
- Con il quinto infine si ritiene illogica la motivazione relativa alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena, subordinata al risarcimento considerato che lo stato di disoccupazione pluriennale dell'imputato rende impossibile provvedere al pagamento della somma stabilita.
Il 'filo' pressante e non voluto è reato
La Corte di Cassazione, dopo il vaglio dei motivi di ricorso sollevati dall'imputato, lo dichiara inammissibile.
Le doglianze sulla responsabilità dell'imputato sono generiche e infondate. La sentenza infatti è perfettamente in linea con la giurisprudenza di legittimità la quale "ai fini della configurabilità del reato di molestie previsto dall'art. 660 cod. pen., per petulanza si intende un atteggiamento di arrogante invadenza e di intromissione continua ed inopportuna della altrui sfera di libertà."
Sotto il profilo oggettivo le condotte dell'imputato integrano quindi senza dubbio il reato di molestie, in quanto rappresentate da: "saluti insistenti e confidenziali con modalità invasive della sfera della riservatezza (in un'occasione abbracciandola); gli incontri non casuali e cercati nel bar dove lavorava la vittima (in cui l'imputato entrava ripetutamente con pretesti, senza consumare nulla, ma con il solo scopo di incontrare la persona offesa e tentare approcci con lei), come anche per strada inseguendola e salendo sul suo stesso autobus; la sosta sotto la sua casa" il tutto nonostante il disappunto della vittima, che ha dimostrato di non gradire questo corteggiamento ossessivo. Per integrare il reato di molestie, del resto, è sufficiente che si realizzi una significativa ed effettiva intrusione nella sfera privata altrui in misura tale da poterla assurgere a molestia o disturbo.
Infondate anche le argomentazioni sull'insussistenza dell'elemento soggettivo del reato in quanto, ai fini della configurazione del reato di molestie, è sufficiente la coscienza e la volontà della condotta e la consapevolezza che questa è idonea a molestare o disturbare il soggetto che la subisce. Consapevolezza che nel caso di specie è provata dalle diverse manifestazioni di disappunto della vittima, che ha dichiarato di non gradire un corteggiamento così pressante, molesto, indiscreto, ostinato e sgradito.
Manifestamente infondata anche la doglianza che riguarda la pena applicata e la mancata concessione delle attenuanti generiche, alla luce della durata della condotta, che si è protratta per più di un anno e mezzo durante il quale l'imputato non ha mostrato alcuna sensibilità davanti al fastidio e al malessere dimostrati dalla vittima.
Privi di fondamento anche gli ultimi due motivi di ricorso in quanto lo stato d'ansia è stato ampiamente dimostrato dalla vittima e dalle testimonianze rese in giudizio e poi perché, per quanto riguarda il risarcimento, l'imputato non ha dimostrato di trovarsi in una condizione di totale impossibilità ad adempiere visto che non ha chiesto di essere ammesso al gratuito patrocinio e in sede di dibattimento ha dichiarato di aver lavorato seppur per un periodo di tempo determinato.
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Data: 07/03/2021 22:00:00Autore: Annamaria Villafrate